2 settembre 2008

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L'omelia del cardinale Schönborn

Bisogna andare dietro a Gesù

Dell'omelia pronunciata durante la messa dal cardinale arcivescovo di Vienna, pubblichiamo una nostra traduzione italiana.

Santo Padre! Cari fratelli e sorelle!

Cum timore et tremore mi avvicino al Vangelo odierno. I Vangeli non contengono parola di Gesù più dura di quella su Satana, che Egli rivolge niente di meno che a colui che ha chiamato la "pietra", sulla quale edificherà la sua Chiesa, a quello stesso Simone, figlio di Giona, che aveva chiamato beato perché aveva confessato Gesù come il Messia, il Figlio del Dio vivente, non sulla base del proprio ragionamento, ma perché suo Padre nei Cieli glielo aveva rivelato.
Gesù si è forse rimangiato la grande promessa? Nello stesso tempo Gesù ha voluto o dovuto dimostrare a Pietro che può anche utilizzare male il potere delle chiavi, ossia non usarlo secondo la volontà di Dio, ma secondo quella degli uomini. Pietro è fin dall'inizio colui che vuole sempre evitare che Gesù percorra il suo cammino ripido e stretto e cerca di portarlo sulla strada larga del mondo e della sua "ragione", come un teologo ortodosso ha interpretato questo passo" (Cfr. André Scrima, Infaillibilité, in Colloque Castelli, Roma 1970, pp. 575-576), nel senso del Grande Inquisitore di Dostoevskij.
Questa non è sicuramente l'interpretazione dei Padri. Gesù stesso introduce Pietro nella grande comunità dei discepoli, di cui è chiamato a essere pastore. "Se qualcuno vuole venire dietro di me, prenda la sua croce e mi segua". Come Pietro nella sua confessione è il primo al quale Gesù affida il "presiedere nell'amore" e il discepolo, che a nome di tutti i discepoli esprime la stessa confessione di Cristo, del Figlio del Dio vivente, così Pietro, nella narrazione odierna, è al contempo il Pròtos, che Gesù rimprovera così duramente perché gli ha affidato così tanto, e il discepolo in cui noi tutti ci possiamo riconoscere per il suo amore per il Signore "Tu sai che ti amo!" e per il suo rinnegamento rivelato in maniera manifesta.
Il Vangelo odierno ci permette non solo di vedere Pietro. Tua res agitur! Io sono Pietro, noi siamo Pietro, sempre di fronte allo skàndalon crucis. Dobbiamo e possiamo amare Pietro come il discepolo! E rendiamo grazie a Gesù che ci ha donato lui come nostro pastore.
"Dio te ne scampi!" Il Messia deve soffrire e essere ucciso? Questo non ti deve accadere. Schlatter traduce: "Dio ti è misericordioso. E quindi ciò non ti accadrà". Pietro è sicuro che Dio non può volere questo e osa rimproverare Gesù, osa letteralmente "sgridarlo" (epitimàn).
Quanto Pietro parla per noi tutti! In lui non è solo l'umana paura del dolore a parlare e non è neanche solo l'amorevole sollecitudine per il maestro, per colui che non vuole vedere soffrire. Per Schlatter si tratta, a ragione, della "certezza di Dio", che permette a Pietro di muovere quei rimproveri a Gesù. "Non può essere la Sua volontà"!
Il verbum crucis resta un'ignominia. Rimane il grande interrogativo sul perché per Gesù deve esserci questo "bisogna" e perché per i discepoli questa deve essere la sola via della sequela di Gesù. Noi rimaniamo sempre principianti su questo cammino e Pietro è per noi un modello confortante.
Ma perché questa espressione dura "satana"? È lui che parla in Pietro? È lui che sta dietro le sue parole? Crisostomo afferma che Pietro nelle due parti della scena (confessione del Messia e rifiuto del dolore) mostra ciò che l'uomo può fare da sé e ciò che può fare tramite la grazia. Senza la grazia quello che ci sembra ragionevole si trasforma in opposizione a Dio, in un terreno per Satana.
Pensare tà tù theù e non tà tòn anthròpon: quanto è difficile imparare questo! Dove ciò non si verifica l'umanità non è sostenibile. Un pensiero solamente umano diventa molto presto un pensiero abitato da Satana.
Gesù indica la via a Pietro: Hupàge opìso mù. Com'è possibile che la traduzione unica si possa assumere la responsabilità di affermare: "Lungi da me Satana! Allontanati dal mio sguardo". Non riesco proprio a capire! Opìso mù è l'espressione della vocazione dei primi discepoli. Dèute opìso mù era la chiamata di Gesù a Simone e ad Andrea sulle rive del mare (Matteo, 4, 19). Ora questa è la chiamata a tornare il più presto possibile alla sequela "seguitemi!". Non metterti sulla mia strada, Satana, sei uno skàndalon, un ostacolo lungo il mio cammino!
La chiamata di Gesù alla nuova sequela è anche un ricordo della felicità a essa legata. L'episodio di Cesarea di Filippo dovrebbe essere accaduto dopo il discorso nella sinagoga di Cafarnao, quando Gesù parlò del pane del cielo, della sua carne e del suo sangue. Già allora molti se ne erano andati. Scandalosa non era solo la parola riguardo la croce, ma anche l'annuncio dell'Eucaristia "Forse anche voi volete andarvene via?", aveva chiesto Gesù. "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio" (Giovanni, 6, 68-69).
Così è anche oggi per noi: la parola della croce resterà uno scandalo, un'ignominia, un dispiacere fino a quando guarderemo nuovamente a lui, cammineremo dietro di lui e vivremo sempre la nuova conferma: la vita ha riuscita, si realizza e diviene felice soltanto quando noi rinneghiamo noi stessi con lui, quando siamo pronti a perdere la nostra vita. La gioia del dono è la risposta di cui Pietro aveva bisogno e che trovò nella rinnovata sequela del suo Signore.
Questa è la logikè latrèia, il "culto ragionevole" di cui Paolo parla oggi: il dono dei nostri sòmata, del nostro corpo, della nostra vita, di noi stessi come sacrificio che piace a Dio.
Il dono vissuto come via della sequela di Gesù si è sempre dimostrato piena realizzazione dell'essere uomo. La storia di tanti testimoni lo dimostra.
Tuttavia, nonostante tutte queste esperienze, resta la parola della croce, la realtà della croce, pesante, dolorosa, un'ignominia, una porta stretta, la sola attraverso la quale possiamo raggiungere il suo Regno. Se lui non ci aiuta a passare attraverso questa porta stretta, non possiamo sicuramente farcela. Tuttavia, Gesù prese Pietro per mano quando stava per affogare e lo guardò quando lo aveva tradito. Come potremmo non avere fiducia?

(©L'Osservatore Romano - 1-2 settembre 2008)

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