31 maggio 2008

Ben Chorin, l'ebreo che elogiò l'Eucaristia (Osservatore Romano)


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Ben Chorin, l'ebreo che elogiò l'Eucaristia

di Cristiana Dobner

Uno sguardo ebraico su Gesù, Maria e Paolo non era proprio abituale nella seconda metà del secolo scorso. Un giornalista e studioso di religioni comparate seppe gettarlo e configurarlo in una trilogia che successivamente raggiunse i lettori tedeschi rispettivamente nel 1967, 1970 e 1971, e successivamente tradotta in varie lingue, che costituisce l'espressione di un pensiero completo, quasi a tutto tondo, su Gesù, la madre Maria e Paolo apostolo delle genti.
Chi ne è l'autore? Ogni pensiero infatti affonda le sue radici nel terreno particolare della vita di ciascuno e ne è espressione ed emanazione. L'autore fu un personaggio che giocò la sua vita sull'utopia del dialogo ebraico cristiano, credendoci e non soltanto seguendo una moda, magari momentanea, investendo tempo ed energie per conoscere, apprezzare e confrontare le due religioni. Fritz Rosenthal nacque a Monaco di Baviera nel 1913 in una famiglia di commercianti ebrei assimilati, dopo il ginnasio studiò all'università lettere e religioni comparate. All'incombere della furia nazista nel 1933 il giovane universitario fu a più riprese arrestato dalla Gestapo, decise perciò di seguire il suo maestro Martin Buber e di "salire" a Gerusalemme. Qui cambiò il suo nome e divenne Shalom Ben Chorin ("Pace figlio della libertà"). Praticò il giornalismo fino al 1970, mentre successivamente fu docente a Gerusalemme, Tubinga e Monaco. Fondò nel 1958 la prima Comunità ebraica liberale, ancora oggi guidata dal figlio Tovia, la Congregazione 'Or Hadash, la prima sinagoga riformata in Israele, presente anche in Austria.
Superando pregiudizi e fraintendimenti, in un clima in cui gli echi del nazismo ancora non si erano spenti, e sempre attento alla sua patria d'origine e alla sua lingua tedesca, lo studioso, facendo suo un detto di Alfred Kerr "che cosa è una casa, una patria? È infanzia, la nenia, la forzatura della lingua e la costrizione del ricordo", privò il termine della pretta appartenenza politica, che tanto fu devastante per l'Europa e il mondo con la sua connotazione di nazionalsocialismo, ed aderì nel 1975 all'Unione di Scrittori di lingua tedesca d'Israele, diventandone uno dei quindici membri fondatori.
Shalom Ben Chorin, vivendo appassionatamente quanto il suo nome significava riuscì, conclusa la guerra, a dimostrarsi uno dei "pontieri", uno dei grandi costruttori di ponti, precursori in quello che, abitualmente, viene definito il dialogo ebraico-cristiano. Egli fu membro infatti del gruppo di lavoro ebraico-cristiano del Consiglio della Chiesa protestante di Germania. Lavoro di costruzione da pontieri e lavoro di smistamento di rovine smantellate: bisognava eliminare il tentativo sempre sospettato, quasi sotteso, di una missione verso o contro gli ebrei.
La produzione letteraria e teologica di Shalom Ben Chorin - in una prosa dinamica e ricca di battute - tradotta in varie lingue, gli valse molti riconoscimenti, fra cui la laurea honoris causa dalle università di Monaco (1988) e di Bonn (1993). Si spense a Gerusalemme nel 1999.
Nel 1922 Joseph Gedaliah Klausner aveva pubblicato il volume Jeshu ha-nozri, Gesù il nazareno, che segnò una svolta nella considerazione da parte del mondo ebraico di Colui che i cristiani considerano il Messia, il Figlio di Dio. È ben noto infatti quanto si trova scritto nel Talmud.
Il volume dedicato a Paolo, apostolo delle genti contiene la riflessione su Paolo, l'apostolo delle genti, e si snoda in nove capitoli ancorati alla conoscenza della problematica e ruotanti sul perno di Gesù Risorto nel contesto storico delle grandi città Gerusalemme, Atene, Roma che costituiscono il fondale della vita di Saul, divenuto Paolo, che "annuncia Gesù di Nazaret come il Cristo della sua esperienza di Damasco". Quindi la risurrezione per l'autore è considerata significante in primo luogo partendo da Paolo, mentre storicamente è dubbiosa. Gesù è altro, "è per me un fratello eterno; non solo fratello nell'umanità, fratello nell'ebraismo. Io sento la sua mano fraterna che mi prende perché io lo segua, una mano umana, quella che porta i segni del più grande dolore (...) È la mano di un grande testimone di fede in Israele; la sua fede, la sua incondizionata, la sua assoluta fiducia in Dio Padre, la sua prontezza ad umiliarsi completamente sotto la volontà di Dio, è l'atteggiamento che Gesù ha vissuto per noi e che può unirci, ebrei e cristiani, la fede di Gesù ci unisce (...), ma la fede in Gesù ci divide".
Ben Chorin accostando i Vangeli con "l'intuizione", che non significa fantasia ma frequentazione assidua e familiarità con i testi dalla propria sensibilità e tradizione religiosa, priva però di pregiudizi, avverte come sia la fede ebraica a vivere in Gesù; è un ebreo perseguitato ed infine ucciso che nella sua vita richiama al Regno di Dio, un profeta come Elia ed Eliseo.
Non solo è un maestro della legge come i tannaiti (maestri ebrei dei primi secoli dell'era cristiana), che prediligevano le parabole. La peculiarità di Gesù è il suo rivolgersi agli am ha-arez, agli incolti, cioè al popolo della terra. Al centro della sua predicazione splende l'amore, a sua volta centro della Torah, della legge, con molte analogie alla linea della scuola farisaica di Hillel.
Paolo, ebreo della diaspora da Tarso Cilicia, fariseo e civis Romanus, si muove in tre mondi e con tre lingue: l'ebraico, il greco e il latino e in frontiere geografiche precise, patisce le pressioni storiche e politiche del clima esasperato del primo secolo: Paolo ebreo è in polemica con gli ebrei.
Shalom Ben Chorin ritiene che Paolo paghi un altissimo prezzo per annunciare il "Servo di Jahweh" (Isaia 49, 6): riconoscendolo in Gesù Cristo, rinuncia proprio al cuore dell'ebraismo, alla Legge. Paolo stando "fra Israele e i pagani" e volendo unire "spesso operò separando". Ne seguirono fraintendimenti che pesarono sulle vicende storiche delle due religioni e sui loro rapporti. Soltanto chiarendoli ed eliminandoli sarà possibile ottenere "uno sguardo libero" gettato su entrambi: Israele e la Chiesa.
L'approfondimento quindi di questo pensatore/pontiere può oggi, dopo tanto cammino percorso insieme e tanti incontri significativi, segnare una pietra miliare. Lo aveva intuito e dimostrato Bernard Dupuy nella sua presentazione in un'edizione francese cogliendo l'ottica dell'autore, per il quale gli scritti di Paolo si possono leggere solo a partire dai profeti d'Israele e gli appelli lanciati agli ebrei suoi contemporanei emergono, in qualche modo, dalla profezia. L'audacia di Paolo fu somma in tempo di profezia chiusa e suscitò stupore e reazioni vive nelle autorità; proponeva opinioni umane, pur tuttavia affondate nella Scrittura. Paolo richiama che, nella Bibbia, è Dio che parla e agisce, non possiamo catturare Dio a nostro profitto, come neppure possiamo comprenderlo e tentare di circoscriverlo, c'è sempre un istante in cui bisogna cedere davanti a Lui, nessuna autorità può interporsi.
Shalom Ben Chorin viveva in sintonia con Gesù Cristo che "ha incontrato Paolo davanti a Damasco. Sempre e sempre lo incontro, sempre e sempre dialoghiamo, avendo in comune l'origine ebraica e la speranza ebraica del regno. E da quando io dall'Europa cristiana sono venuto a risiedere nell'ebraico Israele, mi è venuto ancora più vicino, perché io vivo nella sua terra e tra il suo popolo, e i suoi detti e le sue parabole mi sono così vicini e pieni di calore umano come se tutto ciò fosse accaduto qui, oggi".
L'apostolo delle genti Paolo di Tarso altro non ha mai voluto dopo l'incontro con Gesù Cristo Risorto sulla via di Damasco. "Quando io nel banchetto pasquale sollevo il calice e spezzo il pane non lievitato" osservava Ben Chorin nel Seder Pesach, "allora faccio quel che egli ha fatto, e so di essergli più vicino di qualche cristiano che celebra il mistero dell'Eucaristia in modo del tutto staccato dalla sua origine ebraica".
Una visione nuova la si può costruire solo conoscendo e conoscendoci. Shalom Ben Chorin è perfettamente consapevole che, dopo la Shoah "la consolazione non può mai più risolversi nel dolce alone di parole confortanti, deve sussistere nel mantenimento delle contraddizioni".
Il ramo di mandorlo che troviamo nel profeta Geremia, però, veglia e si distende sui rapporti ebraico-cristiani. Shalom Ben Chorin non lo affermò in un momento in cui le offensive belliche si erano placate ma nel 1942, il tragico anno per il popolo di Israele colpito dall'infuriare della Shoah, ed è, ancor oggi, un invito a perseverare nei momenti bui e difficili rivolto da una persona che ne visse la catastrofe e ne fu testimone:

Amici, che il ramo di mandorlo
di nuovo fiorisca e germogli
non forse è un segno
che l'amore rimane?
Che la vita non finisca
anche se il molto sangue grida
non conta poco
in questo torbidissimo tempo
Migliaia ne calpesta la guerra
un mondo scompare
Allora la vittoria fiorita della vita
lieve oscilla nel vento
Amici, che il ramo di mandorlo
oscilli fiorito,
rimane per noi un segno:
la vita vince


(©L'Osservatore Romano - 31 maggio 2008)

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