28 febbraio 2008

Il cardinale Bertone traccia un bilancio positivo del suo viaggio a Cuba (Radio Vaticana)


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Il cardinale Bertone traccia un bilancio positivo del suo viaggio a Cuba

Il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone è rientrato ieri sera in Vaticano dopo una visita a Cuba nell’ambito delle celebrazioni del decimo anniversario dello storico viaggio di Giovanni Paolo II nell’isola caraibica. Lo stesso cardinal Bertone ha fatto un primo bilancio di questo viaggio in un'intervista rilasciata stamane alla Radio Vaticana e all'Osservatore Romano, di cui oggi diamo una prima parte. Domani la pubblicheremo integralmente insieme al quotidiano della Santa Sede (edizione di sabato primo marzo). Ascoltiamo il porporato al microfono di Giovanni Peduto:

R. – Mi pare che il bilancio possa dirsi senz’altro positivo, anzitutto per quanto riguarda l’incontro con la Chiesa cubana: una Chiesa viva, nonostante le difficoltà di azione in certe circostanze, però una Chiesa che è raccolta attorno ai vescovi, una bella Conferenza episcopale unita, i sacerdoti, i religiosi, le religiose che si proiettano oltre la testimonianza della preghiera, della vita spirituale in una grande azione sociale di assistenza ai più poveri ed ai bisognosi, e di lavoro in mezzo ai giovani ... E poi, sul versante dei rapporti con le autorità civili il bilancio è stato altrettanto positivo: ho avuto incontri bilaterali con delegazioni composte di responsabili della vita civile, del governo, e incontri anche con singole persone, come poi l’ultimo giorno con il nuovo presidente, Raúl Castro. Mi sembra che ci siano le prospettive per un lavoro insieme, di fiducia nell’azione della Chiesa e di possibilità di apertura di nuovi spazi di presenza.

D. – Quale messaggio lei ha voluto lasciare al Paese?

R. – Ho lasciato questo messaggio: di essere molto vicini al popolo, di ascoltare le aspirazioni, “los anhelos del pueblo” che ha sofferto molto, ha sofferto anche – come sappiamo – per le congiunture economiche e per le restrizioni che vengono dall’esterno, all’economia, allo sviluppo dell’Isola; è un popolo che, però, continua ad avere grandi ideali, soprattutto in mezzo ai giovani che vogliono risorgere e vogliono affermare la loro identità: una identità cattolica, in buona parte dei giovani: l’ho sperimentato sia negli incontri all’Università dell’Avana, sia alla Scuola di formazione di medicina latinoamericana. Ho lasciato anche il messaggio di avere fiducia nel futuro, perché tutti insieme si può lavorare per uno sviluppo integrale verso un umanesimo integrale.

D. – Sulla scia di Giovanni Paolo II lei, eminenza, ha definito l’embargo contro Cuba “eticamente inaccettabile”. Ma ha parlato anche di libertà e, infine, un appello per i detenuti...

R. – Sì. Ci sono due fattori che in qualche modo “affliggono” l’economia, lo sviluppo economico dell’Isola: l’embargo degli Stati Uniti e anche molte restrizioni che sono ancora mantenute dall’Unione Europea. Mi sembra che questi atteggiamenti sono naturalmente mirati a fare evolvere il governo dell’Isola ad una maggiore libertà, ad un maggiore rispetto dei diritti umani; però io ritengo che questi provvedimenti così pesanti, presi unilateralmente, non favoriscono lo sviluppo. Intanto fanno soffrire la popolazione perché è la popolazione, sono le famiglie, sono i bambini, i giovani quelli che sono penalizzati da questi provvedimenti, e non riconoscono la dignità di nazione nei suoi valori, nella sua indipendenza, nella sua tradizione, a Cuba. Quindi, sono inaccettabili. Io ho assicurato che la Santa Sede si adopererà perché vengano almeno ridotte queste sanzioni, se non eliminate, tolte. Poi, certamente, questo deve comportare uno sviluppo verso una maggiore libertà, verso un riconoscimento maggiore dei diritti personali e dei diritti sociali, come dei diritti politici e dei diritti economici. Ma ci sono anche prospettive promettenti, perché adesso Cuba si appresta a firmare le due Convenzioni delle Nazioni Unite proprio sui diritti personali, sui diritti sociali, sui diritti economici, sui diritti politici.

D. – Lei ha incontrato il neo presidente Raúl Castro. Come è andato il colloquio?

R. – Ho visto un uomo molto realista, aperto a discutere su tutto e preoccupato della tenuta dei valori, degli ideali. Naturalmente ho presentato al presidente Raúl anche il problema dei prigionieri di ogni tipo, non solo dei prigionieri politici, e della cura pastorale dei prigionieri.

D. – Eminenza, un accenno alle difficoltà, ma anche alle speranze della Chiesa cubana…

R. – Le difficoltà sono davanti ai nostri occhi e sono le difficoltà di tutti giorni, come ad esempio quelle relative alla costruzione di nuove Chiese. Ci sono tante comunità che nascono, che sorgono a livello popolare, specialmente nei villaggi, ma senza avere la possibilità di riunirsi in una chiesa; possono farlo soltanto nelle famiglie. Le speranze sono relative a questa nascita o meglio rinascita di comunità vive, ovvero di piccole comunità anche senza sacerdoti, perché i sacerdoti sono pochi, ma i religiosi e le religiose cubane stanno crescendo. Ci sono vocazioni nelle diverse famiglie religiose, ma sono sempre insufficienti rispetto al fabbisogno. C’è però un entusiasmo, c’è una freschezza di vita cristiana soprattutto in mezzo ai giovani.

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