28 gennaio 2008

San Paolo? Freddo, anzi, esplosivo. L'apostolo delle genti secondo Mario Luzi (Osservatore Romano)


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L'apostolo delle genti secondo Mario Luzi

San Paolo? Freddo. Anzi, esplosivo

Gianni Festa

Mario Luzi (1914-2005) non è solo una delle figure cruciali della poesia italiana del Novecento. La sua produzione poetica - che si snoda lungo l'intero secolo - è intimamente legata, com'è noto, all'attività di drammaturgo e di raffinato saggista. Lettore precoce e lucidissimo non solo di poeti e letterati, Luzi ha ampliato con il passare degli anni gli orizzonti delle proprie letture, includendovi molta scrittura teologica di matrice cristiana: dal Nuovo Testamento ad Agostino, da Teilhard de Chardin a Ladislao Boros a Maritain ad altri ancora. Ma la biblioteca "cristiana" del poeta fiorentino è ancora da scandagliare e studiare per poter pervenire a una maggior comprensione e apprezzamento dello spessore della sua poesia. Luzi, "scriba" dalle innegabili radici cristiane fin da La barca (1935), ha fatto della Bibbia libro di riferimento indiscutibile, privilegiando, come egli stesso ebbe modo più volte di affermare, gli scritti giovannei e quelli paolini. A san Paolo ha dedicato due riflessioni molto importanti.
Nel saggio Glossolalia e profezia (in Naturalezza del poeta. Saggi critici, Milano, Garzanti, 1995, pp. 117-125) viene messo in rilievo uno dei temi più acutamente meditati dal poeta fiorentino. Nella prima lettera ai Corinzi Paolo al capitolo 14 esamina due diversi carismi che lo Spirito può concedere ad alcuni membri della comunità a favore della costruzione della medesima: la glossolalia e la profezia. La prima significa il "parlare in lingua", "dono delle lingue", e si manifesta con questi segni caratteristici: un parlare incomprensibile, profondamente estatico, le cui manifestazioni variano sia per contenuto che per forma, e che possiede infine un contenuto che può essere comunicato perché destinato all'edificazione della comunità. Il parlare in lingue diverse è un fenomeno attestato per le comunità primitive della Chiesa e per vari convertiti singoli. San Paolo più volte accenna non tanto al dono di parlare lingue diverse in modo da essere compresi da persone straniere, quanto al dono di parlare lingue sconosciute e misteriose. L'uso di questo carisma causava a volte comportamenti che disturbavano le riunioni delle prime comunità cristiane e perciò il convertito di Damasco insegna come disciplinarne l'uso per il maggiore bene comune (cfr 1 Corinzi, 14, 14; 14, 18; 14, 39).
L'analisi di Luzi si mostra decisamente acuta nell'esplorare i significati plurimi dei due carismi: se la glossolalia - scrive il poeta - si manifesta come una verbalizzazione non costretta né tantomeno spinta dall'urgenza della comunicazione e obbediente esclusivamente alla voce dell'interiorità, la profezia invece, di lontana e codificata provenienza veterotestamentaria, rimanda al momento edificativo della parola che si porge alla possibilità di essere percepita, di essere accolta, rievocata, di ri-nascere a vita nuova nell'animo o nel cuore di chi ascolta. Paolo, afferma Luzi, sembra delimitare chiaramente gli ambiti d'esercizio delle due facoltà, dei due modi attraverso i quali la Parola viene a manifestarsi, privilegiando la profezia come dono di comunione, di apertura all'alterità, nella sua connotazione koinoniale o diaconale, costruttiva, di servizio dunque. Sebbene l'Apostolo stesso riconosce - e per questo ne ringrazia Dio - di avere ricevuto il dono di parlare in lingua: "Grazie a Dio io parlo con il dono delle lingue molto più di tutti voi" (1 Corinzi, 14, 18), e anche se prima aveva auspicato: "Vorrei vedervi tutti parlare con il dono delle lingue"; (14, 5), tuttavia aggiunge: "preferisco [piuttosto] che abbiate il dono della profezia [perché] in realtà è più grande colui che profetizza di colui che parla il dono delle lingue" (14, 5). Pare affermata una necessaria complementarietà delle due testimonianze di fede, sebbene esse vengano fatte afferire a carismi distinti.
Si tratta, secondo il poeta fiorentino, di due aspetti tra loro inscindibili e ogni qualvolta nella storia del cristianesimo c'è stata una dissociazione dell'una dall'altra, della soggettività dall'alterità, si sono avuti effetti negativi. La profezia spogliata del dinamismo del soggetto, impoverita dall'assenza della lingua dell'esperienza religiosa immediata e spontanea, rischia di cristallizzarsi in un algido corpus di dottrine accademiche e distanti dalla vita: "Il corso del cristianesimo è fitto di molte glossolalie che per mancanza d'interpretazione non sono passate nella profezia cristiana: reciprocamente questa si è impoverita per mancanza di tale afflusso fino a cristallizzarsi e non poterle più accogliere. Per conto proprio la profezia ha cessato di essere tale e ha ceduto il posto a qualcosa di molto simile all'amministrazione della legge contro cui tuona san Paolo".
Ora, spostando la riflessione dal campo religioso a quello poetico e tenendo come punto fermo il significato essenziale dell'alternativa paolina, Luzi conclude con una lucida difesa dell'esperienza poetica della sua prima stagione, quella che per comodità definiamo "ermetica", accusata da alcuni detrattori di essersi disinteressata del mondo e del colloquio aperto e cordiale con esso (profezia) e di aver preferito una sorta di sterile onfaloscopia, nella coltivazione della nostalgia dell'idillio e nell'auscultazione ossessiva quanto nevrotica dei moti del proprio io (glossolalia). Ecco le parole del poeta: "Molto spesso quelle che sembravano all'istante impenetrabili glossolalie poetiche [Luzi si riferisce in particolare alle due raccolte nelle quali lo stile e i contenuti tipici dell'ermetismo fiorentino sono rinvenibili in misura paradigmatica: Avvento notturno del 1940 e Quaderno gotico del 1947] si rivelarono in seguito scritture ordinate da un criterio molto coerente ed erano dunque profezie, sia pure difese dalla loro difficoltà inaspettata": analisi questa condivisa successivamente dalla critica più avveduta e spoglia di pregiudizi interpretativi.
Luzi ha inoltre dedicato - ormai quasi novantenne - un denso saggio al linguaggio paolino per una pregiata edizione del Nuovo Testamento nuovamente tradotto, dal titolo: "Sul discorso paolino" (Sul discorso paolino, in Il Nuovo Testamento. Nuovamente tradotto, Arbizzano (Vr), 2002, pp. 323-330).
Se le epistole di Paolo esibiscono una evidente struttura retorica di tipo parenetico-catechistica, è anche vero che sono animate da una "luminosa e infocata radiazione profetica" che le incendia e le sostanzia. "Paolo è un apostolo che non si limita a trasmettere ciò che è saputo ma procede a inventare e a fondare un nuovo sapere" inteso quest'ultimo da Luzi "come nuovo argomento di rivelazione". Ed è questo aspetto che struttura la sua parola come profetica, rivolta ai cristiani delle nascenti comunità dell'Asia minore o della Grecia da lui direttamente fondate o visitate: "Non cessa (...) di essere in atto profeta neppure quando amministra o governa". L'autorevolezza del profetare - lucidamente argomenta Luzi - gli deriva dalla luce della folgorazione damascena: si tratta di una vocazione - che è allo stesso tempo una missione - a proferire il Verbo incarnato nella propria umanità. Paolo identifica la propria missione evangelizzatrice con quella del Cristo stesso che lo ha reso co-apostolo, per cui può parlare quasi con protesta del mio Vangelo che egli proclama con l'autorità di chi detta e interpreta.
Ma, continua il poeta fiorentino, rifacendosi al capitolo 14 della lettera ai Corinzi, la profezia si accompagna al dono della glossolalia, il carisma di parlare in lingue ugualmente posseduto da Paolo, sebbene dichiari di praticarne uno solo, la profezia appunto "per giovare ai fratelli, perché quello infatti e non questo serve allo scopo della conoscenza e dell'amore". Il discorso paolino afferma con perentoria e asseverativa autorevolezza il potere della Parola perché sostenuto da una granitica e consapevole fede di essere stato scelto latore del Vangelo dallo stesso Gesù Cristo per andare incontro ai Gentili. L'inestimabile grazia e la dirompente novità del pensiero di Paolo vengono celebrati da Luzi alla luce dell'esegesi di Giovanni Crisostomo il quale "con eloquenza colorita da belle iperboli lo ha celebrato in modo da fissarne nei secoli lo stigma e quasi l'icone".
Transitando sul piano personale, Luzi, ricorda che l'incontro con Paolo è avvenuto tardi: "Se penso la mia prima e poi la successiva sempre imperfetta approssimazione cristiana, non incontro tanto presto né tanto spesso san Paolo. La lettura attenta dei Corinzi e dei Romani e delle altre testimonianze paoline è stata piuttosto un acquisto dell'età matura e di un certo passaggio della vicenda personale e storica, quando tutto pareva rimesso in causa" e coglie una somiglianza tra il proprio tempo e quello della crisi di civiltà attraversato e vissuto da Paolo. La percezione di attraversare un tempo caotico e agonico nel quale una serie di valori e istituti che sembravano solidissimi crollarono inesorabilmente, riportò all'attenzione e alla meditazione di Luzi la grandezza e l'attualità della voce dell'apostolo e se in un primo momento aveva colto del santo un rigore morale e una freddezza di scrittura, a quel punto di crisi cede dinanzi all'acutezza e alle profondità del suo magistero e della sua testimonianza: "A questo punto quel rigore e quel freddo che alonavano il santo nella versione che primamente ne avevo ricevuto cedettero alla energia e alla radiosità esplosive di quella che mi si animava di fronte". Di fronte dunque ad un momento di crisi epocale e di cadute di certezze, all'apparecchio di novità che andavano decifrate e battezzate, la figura di Paolo si ripresenta per Luzi "vigorosa, come portata dal proprio elemento. La sua parola di fede sfida ancora le inerzie e le ignavie per cui l'uomo si adegua e si rassegna all'errore e all'iniquità".

(©L'Osservatore Romano - 28-29 gennaio 2008)

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