7 giugno 2008

Berlusconi in udienza dal Papa: realismo e identità (Bonini)


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Realismo e identità

Francesco Bonini

Il linguaggio diplomatico, pur paludato, è esplicito. Nei rispettivi comunicati Palazzo Chigi e la Sala stampa vaticana definiscono i colloqui molto cordiali ed esprimono «forte comunanza di vedute» e il desiderio di continuare la «costruttiva collaborazione a livello bilaterale e nel contesto della comunità internazionale».
C'è però qualcosa di più in questo incontro al vertice. Lo aveva espresso chiaramente Benedetto XVI nella solenne cornice dell'Assemblea della Cei. Si era rallegrato dei «segnali di un clima nuovo, più fiducioso e più costruttivo», dovuto «al profilarsi di rapporti più sereni tra le forze politiche e le istituzioni, in virtù di una percezione più viva delle responsabilità comuni per il futuro della nazione». Di più: aveva constatato «il desiderio di riprendere il cammino, di affrontare e risolvere insieme almeno i problemi più urgenti e più gravi, di dare avvio a una nuova stagione di crescita economica ma anche civile e morale».
Qui sta il punto per il Papa: un comune impegno per rimettere in moto il Paese, in cui ciascuno faccia la propria parte, «mettendo a frutto quelle energie e quegli impulsi che scaturiscono dalla sua grande storia cristiana», non solo per il presente, ma soprattutto in proiezione futura. Berlusconi, in una intervista ai media vaticani, gli aveva fatto eco: la Chiesa rappresenta una ricchezza per lo Stato italiano, senza ovviamente per questo negare la sana laicità delle istituzioni. Di qui la forte consonanza sulla «centralità dei valori di libertà e tolleranza e la sacralità della persona umana e della famiglia», come recita il comunicato di Palazzo Chigi.
Più che i temi specifici, che pure sono stati trattati, dagli accordi concordatari alla famiglia, alla scuola, alla situazione internazionale, il nodo centrale è questa percezione di operosità nazionale che sembra profilarsi, che non implica solo costruttive relazioni maggioranza-opposizione, ma anche un più generale rasserenamento, per uscire dalla sindrome di Penelope, di riforme e controriforme fatte e disfatte a somma zero.

Due ne sembrano le condizioni. La prima è il realismo, il fatto cioè che la politica e il sistema della comunicazione sono stati obbligati a guardare in faccia la realtà, la vita reale, dal carovita alla sicurezza.

La seconda è che ci si è resi conto che per superare le difficoltà non si può prescindere dall'identità, da un collante più forte degli interessi o delle ideologie e che al centro, al cuore dell'identità italiana ci sono l'elemento cristiano, l'esperienza e il tessuto del mondo cattolico.

Il Family day, poco più di un anno fa, ha chiaramente fatto intendere che gli italiani dicono no ad una pretesa modernizzazione tutta ideologica che scassa il tessuto elementare e fondamentale della vita e quindi della società. Il messaggio, chiaro e forte, è arrivato a tutti.

La visita del presidente del Consiglio in Vaticano insomma, oltre a rappresentare una tradizione consolidata, può avere oggi un significato in più: indica la necessità e la possibilità che di fronte a sfide complesse, il Paese nel suo insieme e comunque l'arco politico-parlamentare si rappacifichi, si rassereni nei confronti dell'identità cristiana al cuore dell'identità italiana e ne tragga nuovi frutti e nuovo slancio.
Questo non significa assolutamente «clericalizzare» la società: nulla di più impossibile oggi. Significa però non stressarla tentando di imporre stili di vita e valori che le sono estranei e che la sfilacciano: così si concretizza l'idea del bene comune e tutti possono fare la propria parte per ritornare a far crescere il Paese.

© Copyright L'Eco di Bergamo, 7 giugno 2008

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