9 giugno 2008

Il Papa: "Nessuno è escluso. Il peccato dell’uomo e il perdono di Dio" (Zavattaro)


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Il peccato dell’uomo e il perdono di Dio

Fabio Zavattaro

Il profeta Osea, l’evangelista Matteo; Antico e Nuovo Testamento; peccato e perdono: i temi dell’Angelus di Papa Benedetto, in questa seconda domenica di giugno. Forse proprio partendo da Osea – profeta minore, ma cantore dell’amore di Dio per il popolo di Israele, amore che legge attraverso le vicende della propria vita familiare – possiamo inquadrare meglio le parole del Papa rivolte ai fedeli che hanno affollato una piazza San Pietro bagnata dalla pioggia. Iniziamo dalla frase: “Voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti”. Parole che ritroviamo nel primo Vangelo sinottico e riferite alla vocazione di Matteo. L’evangelista attento al legame tra o due Testamenti ripropone quella visione di Osea; il contesto in cui Gesù la fa sua è l’incontro con l’esattore Levi seduto al banco delle imposte. Benedetto XVI ricorda in proposito il celebre dipinto di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma: Cristo quasi nascosto da Pietro, la Chiesa, chiama Levi all’apostolato: diventa così Matteo, e in quel nome c’è in ebraico la radice del verbo donare.
Levi-Matteo, dunque, è un pubblicano, cioè un esattore delle tasse per conto della Roma imperiale, e per questo considerato dai giudei un pubblico peccatore. Cosa dice il Papa: “Chiamatolo proprio mentre era seduto al banco delle imposte, Gesù si recò a casa di lui con i discepoli e si pose a mensa insieme con altri pubblicani. Ai farisei scandalizzati rispose: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati... Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”. Ed ecco che torna Osea con la sua profezia: “Andate, dunque, e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio”. Matteo torna più avanti nel Vangelo a riproporre questo tema, quando affronta la questione dell’osservanza del sabato con la risposta che Cristo da ancora ai farisei: “Se aveste compreso che cosa significa «Misericordia io voglio e non sacrificio», non avreste condannato persone senza colpa”.
Osea è il profeta dell’infedeltà di Israele al suo Dio, indicato anche come lo sposo del suo popolo, un’alleanza dunque che è patto d’amore. Ed ecco che il Papa, nel suo Angelus domenicale, evidenzia che il messaggio di Gesù non esclude nessuno anche se peccatore. E la parola di Osea è giunta fino a noi attraverso i Vangeli “come una delle sintesi di tutto il messaggio cristiano: la vera religione consiste nell’amore di Dio e del prossimo. Ecco ciò che dà valore al culto e alla pratica dei precetti”.
Il peccato come ferita, il perdono come medicina. È Sant’Agostino che ci aiuta a capirlo nelle sue Confessioni: “Abbi pietà di me, Signore! Ecco, io non nascondo le mie ferite: tu sei il medico, io il malato; tu sei misericordioso, io misero... Ogni mia speranza è posta nella tua grande misericordia”. Quella misericordia infinita che è Dio e alla quale ci dobbiamo abbandonare guidati dalla mano materna di Maria.
L’Angelus di Papa Benedetto è, dunque, una lezione alta in cui coniuga l’amore con il perdono, il donarsi. Senza temere di toccare la suscettibilità dei potenti. D’altra parte non era stato proprio Benedetto XVI a ricordare, solo una domenica fa, che “la fede ha fatto vedere a Maria l’opera di Dio nella storia; le ha fatto vedere che i troni dei potenti di questo mondo sono tutti provvisori, mentre il trono di Dio è l’unica roccia che non muta e non cade”.
Allora quelle parole misericordia, perdono, diventano come una sorta di “dna” del cristiano, capace di leggere la storia attraverso questi due termini; di camminare lungo questi due binari andando incontro all’uomo di oggi. Il nostro, quando siamo capaci di farlo, è un perdono umano, fatto di mancanze e di debolezze, di paura e di superficialità. Papa Benedetto ci dice invece che il perdono di Dio è divino, non conosce mezze misure; è un perdono che accoglie anche i nostri difetti. Lo ricordava bene in una sua poesia padre David Maria Turoldo: “...Tu dovevi essere felice/ e noi perduti./ Così sei venuto a cercare/ i cibi delle tue creature maledette,/ a farti/ carne di peccato, mentre ti donavi./ e ciò solo noi ti invidiamo: questo/ potere tu perdonarci”.

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