27 marzo 2008

Cristo radice di ogni bene nel magistero di sant'Ambrogio (Osservatore)


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Cristo radice di ogni bene nel magistero di sant'Ambrogio

Ruba al diavolo la sua preda
Ecco il vero buon ladrone


di Marco Navoni
Dottore della Biblioteca Ambrosiana

Sant'Ambrogio morì il sabato santo del 397, che in quell'anno cadeva il 4 aprile. La successiva tradizione liturgica della Chiesa di Milano - la tradizione che dal patrono avrebbe preso per l'appunto il nome di "ambrosiana" - non si preoccupò però di osservare la data precisa per commemorare il "transito" del grande vescovo, ma fece una scelta simbolica: ricordare ogni anno la morte di Ambrogio il giovedì dopo Pasqua, durante la settimana in albis, quasi a voler rimarcare la stretta unione tra il mistero della morte del cristiano, e di un santo, e il mistero pasquale di Cristo. Il biografo Paolino ci ha conservato le parole dette da Ambrogio prima di spirare: "Non sono vissuto fra di voi in modo da dovermi vergognare di vivere; né temo di morire, perché abbiamo un Signore che è buono" (Vita Ambrosii, 45).

"Abbiamo un Signore buono". Frase che esprime speranza e fiducia nella bontà di Dio. Ma come intendere questa "bontà"? Qual è la radice di quella "bontà" cui allude il santo nel momento supremo della sua vita?
Orbene, una discreta frequentazione degli scritti di sant'Ambrogio ha portato progressivamente chi scrive a una convinzione sulle prime un po' superficiale e poi via via sempre più motivata: e cioè che il patrono di Milano abbia voluto attribuire nelle sue opere, e nella sua predicazione, una valenza del tutto particolare all'aggettivo "buono" (bonus), non solo dal punto di vista quantitativo, per le numerose volte in cui lo usa - cosa di per sé abbastanza scontata, visto il significato tutto sommato comune di tale aggettivo - ma soprattutto dal punto di vista qualitativo, per l'uso non affatto scontato che ne fa e per la valenza singolarissima che a esso attribuisce.
La cosa appare evidentissima quando, attraverso l'aggettivo bonus, Ambrogio costruisce espressioni di carattere paradossale, veri e propri ossimori, dove bonus, anche se in maniera stridente - o meglio: proprio perché in maniera stridente - conferisce una valenza positiva a termini o figure normalmente recepiti in senso negativo. La cosa curiosa - e per questo significativa - è che ciò avviene innanzitutto quando egli sta parlando della persona e dell'opera di Gesù Cristo.
Solo per fare qualche esempio iniziale e di orientamento, non si può che restare incuriositi quando si legge che per Ambrogio Gesù Cristo è bonus serpens, bonus vermis, o anche bonus scarabaeus - un buon serpente, un buon verme, un buon scarabeo - e che la sua passione è una bona confusio - una buona confusione. Ma anche in riferimento agli apostoli, a molti personaggi dell'Antico Testamento, ad alcuni personaggi della storia cristiana Ambrogio usa espressioni paradossali simili, sempre usando in maniera "ossimorica" l'aggettivo "bonus".
È ovvio che in questi casi tale aggettivo non può avere valore morale, e neppure valore effettuale: non indica cioè immediatamente una situazione morale, né si riferisce a una capacità pratica - non è cioè neppure sinonimo di capace, valente, abile, come in espressioni di questo genere - pure usate spesso da Ambrogio: bonus medicus o bonus operarius - "medico capace", "operaio abile ed efficiente".
Proprio l'uso del paradosso ci indirizza invece a ricercare un'altra dimensione che non può che essere di carattere religioso. L'ipotesi che qui si vorrebbe brevemente dimostrare è che l'uso paradossale dell'aggettivo bonus indichi il riferimento a un piano diverso da quello del comune linguaggio umano e rimandi invece al linguaggio teologico, inteso nel senso proprio dell'etimologia di questo termine: indica immediatamente una relazione con Dio, o meglio con Cristo e la sua vicenda.
In altre parole potremmo dire così: il buono o il bene non è solo e innanzitutto un trascendentale filosofico - è anche questo - ma è soprattutto sinonimo di quella salvezza che si è dipanata nella storia sacra, voluta e guidata dalla provvidenza di Dio e che trova il suo vertice in Gesù Cristo, o meglio in Gesù Cristo trova la sua radice. Cerchiamo allora di vedere brevemente come Ambrogio rilegga il mistero personale di Cristo e la sua opera di salvezza attraverso il filtro dell'aggettivo bonus, o meglio attraverso il filtro delle varie immagini bibliche a loro volta filtrate attraverso tale aggettivo.

A questo proposito occorre però fare almeno due premesse.

La prima. Gran parte delle immagini usate da Ambrogio in maniera paradossale attraverso l'uso dell'aggettivo bonus viene attinta dall'Antico Testamento. E già in questo caso possiamo verificare la nostra ipotesi. Infatti l'Antico Testamento rispetto al Nuovo Testamento è come l'ombra rispetto alla luce, ma - dice Ambrogio - è una bona umbra, proprio perché, pur attraverso qualcosa che è ancora imperfetto, ci viene trasmessa la verità su Cristo. L'ombra della legge antica che ci difende dall'ingiustizia e nella quale riposarono i patriarchi è "buona" proprio perché è ombra di Cristo (cfr Espositio in Psalmos, CXVIII, V, 10).

La seconda premessa. L'uso dell'aggettivo bonus per descrivere l'opera di Cristo e il mistero della sua persona è sì riscontrabile, in maniera abbastanza diffusa, in relazione a tutta la sua vita e attività; tuttavia trova la sua massima concentrazione proprio quando viene descritto il mistero pasquale, cioè il cuore dell'opera di salvezza. E d'altra parte è proprio qui che l'ossimoro linguistico - l'uso dell'aggettivo bonus per realtà che buone normalmente non sono - si adatta perfettamente a descrivere l'ossimoro che è contenuto nella Pasqua stessa di Cristo. In realtà è la Pasqua stessa di Cristo a essere un paradosso per la normale logica umana: dalla sofferenza viene la felicità, dalla croce viene la liberazione, dalla morte viene la vita. Vediamo allora qualche esempio. Il primo è curioso e spiazzante, soprattutto per la nostra mentalità devozionale. Cristo - dice Ambrogio - è il buon ladrone, è il vero buon ladrone: "nel mistero [cioè nella realtà nascosta sotto le apparenze esterne] Cristo è un buon ladrone, è un buon malfattore, perché ha teso un agguato al diavolo e gli ha strappato il bottino" (Expositio in Lucam, X, 123). Cristo è crocifisso tra due ladroni, ma il vero e buon ladrone è lui, che rapina il diavolo, portandogli via la preda che siamo noi. Per questo è buono: buono nel senso di abile, ma soprattutto buono nel senso di salvifico!
In questa stessa prospettiva di lotta con il diavolo Cristo è anche il "buon atleta", che vince il diavolo nella sua lotta e lo ricaccia indietro (cfr De interpellatione Iob et David, III, 10, 27).
Già in questi due esempi si coglie anche la difficoltà di una traduzione che renda tutto quello che Ambrogio vuole dire, a cominciare dall'articolo che in una traduzione in lingua moderna ci vuole e che invece in latino non esiste, lasciando quindi il traduttore in una felice ambiguità. In altre parole: si deve usare l'articolo determinativo o indeterminativo? Direi che in italiano ci vogliono tutti e due, ma in successione: prima l'indeterminativo, poi il determinativo. Cristo è "un" buon ladrone, nel senso che è un ladrone abile a rubare la preda al diavolo, ma diventa "il" buon ladrone, nel senso che questo suo furto diventa salvifico per l'umanità. Se uso l'articolo indeterminativo, bonus è sinonimo di abile; se uso il determinativo, bonus è sinonimo di salvifico: Cristo è sì un valido atleta, ma è l'atleta che vincendo il demonio è "buono" in una maniera del tutto speciale, perché mi salva.
In teologia si direbbe che l'articolo determinativo esprime la "singolarità" di Cristo, la singolarità della sua identità più profonda e più vera, la singolarità della sua azione di salvezza: lui e lui solo, per quello che è e per quello che fa, è "il" buon ladrone.
Un secondo esempio: Cristo "buon creditore". "Cristo (...) ha compassione ed elargisce; egli (...) ci ha rimesso i debiti dei nostri peccati e per questi nostri debiti ha versato il suo sangue, perché non fossimo più indebitati con altri, ma con lui che è un buon creditore". Si può notare che Cristo è definito "un buon creditore", perché non esige da noi di riscuotere il debito che abbiamo con lui: in questo caso buono sarebbe sinonimo di comprensivo, remissivo, addirittura ingenuo per il suo atteggiamento antieconomico. Ma è "il" buon creditore, perché non esigendo il debito - e sta qui il paradosso - ci affranca, ci libera, ci salva.
Cristo è inoltre un "buon vitello" e un "buon toro": se le espressioni sono ardite e proprio perché inconsuete sfiorano l'irriverenza, in realtà vogliono far riferimento a due degli animali sacrificali per eccellenza. Il riferimento vero è al sacrificio di Cristo in croce.
"Cristo è un buon vitello [o meglio: è il vitello buono], dal momento che doveva lavare i peccati; docile perché ha accolto il giogo della legge non con un collo ribelle e non ha rifiutato il patibolo della croce" (De Abraham, I, 5, 40). Queste parole di Ambrogio commentano l'episodio di Abramo presso la quercia di Mamre (Genesi, 18, 1-15), quando il patriarca offre il vitello ai tre angeli che gli sono apparsi come manifestazione della presenza di Dio. Ebbene, il vitello di Abramo era solo un'immagine profetica di Cristo, perché in effetti è Cristo la vera e buona vittima sacrificale, capace - "buono", sinonimo di abile - di purificare dal peccato, con una immolazione perfetta e definitiva - "buono" sinonimo di salvifico.
Non diversamente il secondo riferimento al toro come vittima sacrificale: "Cristo è il buon toro, è per così dire l'offerta espiatoria per le colpe; è la vittima per tutto il mondo, capace di pacificare l'universo" (De patriarchis, 11, 55).
In questi due casi - ma analogamente in molti altri - si può notare anche come l'aggettivo bonus nell'uso di sant'Ambrogio si avvicini all'uso dell'aggettivo "vero" nel vangelo di Giovanni, in quanto indica la realizzazione piena e perfetta di ciò che l'Antico Testamento prefigurava in maniera profetica; per riprendere l'immagine stessa di Ambrogio, cui abbiamo già fatto cenno, l'ombra dell'Antico Testamento in Cristo diventa luce e verità.
Sempre continuando con immagini tratte dal mondo animale, Ambrogio presenta Cristo anche come il "buon serpente", con riferimento al serpente di bronzo di Numeri (21, 8) già interpretato da Giovanni (3, 14) come prefigurazione di Cristo crocifisso. Dobbiamo inoltre tener presente che il serpente, fin dalla narrazione iniziale del Genesi per arrivare al dragone dell'Apocalisse, è anche immagine del demonio: ciò rende ancor più forte l'ossimoro dell'accostamento a Cristo. Ecco le parole di Ambrogio: "Ma c'è anche un - o meglio: "il" - serpente buono; nel serpente di bronzo è stato raffigurato il mio serpente; su quel legno è stato innalzato il mio serpente, il serpente buono, Il serpente buono è quello che dalla sua bocca faceva sprizzare rimedi e non veleni" (Expositio in Psalmos, CXVIII, VI, 15). E non è un caso forse che per tre volte nel giro di poche righe ritorni l'espressione bonus serpens, quasi a rimarcare con la figura retorica dell'anafora il valore cristologico di questo stridente accostamento: l'aggettivo "buono" accostato a "serpente" e la parola "serpente" accostata a Cristo!
A margine, e per stare sulla stessa linea di idee, nello stesso passo Cristo è definito anche bonus coluber, la "buona vipera", e ciò avviene significativamente mentre Ambrogio sta commentando un brano del Cantico dei Cantici: "La buona vipera scivola agilmente nel grembo dell'amata, fin dentro il seno della sua mente più profonda e, senza alcun contatto, infonde il fuoco nelle sue ossa e pascola nel profondo del cuore". Vorremo avanzare un'ipotesi: che il riferimento in questo caso possa essere ricercato nel celebre episodio della morte di Cleopatra - episodio ormai mitico ed emblematico nell'immaginario collettivo. Ma Ambrogio usa questo riferimento per elevare l'immagine del bonus coluber che è Cristo alle altezze del rapporto mistico e casto tra Cristo (lo Sposo) e la Chiesa (la Sposa), il cui grembo è inondato non dal veleno, ma dal fuoco benefico dell'amore divino.
Ancora: Cristo e il bonus vermis e il bonus scarabaeus. "Cristo è il buon verme, perché aderì al legno della croce, è il buon scarabeo, perché dal legno della croce gridò a gran voce. È lo scarabeo buono perché con i passi delle virtù rivoltava il fango del nostro corpo, prima informe e pesante; è lo scarabeo buono che solleva il povero dal letame" (Expositio in Lucam, X, 113).
Da dove derivano queste immagini così ardite e nel contempo curiose? La prima, quella del verme, è biblica e proviene dal salmo 21, 7 - il salmo che la tradizione patristica e liturgica considera profetico della passione di Cristo: "Ma io sono verme e non uomo!". L'espressione ossimorica bonus vermis traduce in immagine l'ossimoro stesso espresso dalla passione di Cristo: "verme" dice abiezione e annullamento totale; "buono" indica che dall'abiezione di Cristo sulla croce viene la salvezza.
La seconda immagine proviene invece da un fraintendimento: Ambrogio utilizzava una versione latina della Bibbia nella quale - nel libro del profeta Abdia - una parola ebraica che significa "legno" era stata tradotta con "scarabeo". Di qui l'equivoco: Ambrogio leggeva in riferimento al legno della croce la parola "scarabeo", e la contaminazione con il versetto del salmo (21, 7) lo portò a vedere sul legno della croce Cristo, prima come "verme" e poi come "scarabeo". Ma come Cristo è il "buon verme" così è anche il "buon scarabeo", lo scarabeo salvifico.
Anzi, qui l'ossimoro viene sottolineato ancora una volta dall'anafora, perché è ripetuto tre volte, quasi a sottolineare l'importanza di quello che stava dicendo, al di là della stranezza e della paradossalità dell'espressione. Inoltre il fatto che lo scarabeo viva nello sterco, gli permette di accostare un altro testo biblico, quello del cantico di Anna (I Samuele, 2, 8): Dio che innalza il povero dall'immondizia - in latino: de stercore elevat paupererm. Se inoltre teniamo presente che nella tradizione egiziana - che continuava in qualche modo a sopravvivere anche nel tardo-antico attraverso i vari culti misterici di Iside e Osiride e nel mondo gnostico - lo scarabeo era animale sacro associato all'idea di eternità, l'aggettivo bonus nel passo in questione può forse rimarcare, in un contesto di polemica antipagana, che la "vera" eternità, l'eternità "buona", fonte di salvezza, è quella donata da Cristo e dalla sua pasqua e non dai culti misterici e dalle credenze pagane.
Infine la già citata espressione bona confusio in riferimento al mistero pasquale di Cristo, e in particolare alla sua passione e croce. Il passo di sant'Ambrogio è interessante perché, per antitesi, tale confusio è definita anche "amara" per gli increduli, analogamente a quanto dice Paolo in 1 Corinzi, (1, 23-24) quando afferma che Cristo crocifisso è scandalo per i Giudei e follia per i pagani, è per l'appunto una amara confusione per chi non crede, ma è una confusione "buona", cioè salvifica per chi crede: "Buona è dunque questa confusione! Tuttavia per molti tale confusione che è Cristo crocifisso, è amara: intendo dire per quelli che non credono; ma sarà fonte di gioia per quelli che credono" (Explanatio in Psalmos, XLIII, 70).
L'uso dell'aggettivo bonus in sant'Ambrogio, è naturalmente molto vasto e imprevedibilmente caleidoscopico: da Cristo infatti si allarga anche su Maria e gli Apostoli, su numerosi personaggi dell'Antico Testamento - da Noè a Giacobbe, da Aronne a Davide, da Elia a Isaia e a Giobbe - e del Nuovo Testamento - da Giovanni Battista a Maria Maddalena al martire Stefano. Anche personaggi della storia della Chiesa beneficiano di esso, come Elena madre di Costantino quando ritrova la vera Croce di Cristo e i santi chiodi.
Se Cristo è la radice di ogni bene, in quanto è la radice e la sorgente della salvezza, se l'aggettivo bonus identifica la singolarità incommensurabile della sua persona e della sua opera di salvezza, quando questo stesso aggettivo bonus è usato in riferimento ad altre realtà o ad altre persone, esso funziona per così dire da "marcatore cristologico": il "bene" in effetti da Cristo si diffonde poi sull'umanità, soprattutto sull'umanità salvata, che è la Chiesa e chi nella Chiesa e nella Storia della Salvezza si trova inserito. Quando allora troviamo in Ambrogio l'aggettivo bonus riferito a qualche realtà o a qualche personaggio, soprattutto attraverso il meccanismo dell'ossimoro e del paradosso, significa che queste realtà o questi personaggi "partecipano" della bontà di Cristo, nel senso che partecipano della storia della salvezza che ha in Cristo il suo centro, il suo motore e il suo fine.
Così Maria è bona porta" (De institutione virginis, 8, 53) e bona nubes (Ibi, 13, 82), perché attraverso di lei Cristo è entrato nel mondo, e dentro di sé ha prodotto la pioggia benefica con cui la terra è stata irrigata: evidenti allusioni al mistero dell'incarnazione.
Se Cristo è bonus serpens, anche i martiri sono boni serpentes (Expositio in Psalmos, CXVIII, VI, 16). Il riferimento in questo caso è alla muta del serpente dall'inverno all'estate: i martiri hanno deposto nel martirio le loro spoglie mortali rinnovandosi nella testimonianza aperta e luminosa a Cristo Signore risorto.
Il cristiano infine deve essere un "buon usuraio" (De Tobia, 16, 55): infatti attraverso la misericordia e la carità verso i poveri il cristiano diventa creditore nei confronti di Dio, anzi è autorizzato a praticare verso Dio una usura che è buona - bonas usuras - perché la carità permette di ottenere da Dio ricompensa sempre più abbondante, con interessi sempre più alti!
Una prima conclusione. Nel suo trattato De Fide (II, 13, 108-116) Ambrogio immagina che un ariano - l'eretico per eccellenza, negatore della divinità di Cristo - sia sottoposto a una specie di interrogatorio giudiziario da parte del Signore Gesù in veste di giudice. Durante l'interrogatorio l'ariano dice a Cristo: "Io nego che tu sia buono!". E Cristo gli risponde: "Avvenga di te secondo quello che tu credi, cioè che io non sia buono con te".
Notiamo che ci sono almeno due livelli a cui queste parole e in particolare l'aggettivo bonus possono essere interpretati. "Buono" in senso morale o addirittura moralistico: ma non è esattamente questo che negavano gli Ariani. Gli Ariani arrivavano a incrinare l'identità profonda e vera di Cristo, negandone la natura divina. Quando dunque l'ariano dice: "Io nego che tu sia buono", è come se dicesse: "Io nego che tu sia il Figlio di Dio, uguale al Padre, e proprio per questo nego che tu sia apportatore di una salvezza definitiva". Questa infatti è la "bontà" divina, che è non è affatto riducibile a un concetto puramente morale. Si capisce allora anche la risposta di Cristo, che non è una specie di ripicca - "Tu neghi che io sia buono, e allora ti castigo, cioè faccio il cattivo". È invece una risposta più articolata: "Avvenga di te secondo quello che dici. Se neghi che da me viene la salvezza, perché mi consideri una creatura, ti autocondanni con le tue stesse parole, perché rifiuti la radice stessa della salvezza, la radice di ogni bontà".
La seconda conclusione ci obbliga a riprendere le parole di Ambrogio stesso nel momento della sua morte, riferite sì dal biografo Paolino, ma che a questo punto possiamo considerare ipsissima verba Ambrosii, proprio per la presenza dell'aggettivo bonus: "Non sono vissuto fra di voi in modo da dovermi vergognare di vivere; né temo di morire, perché abbiamo un Signore che è buono".
Anche questa affermazione non deve essere affatto interpretata in maniera moralistica, come se Ambrogio volesse dire: "Non ho paura di morire, perché abbiamo un Signore buono e indulgente, alla mano, abbordabile", ma al contrario è altamente teologica e soteriologica: "Non temo di morire perché il nostro Signore è "il" Signore buono, è il Signore che salva, è il Signore che nel paradosso salvifico della sua Pasqua ci dona la vita eterna".

(©L'Osservatore Romano - 27 marzo 2008)

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