31 agosto 2008

Colloquio con il vicario apostolico di Arabia Paul Hinder: "Testimoni del Vangelo in una terra di frontiera" (Osservatore)


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Colloquio con il vicario apostolico di Arabia Paul Hinder

Testimoni del Vangelo in una terra di frontiera

di Paolo Brocato

"Un cristiano, ovunque si trovi, ha la possibilità di vivere la sua fede, anche nei luoghi e nelle condizioni più difficili. Una testimonianza cristiana è dunque tendenzialmente possibile anche in una terra di frontiera come l'Arabia, dove ci sono evidenti e storiche diversità sociali, culturali e religiose. Lo stesso vale per il servizio di un vescovo". A parlare è il vicario apostolico di Arabia, monsignor Paul Hinder, il quale, dopo essere intervenuto al Meeting di Rimini, ha rilasciato al nostro giornale alcune dichiarazioni sulla situazione dei cristiani in terra d'Islam.
"Se devo essere vescovo, voglio esserlo in terra araba".
Monsignor Hinder, frate cappuccino, 66 anni, originario della Svizzera, ricorda così il desiderio espresso direttamente a Giovanni Paolo ii al momento della sua nomina. Dal marzo 2005 vicario apostolico di Arabia, guida circa due milioni di cattolici della penisola. Vive ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, "quasi a ridosso - precisa - di una delle più grandi moschee del Paese, tanto che posso quasi toccarla dal mio ufficio".
La sua, in termini geografici, grazie a un territorio di circa tre milioni di chilometri quadrati, è la "diocesi" più grande del mondo. Ospita popoli di novanta diverse etnie e abbraccia Paesi come gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein, l'Oman, lo Yemen, il Qatar e l'Arabia Saudita. I fedeli sono soprattutto filippini e indiani, ma ci sono anche moltissimi indonesiani, nigeriani, europei e nordamericani.
Non ci sono cristiani locali. Ci sono solo immigrati, "compreso il vescovo", ironizza monsignor Hinder: "Siamo al cento per cento una Chiesa pellegrina".
"Evidentemente dobbiamo adattarci un po' alla situazione di una terra musulmana dove - sottolinea il presule - non abbiamo le stesse condizioni e possibilità che si avrebbero forse in altri Paesi. Però, guardando i nostri fedeli, devo ammettere di non aver l'impressione che loro credano di meno di altri che hanno più libertà di azione. Anzi ho l'impressione, forse, che contesti particolari, in cui sono più difficili l'espressione e la testimonianza di fede, costituiscano un arricchimento".
Monsignor Hinder parla della possibilità di una testimonianza più incisiva. Tuttavia, i problemi sono molti e di varia natura. Permangono, ad esempio, indubbie difficoltà nel rapporto di reciprocità con la comunità musulmana. "La reciprocità, come la sentiamo noi ordinariamente in Europa, non esiste, a causa delle ragioni cui ho accennato, cioè le profonde diversità nella dimensione storica, sociale, culturale e religiosa. Certo - evidenzia il presule - sono favorevole all'esigenza di una reciprocità, soltanto devo ammettere, guardando l'attuale situazione, che occorre più tempo e talvolta anche maggiore pazienza se non addirittura la ricerca di altre modalità di rapporto".
Il cammino verso gli altri è al tempo stesso personale e comunitario e non privo di rischi. Uno, fra i tanti, a suo avviso, è quello della "tendenza all'arroganza che abbiamo nella nostra cultura, non soltanto riguardo all'islam. Abbiamo la tendenza a considerarci la vetta dello sviluppo dell'umanità. Ma questo non è giusto - spiega - perché non tutti i popoli sono costretti ad avere la stessa storia".
Ci sono anche altri modi di vivere la dicotomia fra il mondo tecnologico, moderno, e il passato della propria storia e la religione. "Anch'io sono convinto che il mondo musulmano debba aprirsi di più alla ragione, secondo un processo che abbiamo attraversato anche noi. Però non è detto che questo debba condurli allo stesso secolarismo". Il presule invita quindi all'"umiltà nel relativizzare" gli esiti finali.
Sempre per quanto concerne il dialogo interreligioso, il vicario apostolico di Arabia ricorda che "dobbiamo essere onesti e rispettosi, ma che insistere sulle reciprocità in senso matematico non funziona". "Innanzitutto, il concetto di democrazia secondo la mentalità occidentale - osserva - è il risultato di un lungo processo che anche la Chiesa ha fatto fatica ad accettare. Non si possono imporre democrazia e diritti come li conosciamo noi, perché sono frutto di un percorso che non è detto sia quello che devono fare anche gli Emirati Arabi".
Nei Paesi arabi, la vita politica è permeata dalla religiosità e proprio questo ostacola la comprensione di un concetto come quello dello Stato liberale europeo. "Per i musulmani la fede è parte integrante della vita", sostiene monsignor Paul Hinder, e il termine reciprocità è investito di un significato ambiguo, che viene mal tollerato.
Più in generale, secondo il presule, occorre "incrementare il dialogo con le autorità spiegando loro la situazione concreta in cui vivono i fedeli cristiani, soprattutto i più emarginati, coloro che hanno difficoltà ad accedere ai nostri centri, coloro che soffrono gravi difficoltà economiche. Si tratta di ravvivare il processo di dialogo attraverso una rinegoziazione. Questo non esclude che anche fuori dalla penisola araba ci si impegni a ricordare a questi governi di ascoltare la loro gente, di concedere ai cristiani maggiore libertà di azione nei vari ambiti della vita quotidiana".
Quella in Arabia è comunque "una Chiesa vivissima, anche se non tanto visibile". E "proprio perché non siamo nessuno, noi siamo protagonisti", sottolinea il presule riprendendo il tema del Meeting. Si vive in uno stato di "libertà condizionata", anche se occorre distinguere tra vita liturgica e fede vissuta in ambito personale. "La situazione - dice monsignor Hinder - è molto diversificata nel vicariato apostolico di Arabia, sebbene in quasi tutti i Paesi esista la libertà di culto, tranne che in Arabia Saudita, che è l'unico a non avere un luogo in cui i cattolici (oltre 800.000) possano riunirsi per pregare. Lo fanno in case private spesso situate in luoghi periferici. Il Re dell'Arabia Saudita, Abdallah, infatti non vieta la preghiera in luoghi privati purché non si rechi disturbo. In ogni parrocchia vi è una cappella dedicata alla Madonna dove pregano anche i musulmani. Le chiese non hanno segni esterni o simboli visibili, come croci o campanili".
Lo scarso numero di sacerdoti ha spinto recentemente alcune comunità locali ad affidare la guida ad alcuni laici. I cristiani in Arabia - dice ancora il vescovo Hinder - si devono organizzare tra loro; le distanze sono grandi, talvolta i sacerdoti sono lontani. Ma non è che la vita di fede o la preghiera s'interrompano. "Ci sono gruppi, movimenti e associazioni che continuano il loro straordinario lavoro anche se, in qualche circostanza, dobbiamo stare attenti e offrire loro il nostro consiglio perché rimangano nell'alveo della visione e del magistero della Chiesa cattolica". In particolare si cerca di dare indirizzi per quanto possibile precisi nel difficile terreno del linguaggio. Appare infatti più che mai necessario un linguaggio prudente che non generi ambiguità interpretative sia sul versante interno, riducendo il messaggio, sia in quello esterno. "Nonostante ciò, dalle nostre parti - afferma monsignor Hinder - la gente è molto pia, con un impegno profondo e una fede che, veramente, mi stupisce in molte circostanze". Anche se, riflette concludendo il vicario apostolico, "poiché Gesù Cristo è, per me, il Figlio del Dio vivente, io devo annunciarlo anche se questo dovesse suonare a qualcuno come un insulto".

(©L'Osservatore Romano - 31 agosto 2008)

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