18 giugno 2008

Paolo Carozza sul discorso del Papa all'Onu: «Servendo la verità educa il cuore dell'uomo» (Tracce)


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Santiago Ramos

Così il giurista di Notre Dame (e presidente della Commissione Interamericana dei Diritti umani) va alle radici degli interventi del Pontefice

Visitando le Nazioni Unite, Benedetto XVI ha continuato la tradizione iniziata da Paolo VI nel 1965, e proseguita da Giovanni Paolo II nel 1979 e nel 1995. Ma il messaggio di papa Benedetto, nel suo contenuto, è stato al tempo stesso sia legato alla tradizione che innovativo. Paolo Carozza, professore associato di Diritto all’università di Notre Dame e recentemente nominato presidente della Commissione Interamericana dei Diritti umani, ci aiuta ad analizzare le idee sviluppate nel discorso del Pontefice.

Perché il Papa tiene in così grande considerazione la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo?

Sta proseguendo l’opera del suo predecessore. Come Giovanni Paolo II, Benedetto XVI già da cardinale ha parlato ampiamente di come l’idea dei diritti umani sia legata all’irriducibilità della persona. I diritti umani hanno senso solo nella misura in cui si può indicare cosa vi sta alla base, ovvero solo se si è consapevoli del significato della persona umana che ne è all’origine. Il motivo per cui il Papa tiene in grande considerazione la Dichiarazione risiede in ciò che essa esprime, la dignità a cui fa riferimento. In un certo senso, tuttavia, l’elogio che il Santo Padre ha fatto della Dichiarazione Universale è stato molto più misurato di quello di Giovanni Paolo II. Una delle letture più fuorvianti del discorso all’Onu è stato il modo con cui i media hanno riportato che il Papa ha «affermato con forza i diritti umani». Be’, è vero e non è vero: certamente ne ha tessuto l’elogio, ma un elogio che sottolinea come la Dichiarazione si basi sull’idea dell’unità della persona. E ha proseguito dicendo che quando l’idea dell’unità e dell’integrità vanno perdute, anche l’idea stessa dei diritti umani si sbriciola e diviene pericolosa.

Nel suo discorso, il Papa ha espresso preoccupazione per il fatto che «quando vengono presentati semplicemente in termini di legalità, i diritti rischiano di diventare labili proposizioni staccate dalla dimensione etica e razionale, che è il loro fondamento e scopo».

È molto acuto. Quando i diritti umani traggono il loro significato e la loro autorità da atti formali di organismi legali, allora il rischio è che non poggino su nessuna base solida. Solo quando la loro autorità deriva dal loro essere espressione di ciò che è richiesto nella sostanza della relazione di giustizia fra gli individui, allora ciò conferisce loro una sorta di certezza, rendendoli concetti che non possono essere manipolati o ignorati.
Se abbiamo semplicemente a che fare con un’istituzione che afferma qualcosa, allora qualsiasi cosa può essere un diritto umano, qualsiasi desiderio, qualsiasi interesse dipenderà da chi detiene il potere. Ciò sarebbe un tradimento degli ideali originali della Dichiarazione e delle sue elevate aspirazioni all’universalità.

Il Papa sembra individuare l’origine dell’idea di diritti umani nel pensiero del filosofo scolastico Francisco de Vitoria.

In de Vitoria ha individuato l’idea della responsabilità delle autorità pubbliche di proteggere il bene comune. Dall’idea classica di legge naturale, ha difeso la controversa idea contemporanea di “responsabilità di proteggere”, o “RdP”, per usare il gergo di oggi. La RdP, come Benedetto la descrive, riconosce che la protezione del bene comune è sempre la misura della legittimità dell’intervento dell’autorità. Riconducendo l’idea a de Vitoria, e prima della nascita del moderno stato-nazione, il Papa non sta solo affermando la legittimità del principio, ma ci sta anche ricordando che si tratta di un principio che la Chiesa ha sempre indicato come vero, ossia che l’autorità della legge e del governo derivano dal loro essere al servizio del bene comune. Così, da un lato egli ripropone il ruolo della Chiesa nelle questioni internazionali, che consiste nell’educarci a questi principi di verità e di giustizia; dall’altro rimprovera all’Onu e ai vari soggetti coinvolti di non tener conto, nelle loro decisioni quotidiane, della questione fondamentale del bene comune.

Il Papa sembra desumere da questa “responsabilità di proteggere” un imperativo morale a intervenire: «Se gli Stati non sono in grado di garantire simile protezione, la comunità internazionale deve intervenire con i mezzi giuridici previsti dalla Carta delle Nazioni Unite e da altri strumenti internazionali».

È giustissimo. Addirittura prosegue dicendo che nessuno può ragionevolmente sostenere che si tratti di una violazione della sovranità. Egli relativizza radicalmente l’autorità e la sovranità degli Stati nazionali. Ma, ancora una volta, non si tratta di una vera novità: la novità è il forum in cui la Chiesa afferma questo (sebbene anche Giovanni Paolo II e Paolo VI lo abbiano fatto). Il Papa sta semplicemente rifacendosi al principio fondamentale che ha guidato la Chiesa nel giudizio sull’origine dell’autorità. L’autorità politica non deriva dal fattore territoriale. L’espressione migliore di tutto questo è l’idea di sussidiarietà. Ciò che il Papa sta facendo qui è affermare la sussidiarietà, dichiarando come essa riguardi gli Stati nazionali sovrani. Nell’azione a determinati livelli uno Stato gode di una certa autonomia, ma quando diviene incapace di occuparsi del bene e dei bisogni che gli conferiscono legittimità, è dovere della comunità internazionale, in quanto parte dell’umana famiglia, intervenire affinché tale bene venga realizzato.

Il Papa ha inoltre parlato della libertà religiosa: «È perciò inconcepibile che dei credenti debbano sopprimere una parte di se stessi - la loro fede - per essere cittadini attivi».

Qui è importante notare come il principale filo conduttore dell’intero discorso sia «l’unità della persona umana». Egli utilizza queste parole in differenti contesti lungo tutto il suo intervento. Spiega chiaramente come tale unità sia garantita essenzialmente dall’apertura alla trascendenza, a tutte le dimensioni del reale e della persona. È questo il motivo per cui egli sostiene la libertà di religione, e in particolare la libertà di religione in relazione a tutti gli aspetti della vita umana, inclusa la politica. Perciò isolare la dimensione religiosa della vita significa non rispettare l’unità della persona umana, e non rispettare questa unità diviene la base della corruzione dei diritti umani, della riduzione delle istituzioni internazionali a un ruolo formale e non sostanziale, e di tutte le altre questioni di cui egli si è detto preoccupato. È necessario che creiamo le condizioni per riconoscere e rispettare l’unità di cui godiamo quando viviamo in totale apertura verso Dio.

C’è qualcosa che non è stato citato all’interno del discorso stesso che ci possa aiutare a comprendere la visita del Papa alle Nazioni Unite?

Sottolineerei l’importanza della conferenza tenuta agli educatori cattolici, quando il Papa ha parlato di “diaconia della Verità” per l’umanità. In un certo senso ciò che Benedetto ha fatto alle Nazioni Unite ha in sé un aspetto performativo: non si tratta semplicemente di “ciò” che ha detto, ma del fatto “che lo abbia detto”, e lo abbia detto in quel modo, non limitandosi a pronunciare certe parole. Ciò che sta facendo è servire da diaconia della Verità; permette alla Chiesa di fungere da diaconia dell’umanità, si pone nel ruolo di educatore, educatore del cuore umano.

© Copyright Tracce, maggio 2008

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