31 maggio 2008

Bagnasco e i laici convergenti (Di Giacomo)


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Bagnasco e i laici convergenti

FILIPPO DI GIACOMO

Prendiamola così questa 58ª assemblea generale della Cei, prendiamo la prolusione del card. Bagnasco, l’intervento di Benedetto XVI e le altre esternazioni, come l’anello di congiunzione tra le ansie di chi vuole misurare il grado di cattolicità del governo e le paure di chi tenta di misurare il livello di laicità del Pd.
Il «patto di cittadinanza» proposto il 26 maggio dal presidente dei vescovi sembra una mano pacificamente tesa verso tutti; verso chi intende per laicità sempre e solo la listarella di vecchie questioni, e verso chi potrebbe indulgere nel credere che con la vittoria elettorale svanisca il dovere di ottemperare - ha sostenuto Bagnasco - a quella «politica buona» che i cittadini chiedono per avere «risposte essenziali sulla vita e sulla dignità» di tutti. Proprio di tutti, così come stanno ricordando gli uomini della Caritas e delle altre organizzazioni che «compongono la rete di quell’umanesimo autentico che innerva tutto il territorio nazionale».

Le precedenti prolusioni di Bagnasco - quella sull’Italia ridotta a coriandoli, e quella sul dovere di partecipare alle elezioni - sono state apprezzate per il realismo. Soprattutto, considerate conformi al racconto sociale che il corpo episcopale trae da una ricca serie di analisi che continuamente si offre ai pastori di anime che operano in quello che si chiamava «Paese reale». Gli uomini della politica, forse, farebbero meglio a non essere sempre pronti a gridare che vescovi e preti non sanno di cosa parlano e che il «potere vaticano perde il senso della misura». Sembra infatti che sul cielo pubblico italiano, tra i cliché ancora legati alla deriva ideologica dei movimenti anticlericali degli ultimi due secoli, la nebbia più densa sia composta dall’idea che vuole la religione arroccata all’interno di istituzioni ecclesiastiche e di sistemi dottrinali, incapace di accettare ogni ipotesi d’innovazione. In Italia invece, spesso per iniziativa o con l’aiuto determinante della Chiesa e dei cattolici, molto è stato innovato, molto dovrebbe e potrebbe ancora esserlo. In teoria, nulla dovrebbe impedire alle forze politiche e culturali del Paese d’iniziare seriamente a ridiscutere su come guardare alla separazione tra Chiesa e Stato individuando un modello ideale per la relazione tra religione e politica. Perché la vera laicità si realizzerà unicamente quando anche gli italiani sapranno che nelle vicende della loro vita, come diceva Pascal, ci sarà «abbastanza luce per credere, abbastanza buio per dubitare».

Un film in questi giorni si occupa di quell’Andreotti (uno dei nomi che ancora fanno l’orgoglio del cattolicesimo politico) che nella sua vita pubblica, all’interno di percorsi democratici, ha firmato leggi e provvedimenti che in Italia hanno permesso divorzio, aborto, declassificazione di molte feste religiose e la costruzione della moschea di Roma.

Quando ci si diletta a ragionare di cose politiche, alcuni elementi oggettivi bisogna pur premetterseli.

Non sarebbe allora il caso che qualche analista indipendente spiegasse quanto sia servito alla vita politica del Paese permettere che per due anni due minoranze speculari, quella laicista e quella teocon, abbiano indotto gli italiani a credere che nell’agenda del centro sinistra la presunta difesa della laicità dello Stato (un principio, ha ricordato Bagnasco, che la cultura cattolica non solo riconosce ma ritiene indispensabile), debba tradursi per forza con argomenti quali la difesa dell’aborto, unioni gay, divorzio breve, abolizione dell’8 per mille e tagli sui finanziamenti alla scuola privata (adottati anche nella laicissima Francia e nella Spagna zapateriana)?

Devono essere i vescovi a far notare che in Italia, trasversalmente a tutti gli schieramenti politici, esistono da decenni spazi convergenti sul diritto a una vita civile per tutti dove laici e cattolici sono già abituati a incontrarsi?

In fondo, per non immaginare più patti scellerati tra trono e altare, è sufficiente far politica nei luoghi in cui il trono è solo uno sgabello e l’altare una fiammella accesa sul lucerniere.

© Copyright La Stampa, 31 maggio 2008 consultabile online anche qui.

Amen :-)
Non mi interessa che al governo ci siano cattolici "con la patente" se poi la loro unica preoccupazione sono i dico o le linee guida sulla legge 40.
R.

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