3 novembre 2008

Il Papa: "I santi come fiori che non appassiscono" (Zavattaro)


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I santi come fiori che non appassiscono

Fabio Zavattaro

La festa di Tutti i Santi, immagine della Gerusalemme celeste; il giorno della Commemorazione dei Defunti. Due date che si susseguono nel calendario della vita, messaggio per il credente chiamato a vivere nella verità della fede il suo essere cristiano. Così se i Santi ci indicano la strada, come ricordava Papa Benedetto il 1° novembre, e ci dicono che la santità non è un qualcosa per pochi eletti ma obiettivo cui tendere tutti – l’immagine dell’orto botanico dove non meraviglia la varietà di piante e di fiori, e del giardino celeste, la Gerusalemme attesa, dove i Santi sono una moltitudine, diversi per cultura, lingua, condizione sociale – il giorno che fa memoria dei defunti suscita e chiede una corretta riflessione sulla vita e sulla morte. Invito a “non essere tristi come gli altri che non hanno speranza”.
Non è un caso, allora, che Benedetto XVI metta in evidenza come sia necessario “anche oggi evangelizzare la realtà della morte e della vita eterna, realtà particolarmente soggette a credenze superstiziose e a sincretismi, perché la verità cristiana non rischi di mischiarsi con mitologie di vario genere”.

A leggere bene questa frase viene alla mente l’attenzione che il mondo e, in particolare, quello scientifico e dei media, pone alla questione della medicalizzazione dell’inizio e della fine della vita. Importante e necessaria la ricerca e le conquiste medico-scientifiche, capaci di aiutare l’uomo a superare mali anche particolarmente gravi.

Troppo spesso però è solo l’aspetto tecnico, della ricerca, che sembra avere il sopravvento rispetto a quel mistero che accompagna la nascita e la morte di un essere umano.
Nelle parole di Papa Benedetto torna con forza il tema della speranza, e si chiede, come nella sua enciclica Spe salvi: “La fede cristiana è anche per gli uomini di oggi una speranza che trasforma e sorregge la loro vita? E più radicalmente: gli uomini e le donne di questa nostra epoca desiderano ancora la vita eterna? O forse l’esistenza terrena è diventata l’unico loro orizzonte?”.
Interrogativi che Benedetto XVI ripropone in questa prima domenica di novembre, in una piazza San Pietro affollata. Interrogativi che vogliono sottolineare la ricerca, il desiderio di “una vita beata, la felicità. Tutti vogliamo essere felici”. Ed ecco l’altra questione che si pone e offre, il Papa, al credente: “Non sappiamo bene che cosa sia e come sia, ma ci sentiamo attratti” dalla felicità.
“È questa una speranza universale, comune agli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi”.
Che cosa è, allora, la vita eterna se non una risposta a questa attesa insopprimibile, si chiede il Papa, e che si traduce non in una successione senza fine ma in un immergersi “nell’oceano dell’infinito amore, nel quale il tempo, il prima e il dopo non esistono più. Una pienezza di vita e di gioia”.
Immagini, come quella poesia brasiliana in cui raggiunti gli ultimi giorni della sua vita un uomo ripercorre con Cristo la storia della sua vita, passi sulla sabbia in riva al mare. Ti sono sempre stato accanto gli dice il Signore; e quando da quattro le orme diventano due l’uomo si rivolge così al Signore: questo è il momento in cui avevo più bisogno di te e tu mi hai abbandonato. È quando io ti ho portato sulle mie braccia, gli risponde il Signore.
Che cos’è allora la speranza per il credente nelle parole di Benedetto XVI? È la mano del Signore che sorregge: “Ovunque tu possa cadere, cadrai nelle mie mani e sarò presente persino alla porta della morte. Dove nessuno può più accompagnarti e dove tu non puoi portare niente, là io ti aspetto per trasformare per te le tenebre in luce”.
Immagine suggestiva che aiuta e accompagna chi in questo giorno ricorda il dolore di una separazione, la tristezza per un’assenza che non sarà più possibile colmare. Non soltanto il destino ultimo comune, quella Gerusalemme celeste appunto, ma anche la speranza che accompagna la nostra esistenza, sono elementi che ci aiutano a guardare “alla morte e all’aldilà nella luce della Rivelazione”.
La speranza cristiana, dice Benedetto, “non è però mai soltanto individuale, è sempre anche speranza per gli altri. Le nostre esistenze sono profondamente legate le une alle altre ed il bene e il male che ciascuno compie tocca sempre anche gli altri. Così la preghiera di un’anima pellegrina nel mondo può aiutare un’altra anima che si sta purificando dopo la morte”. È in queste parole, allora, il messaggio del giorno della Commemorazione dei Defunti, invito a pregare e a sostare presso le tombe nei cimiteri delle nostre città, come anche lui farà scendendo nel pomeriggio della domenica, nelle Grotte Vaticane per pregare dove sono sepolti i suoi predecessori.

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