14 settembre 2008

Lectio del Papa alla cultura francese: "Gli intellettuali non vanno alla guerra" (Nava)


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Gli intellettuali non vanno alla guerra

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Critico il rettore della Moschea di Parigi: «Avremmo voluto sentire accenni sul dialogo fra Islam e Chiesa e sui valori condivisi»

Massimo Nava

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

PARIGI — Sul palco, accanto a una pianta d'ulivo, c'è Herr Professor, il Papa teologo. E in platea, quello che si autodefinisce «il parlamento del sapere » o «l'assemblea del pensiero indipendente », la crema della cultura e delle istituzioni accademiche di Francia.
Settecento, fra storici, intellettuali, filosofi, artisti ascoltano la «lectio magistralis » di Benedetto XVI che sembra lontana dalla concezione maggioritaria nell'«intellighenzia» transalpina. Il mondo laico, fedele ai principi della Republique, ascolta in silenzio, alla fine applaude, evita commenti su «la ricerca di Dio come fondamento della speculazione intellettuale», ma si intuisce che le aspettative - dopo l'esaltazione della laicità positiva erano forse diverse. Non è questione di schieramento politico, ma di sensibilità condivise.
A due anni esatti (con una differenza di due ore) dal controverso discorso all'università di Ratisbona contro il fanatismo religioso, Benedetto XVI, il Papa teologo, ha rimesso al centro della cultura il rapporto fra fede e intelletto, esprimendo una condanna del relativismo culturale, che rafforzerà agli occhi della cultura francese l'immagine di un Pontificato attento alla tradizione.
Il Papa ha scelto un luogo emblematico, con una storia emblematica della Francia spirituale e della Francia laica: il Collegio dei monaci bernardini, nel cuore del quartiere Latino - un ex centro di preghiera, trasformato in carcere durante la Rivoluzione, poi in dormitorio per la scuola di polizia, lasciato all'incuria e riportato all'antico splendore dalla Diocesi di Parigi.
Un luogo ideale, per ricordare l'«ora et labora» dei monaci, esaltare il canto religioso «che innalza l'uomo» e sostenere che se viene a mancare la «misura di Dio» la formazione del mondo può «facilmente trasformarsi nella sua distruzione».
Presenti, due ex capi di Stato simbolicamente in contrasto su questioni di fede e politica: Giscard d'Estaing, che avrebbe voluto la menzione delle radici cristiane nella Costituzione europea e Jacques Chirac, il presidente della recente legge sulla laicità della Republique. Invitati anche rappresentanti di altre religioni. «Avremmo voluto anche sentire accenni sul dialogo interreligioso, fra Islam e la Chiesa, e sui valori condivisi», dice alla fine il Rettore della Moschea di Parigi, Dalil Boubakuer.
Ma Benedetto XVI parla soltanto di ricerca di Dio, del «querere Deum» dei monaci, che affonda nel Medio Evo come metodo di vita.
«Attenzione - ammonisce - a ritenere che la ricerca libera, le scienze, l'arte, la musica - in sintesi, la cultura - possano escludere come "domanda non scientifica" la ricerca di Dio. Questa ricerca rappresenta le "radici della cultura europea" e il percorso culturale dell'uomo libero ». Qual è l'atteggiamento veramente filosofico - si chiede il Papa - se non «guardare oltre le cose penultime e mettersi alla ricerca di quelle ultime, vere?». Dio è diventato «il grande sconosciuto», ha detto il Papa. Ciò è vero in una Francia laica, in crisi di pratica quotidiana e di vocazioni, anche se la realtà di ieri contrasta con statistiche e diffidenze intellettuali: la grande attenzione con cui è stata seguita la «lectio magistralis» sui grandi schermi nella piazza gremita di Notre Dame, il bagno di folla sul Lungosenna.
Difficile comprendere che cosa possa davvero significare in questa Francia figlia della Rivoluzione, cartesiana e pragmatica - l'affermare che «ciò che ha fondato la cultura dell'Europa - la ricerca di Dio - resta il fondamento di ogni vera cultura ». C'è un mondo che non accetta questa concezione e resta perplesso anche di fronte alla «laicità positiva» esaltata dal presidente Nicolas Sarkozy. L'aggettivo «folle» impiegato dal presidente per deprecare la negazione delle radici cristiane «farà molto discutere», preannuncia all' uscita dal «College» lo storico Max Gallo, laico e socialista, oggi consigliere culturale dell'Eliseo.
L'impressione che il Papa sia andato oltre la «laicità positiva», proponendo un ritorno ai fondamentali, addirittura alla regola monastica, «misura di Dio», è diffusa fra gli intellettuali. Dice Max Gallo: «La lezione è complessa, va studiata e riletta, ma certamente questo è il passaggio decisivo che sembra stare a cuore al Pontefice: la questione dell'identità e della specificità del pensiero della Chiesa. Ma non è una nuova invadenza di campo. Al contrario, Benedetto XVI ci ha detto che la religione non è politica e la politica non è religione. Ha usato la storica frase: date a Cesare quel che è di Cesare. Tuttavia ha ricordato al mondo della cultura che questa è la filosofia della Chiesa, un ritorno ai fondamentali senza cadere nel fondamentalismo e nel fanatismo. Contro questo rischio, c'è la ragione, con la R maiuscola».

© Copyright Corriere della sera, 13 settembre 2008 consultabile online anche qui.

La lezione del Papa verte sulla nascita della teologia e sulle radici cristiane dell'Europa.
Benedetto XVI ha affrontato il tema del dialogo interreligioso in piu' e piu' occasioni. Non vedo la ragione di fare polemiche inutili.
Se e' vero che la lectio di Parigi e' una naturale prosecuzione di quella di Ratisbona, si parta da quest'ultima che va riscoperta in tutto il suo valore.
Come italiana, sono rimasta colpita dalla maturita' e dalla disponibilita' all'ascolto degli intellettuali francesi.
Ripensando alla Sapienza c'e' "un tantino" da vergognarsi...

R.

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