20 settembre 2008

Padre Pio e il Sant'Uffizio, una storia da riscrivere (Osservatore Romano)


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Pubblicati integralmente gli atti della prima inchiesta sul frate di Pietrelcina

Padre Pio e il Sant'Uffizio
Una storia da riscrivere


di Francesco Castelli

Dopo la recente apertura degli archivi fino al 1939, quella dei rapporti tra padre Pio da Pietrelcina e il Sant'Uffizio è una storia da riscrivere. Sinora si erano diffusi sospetti e dicerie.
Si riteneva che la Suprema Congregazione fosse stata da sempre contraria al cappuccino, che non avesse mai creduto né alla sua santità né alle sue stimmate. L'organo preposto alla tutela della fede avrebbe così costantemente messo alla prova la vita di un testimone della fede, di un uomo divorato dall'amore di Dio e dei fratelli. Presunto protagonista della campagna denigratoria sarebbe stato, in particolare, un altro francescano, Agostino Gemelli, a cui i responsabili del dicastero romano avrebbero creduto ciecamente. Ma, in tutto ciò, c'è non poco da rivedere.
La visita apostolica promossa dal Sant'Uffizio nel 1921, ora pubblicata integralmente per la prima volta, svela come veramente andarono i fatti nella loro fase iniziale. Sin dal 1919, al famoso dicastero romano - incaricato anche della verifica della "simulata santità" - arrivavano di continuo lettere dal contenuto inaspettatamente contraddittorio. A chi accusava padre Pio di procurarsi le stimmate con dell'acido fenico - quando non le riteneva frutto di suggestione - si opponevano tanti che ne proclamavano le virtù. A fronte di questa situazione complessa, i cardinali del dicastero pensarono di inviare un visitatore apostolico con lo scopo di verificare di persona la verità dei fatti. Compito difficile: era necessario trovare un "inquisitore" prudente, spiritualmente sensibile, teologicamente preparato.
La scelta cadde su monsignor Carlo Raffaello Rossi, futuro cardinale, da poco consacrato vescovo di Volterra. Il presule, dopo un iniziale rifiuto dell'incarico, fu costretto ad accettare e il 14 giugno 1921, dopo aver risalito i tornanti del Gargano, si trovò davanti a padre Pio. "La fronte alta e serena - scrive monsignor Rossi nella sua relazione - lo sguardo vivace, dolce, l'espressione del viso è di bontà e di sincerità". Ecco come padre Pio apparve a Rossi.
Da quel 14 giugno, per otto giorni, in ogni momento, l'inquisitore si mise a "pedinare" il cappuccino. A tavola scoprì che non mangiava molto ma che era improprio dire che fosse perfettamente digiuno. Con i confratelli padre Pio si rivelava "molto gentile", scherzoso. Dai superiori era particolarmente amato perché "esemplarissimo, non mormoratore". Lunghissimo era il tempo trascorso in confessione: 10-12 ore al giorno. La Santa Messa, infine, era vissuta con straordinaria devozione.
Povero perché privo di tutto, profondamente puro di cuore, padre Pio colpì monsignor Rossi per la sua ubbidienza. Il vescovo gli chiese se intendeva ubbidire sempre alla Chiesa e lo stimmatizzato gli diede una risposta incisiva: "Sì, eccellenza, perché per la Santa Chiesa è lo stesso Dio che parla".
Osservare padre Pio non bastò all'inquisitore. Decise di interrogare il frate chiedendogli di narrare la sua vita umana e mistica fin nei minimi dettagli. Fu una raffica di domande: ben centoquarantadue. Con le mani sul vangelo e sotto giuramento, padre Pio gli ubbidì e compose, in sei deposizioni, una sorta di autobiografia, un documento di fondamentale importanza. Chi lo aveva stimmatizzato? Per quale ragione? Gli aveva affidato una missione? A queste domande, sino a oggi prive di riscontro, il cappuccino rispose: "Il 20 settembre 1918 dopo la celebrazione della Messa trattenendomi a fare il dovuto ringraziamento nel Coro tutto a un tratto fui preso da un forte tremore, poi subentrò la calma e vidi Nostro Signore in atteggiamento di chi sta in croce, ma non mi ha colpito se avesse la Croce, lamentandosi della mala corrispondenza degli uomini, specie di coloro consacrati a Lui e più da Lui favoriti. Di qui si manifestava che Lui soffriva e che desiderava di associare delle anime alla sua Passione. M'invitava a compenetrarmi dei suoi dolori e a meditarli: nello stesso tempo occuparmi per la salute dei fratelli. In seguito a questo mi sentii pieno di compassione per i dolori del Signore e chiedevo a lui che cosa potevo fare. Udii questa voce: "Ti associo alla mia Passione". E in seguito a questo, scomparsa la visione, sono entrato in me, mi son dato ragione e ho visto questi segni qui, dai quali gocciolava il sangue. Prima nulla avevo".
Ma non è tutto. A questo punto l'inquisitore volle vedere con i suoi occhi e decise di mettere il dito nella piaga. Tolte le bende dalle mani del cappuccino, esaminò con rigore le stimmate del frate. Le guardava, le controllava e, mentre riguardava, chiedeva. Ne risultò un esame originale con risvolti affascinanti e inattesi. La piaga del costato, cambiava spesso aspetto e in quel momento aveva assunto una forma triangolare, mai osservata da alcuno. Su tutto ciò padre Pio offrì risposte precise e dettagliate spiegando di persona che le sue piaghe, soprattutto quelle dei piedi e del costato, avevano un aspetto cangiante. Oltre alla descrizione fisica delle stimmate, monsignor Rossi rifletté a lungo sulla loro origine. Molte le ipotesi esaminate. Ma tutte si rivelarono contraddittorie o infondate, tranne una: quella dell'origine divina del singolare dono mistico.
"Le stimmate in questione ed esame - concluse Rossi - non sono né opera del demonio, né un grossolano inganno, una frode, un'arte di un malizioso o un malvagio (e) nemmeno un morboso prodotto di suggestione esterna (...) nemmeno le crederei effetto di autosuggestione, per le ragioni esposte a suo luogo". In definitiva, osservò l'inquisitore, gli elementi distintivi "delle vere stimmate si riscontrerebbero in quelle di padre Pio". Altri fatti colpirono l'inquisitore. In primo luogo le febbri altissime, poi il profumo, che percepì lui stesso, a ondate, a momenti, a distanza. Infine, prima di redigere la sua relazione per i cardinali del Sant'Uffizio il visitatore osservò, indagò, domandò anche ad altri testimoni. Raccolse un materiale così abbondante che, sebbene finora sconosciuto, rappresenta, sotto ogni punto di vista, un resoconto completo e originale sul cappuccino.
Cosa emerge di innovativo e definitivo da questa inchiesta? Molti elementi. Il temuto dicastero romano non fu, in queste circostanze, un nemico di padre Pio, tutt'altro! Monsignor Rossi si rivelò un inquisitore preciso fino all'esasperazione ma anche un uomo maturo e di autentico valore, privo di ingiustificate durezze verso il suo inquisito. Se negli anni seguenti, nonostante altre accuse, padre Pio non subì gravi sanzioni canoniche fino al 1931, lo si deve proprio al penetrante giudizio del futuro cardinale. Alla luce della sua relazione, per il Sant'Uffizio padre Pio non era un burbero ma un frate "molto gentile" la cui bontà era chiaramente conosciuta. Circa le stimmate, l'unica indagine del Sant'Uffizio sulle piaghe fu proprio quella di Rossi, un'indagine dall'esito completamente positivo che non fu più messa in discussione fino al 1939. Grazie alle richieste finali di monsignor Rossi, peraltro, l'ex Sant'Uffizio possiede la Cronistoria di padre Pio, scritta dal suo padre spirituale padre Benedetto, un documento ricchissimo di informazioni e sinora pressoché ignorato. Anche per la storia del Sant'Uffizio l'inchiesta del 1921 su padre Pio offre nuovi elementi che illuminano il ruolo di un organismo ecclesiale giudicato spesso dal tribunale delle opinioni in modo approssimativo. In particolare gli atti ora pubblicati permettono di capire la vera portata delle relazioni di Gemelli, relazioni non così decisive come si immaginava. Non solo. Anche le restrizioni ministeriali del 1931, alla luce dei documenti, si rivelano volte ad arginare la devozione verso il frate di Pietrelcina e non dirette a smentire la sua autenticità.
Cosa sia avvenuto a padre Pio dopo il 1939 - anno a partire dal quale è ora impossibile studiare i documenti - e quali informazioni riceveremo, smentendo luoghi comuni o confermandoli, è ancora impossibile saperlo. Rimane vera e penetrante invece, la valutazione su padre Pio di monsignor Rossi che, nel lontano 1921, scrisse: "Padre Pio è un buon religioso, esemplare, esercitato nella pratica delle virtù, dato alla pietà ed elevato forse nei gradi di orazione più di quello che non sembri all'esterno; risplendente in particolar modo per una sentita umiltà e per una singolare semplicità che non son mai venute meno neppure nei momenti più gravi, nei quali queste virtù furono messe per lui a prova veramente grave e pericolosa".

(©L'Osservatore Romano - 20 settembre 2008)

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