31 gennaio 2008

Il pregiudizio contro la verità: "il caso Sapienza"


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Il pregiudizio contro la verità

Chi nega il fondo di saggezza che le religioni portano alla ragione pecca contro la laicità: ieri a Roma un confronto fra monsignor Ravasi e Giuliano Ferrara. Ornaghi: «Dalla lectio del Papa un invito a riflettere» Il pregiudizio contro la verità

DA ROMA MIMMO MUOLO

La prima parola chiave è «pre­venzioni ». La seconda «verità».
Miscelandole, monsignor Gianfranco Ravasi conia quella che si potrebbe definire la «morale» del­la brutta vicenda che ha costretto il Papa a rinunciare alla visita all’uni­versità 'La Sapienza'. Argomenta, infatti, il presidente del Pontificio Consiglio per la cultura: «Questa vi­cenda ci deve spingere a superare le prevenzioni della nostra epoca nei confronti della verità».
Il che signifi­ca «uscire dal sospetto che la verità sia una cappa che ci sta sopra e non una meta di luce da raggiungere».

Benedetto XVI questo l’ha mostrato con chiarezza nel discorso inviato al rettore Renato Guarini. Dunque, conclude il vescovo, «il suo è un in­vito a intraprendere il cammino che porta a quella meta, perché una vi­ta senza la ricerca della verità non mette conto di essere vissuta».

Ravasi è intervenuto, ieri pomerig­gio, insieme con il direttore de Il Fo­glio Giuliano Ferrara, al primo dei due colloqui organizzati dall’Uni­versità Cattolica del Sacro Cuore sul discorso del Pontefice alla 'Sapien­za'. Un incontro, svoltosi nella sede della Facoltà di Medicina a Roma e moderato (come del resto lo sarà an­che il secondo in programma a Mi­lano lunedì prossimo) dal rettore magnifico Lorenzo Ornaghi.
Il qua­le nella sua introduzione non ha mancato come il testo di Benedetto XVI sia davvero contro corrente. «In un’epoca come la nostra che si fer­ma alla superficie dei fenomeni e non si interessa più all’essenza del­le cose, un’epoca in cui sappiamo più distinguere il giusto dall’ingiu­sto, il vero da ciò che non lo è, il Pa­pa invita a riflettere».
E il suo invito è particolarmente importante per l’università nel suo complesso, che «Benedetto XVI esorta a riprendere un’opera di composizione del sape­re, anziché contribuire a scompor­lo ».

Il successivo dibattitto tra Ravasi e Ferrara ha visto un’ampia conver­genza proprio su questa necessità. Il vescovo e il giornalista si sono trovati innanzitutto d’accordo nell’indivi­duare il passaggio chiave del discor­so. Quello in cui il Papa invita a «non gettare nel cestino della storia delle idee», la sapienza delle grandi tradi­zioni religiose, che contribuisce a formare «il fondo storico dell’uma­na sapienza».

Il direttore de 'Il Fo­glio', ad esempio, dopo aver ricor­dato che la contestazione è nata da «un’interpretazione equivoca e fon­damentalmente sbagliata di un vec­chio intervento del cardinale Rat­zinger, un 'super-professore' che sa benissimo cos’è il mondo universi­tario », ha definito il suo discorso alla 'Sapienza' «strepitoso, folgoran­te e anche intellettualmente ironi­co, specie nell’affermazione di par­tenza, in cui il Pontefice rende o­maggio all’università laica, alla sua autonomia, che deve essere legata esclusivamente alla verità».

La «perla» di tutto l’intervento, se­condo Ferrara, è però quella in cui «Joseph Ratzinger denuncia il rischio di un Occidente che tende a esclu­dere in maniera sistematica e pre­ventiva il ricorso a quel 'fondo sto­rico dell’umana sapienza' che è la fede come esperienza concreta».

Ri­nuncia «poco coraggiosa», che di­venta anche «un pericolo», in quan­to «si può risolvere nella mancanza di volontà a collaborare insieme al­la ricerca della verità».

Ciò ha delle ripercussioni in ambito politico, che Ferrara ha sottolineato in riferimento all’esperienza con­creta di Zapatero. «Il suo modo di governare – ha detto – costituisce l’inveramento storico-politico del­l’esclusione del ricorso al 'fondo sto­rico dell’umana sapienza'». «Non solo si fa ciò che dice la maggioran­za, ma questa volontà maggioritaria diventa anche misura del vero e del giusto».

Per Ferrara, invece, la strada indica­ta da Benedetto XVI nella conclu­sione del suo discorso può offrire u­tili spunti anche a chi non crede. «Ve lo dico da laico – ha concluso – Quel­la di Cristo è una luce che illumina il cammino non solo per chi ha den­tro di sé la fede, ma anche per non possiede questo tesoro».
Anche per Ravasi punto nodale del­la riflessione di Benedetto XVI è quello in cui il Papa ricorda che «il vero concetto di ragione non è e­sauribile nella sola logica formale». «Esiste una Ragione-creatrice che è al contempo RagioneAmore. E an­che la logica dell’amore fa parte del­la brama di conoscenza, che il Be­nedetto XVI ha ricordato essere 'la vera, intima origine dell’università'».

Non solo. Citando Platone, il presi­dente del Pontificio Consiglio per la cultura, ha fatto notare che esiste an­che una logica estetica, che la verità contiene in sé la bellezza e che la ri­cerca della verità diviene anche ar­te e poesia.

Benedetto XVI, dunque, «contraria­mente alla cultura filosofica domi­nante – secondo cui la verità è una questione di retroguardia o, come afferma Michel Foucault, è «paraliz­zante e impositiva» – propone di ri­portare questo tema dentro l’uni­versità ». Perciò, ha notato ancora Ravasi, «il ritorno alla cultura greca è un dato fondamentale del suo ma­gistero, in quanto il Papa sa che quel­la cultura ha creato tutte le regole per far sì che la ragione si orienti ver­so la luce che ci trascende e che sem­pre ci interpella». La prova? Ancora una volta Platone, secondo cui «il ci­bo profondo dell’anima e della stes­sa ragione sta proprio nella pianura della verità, verso cui bisogna met­tersi in cammino come se fosse un pellegrinaggio».

© Copyright Avvenire, 31 gennaio 2008

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