3 settembre 2008

Ecco le ragioni profonde della "cristianofobia": interviste a Magister e a Padre Cervellera (Il Sussidiario)


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VIOLENZE ANTI-CRISTIANE IN INDIA: RACCOLTA DI ARTICOLI

INDIA/ Magister: ecco le ragioni profonde della "cristianofobia"

INT. Sandro Magister

Anche se sui media nazionali la questione è andata in secondo piano, la persecuzione dei cristiani nella regione dell’Orissa in India, passata all’onore delle cronache principali solo settimana scorsa per l’episodio dei due cristiani arsi vivi, continua imperterrita e sempre ugualmente feroce. E la situazione, naturalmente, preoccupa non poco la Santa Sede.

Una preoccupazione che secondo il vaticanista dell’Espresso Sandro Magister ha motivazioni molto profonde ed articolate.

Magister, monsignor Mamberti, segretario vaticano per i rapporti con gli stati, al Meeting di Rimini ha lanciato un vero e proprio allarme cristianofobia: perché questa preoccupazione da parte della Santa Sede?

Questa preoccupazione è sicuramente fondata: scorrendo le cronache che i media mondiali danno dei fatti che si succedono sul versante che è all’incrocio tra il politico e il religioso nei diversi contesti mondiali, le reazioni e i giudizi che emergono sono abbastanza diversi.

Ci sono reazioni sistematicamente molto forti, talora molto nervose, quando ci sono atti e parole che feriscono la sensibilità di musulmani ed ebrei; non altrettanto avviene invece quando si tratta di atti e parole che colpiscono direttamente i cristiani.

C’è questa differenza fondamentale che induce la Chiesa a lanciare un segnale d’allarme, cioè a richiamare l’attenzione di tutto il mondo su un fenomeno grave, che riguarda i cristiani in quanto cristiani. Va detto anche che quello scarso interesse e quella scarsa sensibilità che si rivela in generale nei confronti di azioni che colpiscono i cristiani è un fenomeno che ha delle forme persino dentro al mondo cattolico. C’è una scarsa sensibilità degli stessi cattolici, in larghi strati della Chiesa, nei confronti di attacchi e persecuzioni che colpiscono parti della Chiesa in regioni importanti del globo.

Un’altra cosa che colpisce è il fatto che i giornali parlino degli scontri come quelli che avvengono in India quasi fossero la naturale conseguenza delle religioni.

Sì, c’è una corrente culturale, abbastanza diffusa nei media e nell’intellettualità mondiale, che addebita alle religioni indiscriminatamente una sorta di peccato originale, di colpevolezza connaturata che consiste appunto nel generare odio, fanatismo, scontri di cultura e di civiltà. Questo è un tipo di lettura dei fatti che è fortemente ideologizzata, ma che ha un largo seguito in strati importanti dell’intellighenzia mondiale.

In India invece come vengono recepiti e commentati questi fatti?

Le reazioni della stampa indiana, specialmente di quella in lingua inglese che è letta dai ceti istruiti e all’estero, adotta in modo abbastanza sistematico una lettura della persecuzione che colpisce i cristiani a diverse riprese come generata dai cristiani stessi, in quanto esportatori abusivi di una loro fede in un continente che non dovrebbe essere violato nella sua integrità religiosa. Questa lettura è assolutamente priva di fondamento, perché se c’è un grande paese in cui l’espansione del cristianesimo è abbastanza contenuta, anche numericamente, questo è certamente l’India. In India non abbiamo fenomeni di conversione di massa, come talvolta vengono denunciati dagli stessi esponenti indiani. Abbiamo caso mai qualche raro fenomeno, abbastanza circoscritto, di gruppi religiosi di tipo protestantico che tendono a un proselitismo abbastanza intenso. Ma sono fatti circoscritti e che non dovrebbero preoccupare la nazione indiana.

Quali sono i veri problemi alla base del rapporto fra cristiani e induisti?

Il problema vero è che il cristianesimo in India è qualcosa di profondamente dissonante rispetto a quella che è la struttura culturale e civile dell’India stessa da secoli, vale a dire il sistema delle caste. Il cristianesimo per natura è una religione che predica l’uguaglianza: tutti gli uomini sono a immagine di Dio, qualsiasi condizione essi vivano. È questo Vangelo dell’uguaglianza che rompe la crosta del sistema castale indiano, che in realtà include anche una forma schiavistica, non dichiarata come tale ma concretamente molto simile allo schiavismo stesso. Questa forte dissonanza che il cristianesimo produce è una ragione importante, se non la principale, delle reazioni che i settori estremisti dell’induismo attuano contro i cristiani stessi.

I fatti particolarmente violenti di questi giorni sono destinati ad essere circoscritti, oppure dobbiamo aspettarci un ulteriore peggioramento della situazione?

Questi fatti non sono certo una recrudescenza momentanea: guardando al passato sono il riaffiorare, a intermittenza abbastanza stretta, di attacchi violenti che hanno costellato la cronaca degli ultimi anni. L’Orissa tra l’altro è lo stato in cui negli ultimi due o tre anni si sono avute le punte maggiori di questa recrudescenza. Se la sequenza, guardando al passato, è quella che abbiamo descritto, c’è da temere che anche in futuro un fenomeno del genere continui a prodursi, perché effettivamente nella regione indiana non si notano anticorpi abbastanza forti a questo fenomeno.

Il cardinal Bagnasco ha invitato tutti a una maggiore attenzione sui fatti dell’India. In effetti leggendo i media nazionali si ha l’impressione di una scarsa considerazione di questi fatti: condivide questa preoccupazione?

Anche questa è una preoccupazione fondata: i media italiani – naturalmente con alcune virtuose eccezioni – hanno dato un certo spazio alle notizie dell’India solo nei giorni in cui vi sono stati dei picchi della violenza stessa. Quando questa è diventata violenza quotidiana è subito scomparsa dai primi piani, per finire in noticine interne quasi invisibili. Tutto, cioè, si è concluso con la registrazione di fatti come notizie isolate, senza spingersi ad investigare le ragioni profonde dei fatti stessi.

© Copyright Il Sussidiario, 3 settembre 2008

INDIA/ Cervellera: ecco il perché delle persecuzioni ai cristiani

INT. Bernardo Cervellera

La cronaca è crudele. Ieri al Meeting di Rimini è stato riaffermato che le religioni non sono e non devono essere fattore di violenza e di divisione e oggi leggiamo sui giornali che in India due cristiani sono stati bruciati vivi da estremisti indu.
Ma se cerchiamo di capire, scopriamo che la religione c’entra solo fino a un certo punto. E per capire abbiamo chiesto a padre Bernardo Cervellera, direttore dell’informatissimo sito Asianews.it, che sta assiduamente informando sulla critica situazione indiana.

Padre Cervellera, anzitutto i fatti.

Siamo nel distretto di Kandhamal, nello stato dell’India orientale di Orissa. Ieri, in due diversi incidenti, sono morti la missionaria laica Rajani Majhi di 21 anni, arsa viva mentre cercava di salvare gli ospiti di un orfanotrofio della missione di Bargarh, e un uomo, anch’egli bruciato vivo. I responsabili sono gruppi di radicali indu. Quello di ieri, però, non è che l’ultimo di una lunga serie di episodi di violenza che da mesi vede i cristiani della zona attaccati da fanatici indu.

Chi sono?

In sostanza si tratta dei membri del VHS (Vishwa Hindu Parishad), un gruppo militante che ha accusato i cristiani di aver ucciso il loro leader Swami Laxanananda lo scorso 23 agosto. In realtà la polizia ha identificato come autori di questo assassinio i gruppi maoisti, che avevano già minacciato il leader estremista indu. Il quale, a sua volta, è stato il responsabile della precedente fiammata di violenza contro i cristiani lo scorso mese di dicembre. È una catena di violenze che continua da molto tempo.

Perché questi gruppi indu ce l’hanno coi cristiani?

Li accusano di comperare le conversioni dall’induismo al cristianesimo attraverso le loro opere caritative e assistenziali. L’accusa è ovviamente pretestuosa. Non solo perché i cristiani, in quella zona come ogni parte del mondo, fanno opere di carità per amore della persona e non per estorcere conversioni, ma anche perché quando i cristiani hanno chiesto di mostrare un solo caso di convertito in cambio di servizi ottenuti, i fanatici indu non sono stati capaci di trovarne uno solo. Del resto i cristiani dello stato di Orissa sono intorno al 2%; se fosse vero ciò di cui sono accusati, i cristiani sarebbero molti di più.
La ragione del loro odio anticristiano è molto più profonda.

Quale?

L’interpretazione che danno dell’induismo è da un lato nazionalista e dall’altro totalmente rigida. La prima cosa significa che tutto ciò che non appartiene alla loro nazionalità è da rifiutare; in questo nazionalismo estremo alcuni esponenti del Vishwa Hindu Parishad si rifanno addirittura al nazismo. L’interpretazione rigida della religione comporta, d’altro canto, il mantenimento della struttura di casta e, quindi, la sottomissione assoluta dei paria, cioè di coloro che si trovano al gradino più basso della scala sociale.
È chiaro che i cristiani sono malvisti. Prima di tutto sono, secondo loro, “stranieri”. Ma soprattutto, i cristiani aiutano i più deboli con scuole e strutture assistenziali, offrendo loro possibilità di elevazione sociale; vanno quindi a mettere in discussione i pilastri di una grave ingiustizia sociale, che agli estremisti indu sembra invece un caposaldo della religione.

Quindi è vero che l’origine del conflitto è religiosa?

No. È una certa interpretazione della religione. Infatti nello stesso induismo è una frangia fanatica quella che attacca i cristiani. È vero che l’induismo originale prevede la logica delle caste, per cui il paria vale meno di una mosca. Ma già all’Ottocento, anche per l’influsso dei missionari cristiani, l’induismo si è evoluto, si è ampiamente riformato. Non si può, poi, non ricordare Gandhi: pur rimanendo induista, ha fatto capire agli indiani che i paria non sono dei maledetti ma dei figli di Dio. Quindi coloro che attaccano i cristiani stanno in realtà usando della religione per coprire una inimicizia che ha motivazioni sociali.

© Copyright Il Sussidiario, 26 agosto 2008

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