31 gennaio 2008

Alla scuola della speranza: la "Spe salvi" vista dalla Russia


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Prossimi appuntamenti con il Santo Padre

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IL PAPA E L'OSCURANTISMO INTOLLERANTE DEI LAICISTI UNIVERSITARI: LO SPECIALE DEL BLOG

VISTO DALLA RUSSIA

Alla scuola della speranza

Aleksandr Archangel'skij

Non ho nessuna preparazione teologica, mi manca il gusto e l’abitudine di occuparmi di teologia. Ma il testo così serio e profondo di papa Benedetto XVI mi induce a guardare ancora una volta alla realtà odierna entro cui vivo e mi muovo. In questo contesto in che cosa, in chi può sperare un cristiano, anche l’ultimo arrivato? La risposta sembrerebbe elementare: in Dio, nella Provvidenza. Ma per chi non si limiti a rispondere in maniera teorica e generica, bensì concreta, entrando nel vivo della questione, in realtà il problema è arduo. Chi e che cosa amare, lo sappiamo; in che cosa credere, lo intuiamo (anche se viviamo come se non credessimo in niente). Ma sulla speranza caschiamo. Quanto più solido, esteriormente affidabile si presenta il mondo post-cristiano, tanto più disperante si fa la percezione che abbiamo del vivere. Non possiamo sperare nel crollo di un ordinamento mondiale, che ha tolto di mezzo Dio, ma si presenta quantomai confortevole, così come speravano i cristiani cittadini di regimi dispotici orientali o di sistemi totalitari. E questo semplicemente perché il crollo dell’ordine attuale potrebbe condurre (e molto probabilmente succederà così) al sorgere di un nuovo ordine di gran lunga peggiore. Non possiamo sperare nel graduale ritorno dei fondamenti della civiltà cristiana, perché nella storia non c’è mai nulla che torni indietro. Non possiamo sperare nel progresso, perché il progresso di una civiltà spesso comporta un regresso della fede. Non possiamo sperare nei «principi, figli di uomini», perché la salvezza non è in loro. Tanto meno accontentarci di quello che c’è, perché ce lo impedisce la coscienza.
In questo senso, l’enciclica Spe salvi è di una straordinaria attualità, centra il cuore della nostra problematica esistenziale, ci ricorda che la speranza ci viene offerta come intuizione, scoperta, nella misura in cui ci educhiamo a un lavoro personale. Sperare non significa solo fare genericamente assegnamento sul fatto che le cose vadano bene; sperare implica un impegno quotidiano. Implica una vigilanza, una disponibilità, in modo da avere qualcosa da esibire alla Provvidenza, quando questa ritenesse necessario offrirci ancora una possibilità di realizzarci come cristiani nella storia. La cosa più terribile sarebbe che ci venisse offerta una nuova chance e noi (non dico il mondo, ma dico “noi”) ci trovassimo con le lampade spente. Insomma: ascoltiamo questo appello paterno e poniamo mano al lavoro della speranza.

© Copyright Tracce n. 1/2008

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