3 settembre 2008

India: «Così vogliono cancellare noi cristiani». L’odio e la disinformazione spopolano sui giornali (Avvenire)


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VIOLENZE ANTI-CRISTIANE IN INDIA: RACCOLTA DI ARTICOLI

«Così vogliono cancellare noi cristiani»

Conversioni con la forza. Anche il premier Singh condanna

DAL NOSTRO INVIATO A BHUBANESHWAR (ORISSA)

CLAUDIO MONICI

L’ uomo che non parla è av­volto dall’unica cosa che gli è rimasta, una pezza color pesca. Trascorre il tempo restando­sene appiccicato con la nuda schie­na alla parete di mattoni. Sembra in attesa. Come se da un momento al­l’altro delle belve ringhiose dovesse­ro sbucare dalla giungla. Ma le belve, lui, le ha già negli occhi e nella testa. Gridano vendetta e ira, agitando ba­stoni e lame taglienti sporche di san­gue. Nel suo sguardo fatto di immo­bile silenzio, l’uomo si rivede mentre fugge per abbandonare casa e villag­gio sulle colline di Sambara Nayak. Fugge sconvolto dalla vampata di violenza scatenata da bande anticri­stiane che hanno riacceso l’odio re­ligioso nello Stato indiano di Orissa, nel Golfo del Bengala.
La sua, così come quelle raccontate dagli altri fuggiaschi che gli stanno accanto, è una memoria che non smette di rievocare le urla e la paura della morte. Il pianto di chi è rimasto indietro, le lacrime di chi ha perso un familiare. Come è accaduto a Rasa­nanda Pradhal, bruciato vivo sotto lo sguardo fuggiasco del fratello Moti­lal, mentre le capanne con la croce ardevano, insieme alle chiese. E i morti da ab­bandonare al loro destino di cadaveri insepolti.
Ci raccontano che da quan­do è stato accolto nel centro di assistenza sfollati orga­nizzato dalla locale «Asso­ciazione della gioventù cri­stiana », ( Young men chri­stian association, «Ymca»), un servizio interconfessio­nale comune tra confessio- ni cristiane, l’uomo che non parla ha soltanto pronunciato il suo nome, Raipali Gudaya, è poi più niente. Pa­dre di quattro figli, di uno non si sa più dove sia finito. E la sua è anche la storia di migliaia di cristiani che in queste ore, dopo più di una settima­na di assurda violenza e uccisioni, ancora sfidando le insidie della giun­gla cercano di mettersi in salvo dalla rabbia indù, che adesso costringe ad abiurare la propria fede, in cambio della vita. Oppure come ha fatto que­sto gruppo di 211 rifugiati, per tre quarti donne e bambini, che hanno dovuto camminare nascosti per più di 250 chilometri nella giungla, prima di riuscire a raggiungere un piatto di riso nella capitale dell’Orissa, Bhu­baneshwar. Dove, al di là della trage­dia che si sta consumando all’inter­no dello Stato, e i pochi militari ar­mati di bastone che fanno da guar­dia alla chiesa di San Vincenzo e agli uffici dell’arcidiocesi, l’unico rischio evidente all’occhio dello straniero, per il momento, è quello di non es­sere falciati dall’infestante e disordi­nato caos di automobili e motorette. È difficile dire se la gravità della si­tuazione nello Stato di Orissa abbia già raggiunto il suo culmine e se, so­lo questioni di tempo, poi tornerà quella calma che ha sempre covato sotto la cenere; oppure se quanto ac­caduto in questi giorni, è la dram­matica conferma dell’insorgenza di una malattia che si teme sia assai più diffusa e che si sta espandendo.
Le informazioni che raggiungono la capitale, le storie, a volte riportare an­che di seconda o terza mano, come attraverso la telefonia mobile, narra­no di zone isolate in cui è ancora la violenza ad essere padrona della vi­ta e della morte di chi non si dichia­ri Indù. Si racconta di gruppi di ban­de che praticamente controllano cu­muli di cenere, ciò che resta di piccoli o grandi villaggi, ma che sono pron­te a fare il loro sporco lavoro non ap­pena incontrano chi non possiede l’impronta di vernice rossa sulla fron­te, e la testa rasata, segno di apparte­nenza all’induismo. La situazione resta difficile nel di­stretto di Kandhmal, dove c’è anco­ra in vigore il coprifuoco, intanto che le forze dell’ordine, con notevole ri­tardo, prendono possesso e control­lo

© Copyright Avvenire, 2 settembre 2008

i media

L’odio e la disinformazione spopolano sui giornali

Sul «Times of India» messaggi dal tenore inequivocabile: «È tutta colpa dei missionari, rimandiamoli a casa»

DI GIORGIO BERNARDELLI

C’ è un luogo comune da sfatare riguardo alle violenze anti-cristiane che in questi giorni stanno scon­volgendo lo Stato indiano del­­l’Orissa: l’idea che siano un fe­nomeno legato a una zona tri­bale di questo grande Paese, lon­tano anni luce rispetto all’India di Bolliwood o della Borsa di Mumbai. Basta dare uno sguar­do ai commenti dei lettori agli ar­ticoli sull’Orissa che compaiono sull’edizione on line del Times of India – uno dei principali quoti­diani indiani – per accorgersi che non è così. In un inglese impec­cabile, fioccano messaggi del te- nore: «È tutta colpa dei missionari cristia­ni, rimandiamoli a casa». Segno eloquen­te di come il fondamentalismo indù abbia radici salde anche in tanti salotti buoni del Paese. «Perché – scrive ad esempio Dee­pak, da New Delhi – permettiamo che la gente semplice delle campagne si con­verta dall’induismo al cristianesimo? Le attività sociali dei cristiani non dovrebbe­ro essere permesse. Che cosa facevano la polizia e le autorità locali dell’Orissa quan­do loro le aprivano?». «Sappiamo tutti – rincara la dose Kittiga­du, da Anakapalli – che i missionari sono uno dei fronti dell’imperialismo. Con cinque miliardi di dollari di offerte fi­nanziano le loro conversioni». Laksh­mi, del Kerala, riconosce che i missio­nari svolgono un lavoro positivo con i poveri. «Ma perché vengono solo in India? – chiede polemicamente –. Nel mondo i poveri sono solo indù? Non ci so­no poveri nelle nazioni musulmane? E non ci sono poveri cristiani da cui andare?».

Quello che colpisce è il tasso molto alto di disinformazione contenuto in questi mes­saggi. Segno di quanto le campagne anti­cristiane dei nazionalisti abbiamo prepa­rato il terreno alle violenze. Ad esempio questi lettori se la prendono con i cristia­ni che vengono dall’estero: ma è dagli an­ni Sessanta che il governo indiano non ri­lascia nuovi visti per i missionari. Quelli stranieri presenti nel Paese ormai hanno tutti più di settant’anni; la grande mag­gioranza dei «missionari» oggi sono preti e suore indiani, figli di comunità cristiane che in alcuni casi hanno anche radici mol­to antiche. Dove dovrebbe «rimandarli» l’India?

Un altro fatto insospettabile è leggere che messaggi intrisi di fondamentalismo indù provengono anche dalla diaspora indiana. «Dovunque i missionari cristiani sono an­dati nel mondo – scrive Sanjay da Londra –, le culture locali sono state cancellate. Guardate a quanto è successo in Suda­merica o in Asia. Dobbiamo cacciare fuo­ri i missionari dall’India e tutti i pro­blemi scompariranno da soli». «Se convertire gli altri con lusinghe, fal­se promesse e uso della forza è un di­ritto naturale di ogni persona, per­ché non permettere le conversioni anche nella Città del Vaticano? – aggiun­ge sarcastico un lettore anonimo dagli Sta­ti Uniti –. Gli abitanti del Bangladesh e del Pakistan sono più poveri degli indiani: per­ché il Papa non va là a operare le sue con­versioni?».
Fortunatamente sul sito c’è anche chi prende posizione contro questi deliri. «Ho lavorato con i missionari cristiani in un villaggio quando frequentavo il college – scrive Harold da Mangalore –. Ho visto co­me vivono e che cosa fanno in favore dei più poveri. Considerato che i nostri ragazzi e le nostre famiglie sognano tutti una vita migliore – e appena possono vanno a la­vorare in Occidente – non vi sembrano i­pocriti questi vostri discorsi? Se i missio­nari fanno del bene perché li denigrate?». Una sprazzo di lucidità. In mezzo a un ma­re di intolleranza formato high-tech.

© Copyright Avvenire, 2 settembre 2008

La Farnesina convoca l’ambasciatore indiano: «Preoccupati dalle violenze, prevalga il dialogo»

ROMA. Forte preoccupazione per quanto sta accadendo nello Stato dell’Orissa, per il dilagare della violenza contro i cristiani. Ma anche l’auspicio che le « ferme misure » adottate dalle autorità indiane, a seguito dei gravi attacchi che si stanno susseguendo da una settimana nella regione indiana, « possano porre termine alla violenza e rilanciare il dialogo ed il reciproco rispetto tra le varie componenti della società » . È quanto ha affermato il segretario generale della Farnesina, Giampiero Massolo al ministero degli Esteri, l’ambasciatore indiano Arif Shahid Khan – ricevuto ieri mattina – che gli ha ampiamente illustrato i passi adottati governo. L’ambasciatore Massolo, si è appreso alla Farnesina, ha sottolineato che l’Italia apprezza « grandemente le pratiche consolidate di pacifica convivenza che caratterizzano la moderna democrazia indiana » ed in queste drammatiche circostanze « tiene a confermare i sentimenti di profonda amicizia e fattiva collaborazione in ogni campo tra i due Paesi, entrambi fondati su valori di pluralismo e rispetto dei diritti umani fondamentali, in particolare della libertà religiosa » . Da parte di New Delhi nessun commento ufficiale. « Il governo indiano non intende commentare la convocazione dell’ambasciatore da parte del ministero degli Esteri italiano » . Lo ha dichiarato Anurag Srivastava, numero due dell’ufficio stampa del ministero degli Esteri indiano, responsabile dei rapporti con i media stranieri. Nei giorni scorsi il primo ministro indiano Manmohan Singh aveva assicurato, dopo un incontro con una delegazione della Conferenza episcopale indiana, aveva assicurato pressioni sul capo di governo dell’Orissa, Naveen Patik – il cui partito di governo è alleato del partito nazionalista indù Bharatiya Janata, ritenuto vicino agli estremisti – affinchè prendesse « immediati provvedimenti per ristabilire la normalità » nello Stato orientale e di predisporre aiuti per la popolazione sfollata e le vittime delle violenze.

© Copyright Avvenire, 2 settembre 2008

Gli attacchi non sono stati fermati: date alle fiamme altre quattro chiese

DA NEW DELHI

La violenza nell’Orissa è tutt’altro che spenta. E cosa ancora più inquietante, rischia di tracimare oltre i confini dello Stato indiano, e di contagiare le aree limitrofe. Anche il bollettino di ieri ha infatti registrato attacchi e profanazioni. Nella regione, epicentro delle violenze scoppiate la settimana scorsa che hanno provocato la morte di almeno 22 persone e costretto alla fuga migliaia di famiglie cristiane, sono state bruciate altre quattro chiese. E come segnala AsiaNews la campagna anticristiana – e anticonversione – si sta allargando in altre parti del Paese.
Nel Madya Pradesh (India centrale), mentre i cristiani hanno osservato tre giorni di digiuno per i loro fratelli di fede in Orissa, gruppi del Bajrang Dal hanno inscenato manifestazioni bruciando fantocci che rappresentano missionari. Anche se vi sono stati tafferugli con studenti cristiani, l’intervento della polizia ha evitato vittime. A Chitradurga nel Karnataka, un pastore protestante, della chiesa di Sharon, è stato picchiato subito dopo la funzione domenicale. Il gruppo dei radicali indù era entrato in chiesa segnando con pigmento rosso tutti i fedeli radunati, come segno di “riconversione all’induismo”. La polizia era presente, ma non è intervenuta. Sul fronte politico è da segnalare l’intervento del primo ministro indiano, Manmohan Singh, che ha assicurato che il governo centrale ha «preso seriamente in considerazione» i fatti dell’Orissa. Lo ha riferito un comunicato dell’ufficio del primo ministro indiano, trasmesso alla fine del colloqui di Singh con il leader dell’opposizione in Kerala, Stato meridionale a forte presenza cristiana. «Il primo ministro – si legge nel comunicato – ha personalmente parlato al primo ministro dello Stato dell’Orissa, per assicurare l’armonia e arrestare i colpevoli che sono dietro gli incidenti. Il primo ministro ha avuto assicurazione dal primo ministro agirà in maniera ferma sull’argomento».
Singh ha assicurato che il governo centrale provvederà assistenza alle famiglie delle vittime e di coloro che hanno perso la casa ed hanno subito danni durante gli scontri religiosi. Ieri la Conferenza dei vescovi cattolici dell’India (Cbci) ha denunciato il «regno del terrore senza precedenti» che ha inghiottito l’Orissa.
Un giornalista in­diano P.E. James del Madhyaman Daily, di ritorno da un viaggio nelle zone «off limits» del distretto di Phulbani, aree interdette agli stra­nieri, ci ha raccontato della distru­zione ma di «non avere visto cada­veri abbandonati per le strade, sep­pure migliaia di persone sfollate: 10.000 rifugiati in un campo nella cittadina di Gudaigiri e almeno 4000 in quella di Raikia». In condizioni pe­nose.
Comincia a scoperchiarsi qualcosa anche sulle «conversioni», defini­zione usata dalla stampa indiana: quello che sta accadendo in realtà è qualcosa di più violento. Dove la fu­ria disumana è andata a cercare di spezzare col sangue la presenza cri­stiana adesso c’è qualcosa che vie­ne imposto violentandone la vo­lontà: una abiura che altro non è che una scelta generata dal terrore. Quel­la di trovarsi da soli a decidere se mo­rire di pugnale o farsi imprimere un pollice rosso sulla fronte.
«Abbiamo incontrato il governatore dello Stato, Murlidar Bhondari, è gli abbiamo detto che stanno conver­tendo i cristiani all’induismo con la minaccia. La nostra gente ha il ter­rore di tornare al proprio villaggio e al governatore abbiamo chiesto di garantire la loro sicurezza – ci rac­conta il dottor Swarupananda Patra, presidente di “ Ymca” e del Forum delle minoranze in Orissa, nonché segretario generale della Chiesa Bat­tista –. Il piano è preciso: distrugge­re la presenza cristiana nello Stato». Per il dottor Bondari la mano che uc­cide è quella del «puro fanatismo re­ligioso », però «sostenuta da gruppi politici della destra integralista» che già guardano alle elezioni nel conti­nente India del 2009.

© Copyright Avvenire, 2 settembre 2008

1 commento:

euge ha detto...

Questi articoli non fanno che confermare questo clima di odio e di intolleranza verso i cristiani che ormai dilaga dalle forme più lievi a quelle più violente come in India.
Fa paura ma, allo stesso tempo indigna e disorienta l'assordante silenzio che circonda questi tristi eventi; nessuna parola di condanna, nessuna manifestazione di
solidarietà ( mentre i radicali sono stati subito pronti a digiunare per il Tibet e tutti sono stati pronti a condannare la persecuzione da parte della Cina verso i monaci) dico solidarietà neanche protesta! No tutti in perfetto silenzio tutti ignorano con una freddezza che fa paura. Solo la voce di Benedetto XVI e dei giornali cattolici e neanche tutti si è levata a difesa dei cristiani perseguitati in India. E tutti i movimenti religiosi? e le associazioni umaniterie? e i diritti dell'uomo? Tutti andati a farsi benedire e si perchè per il cristiano non ha diritti ma, solo la preerogativa di essere calpestato di diventare carne da macello ad ogni piè sospinto. Forse, sarebbe il caso che per una volta lasciassimo da parte la caratteristica dominante di porgere l'altra guancia e senza arrivare a manifestazioni eclatanti, cominciare a risollevare la testa; ma, tutto ciò secondo me deve partire in primis da ognuno di noi dobbiamo finirla anche noi cristiani di girare la testa dall'altra parte difronte a tanta intolleranza.