29 ottobre 2007

Beatificazioni e teppismo: gli articoli del Corriere della sera


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CITTÀ DEL VATICANO — Gli affari di Spagna sono sempre «calienti» — si sa — ma in Vaticano stavolta pare abbiano saputo come raffreddarli: ieri sono stati beatificati 498 martiri della guerra civile senza che dalla folla dei 40 mila «pellegrini» spagnoli venisse neanche una voce di intemperanza contro il governo Zapatero che era rappresentato al giusto livello dal ministro degli Esteri Miguel Angel Moratinos.
Il papa nel suo saluto non ha alluso alle «difficoltà» nei rapporti tra Chiesa e governo, il cardinale celebrante — il portoghese José Saraiva Martins — ha parlato con forza del martirio subito da preti, suore, vescovi e laici nella Spagna del 1934-37 ma non ha detto nulla sulla Spagna di oggi.
È ovvio tuttavia che la grande celebrazione di ieri e quella che i pellegrini avranno di nuovo oggi in piazza San Pietro — sarà presieduta dal cardinale Bertone e non si sa se il papa scenderà a salutarli — vanno inquadrate nel clima teso che si vive in Spagna da tre anni e mezzo tra Chiesa e maggioranza di sinistra.
Domani a Madrid va al voto la «Legge sulla memoria storica » che impone di cancellare anche le targhe dedicate negli anni di Franco ai «caduti per Dio e per la patria» tante delle quali sono poste in posizione eminente sui muri delle Chiese e di altri edifici di proprietà della Chiesa. Il Partito socialista sta discutendo al proprio interno la «proposta» di chiedere alla Chiesa una revisione del Concordato del 1979 che l'adegui alla «laicizzazione» intervenuta nel Paese lungo l'ultimo trentennio.
Il buon andamento della «festa » di ieri era stato propiziato da una cena offerta dall'ambasciata di Spagna presso la Santa Sede, alla quale hanno partecipato una decina di cardinali venuti dalla Spagna e dal Vaticano. Il ministro Moratinos e il cardinale di Madrid Rouco Varela hanno tenuto un brindisi dove nessuno dei due ha nascosto le «difficoltà » ma dove ambedue hanno affermato che è possibile «collaborare» in vista della loro «soluzione».
Tra i gesti di buona volontà va citato il saluto fatto dal papa all'«Angelus»: ha invitato i pellegrini spagnoli a imparare dai martiri a «lavorare per la misericordia, la riconciliazione e la convivenza pacifica».
Come a escludere ogni malevola interpretazione politica di qualche sua parola — o dello stesso fatto di una proclamazione di beati così numerosa (un record assoluto per una sola celebrazione) — papa Benedetto ha segnalato che la «luminosa testimonianza » di questi «martiri» spagnoli è la stessa dei beati proclamati nei giorni scorsi in Austria, Brasile e Italia.
Il rito di beatificazione era stato presieduto dal cardinale prefetto delle Cause dei santi Saraiva Martins, che all'omelia aveva ricordato — anch'egli in spirito di distensione — che «i martiri non sono patrimonio esclusivo di una diocesi o di una nazione» ma «appartengono al mondo intero, alla Chiesa universale» e che «la santità non consiste nella riaffermazione di valori comuni a tutti, ma nella personale adesione a Cristo salvatore del cosmo e della storia».
Come a dire che quei 498 non vengono proposti come figure esemplari per una qualche loro impresa o scelta politica (che avranno magari anche compiuto, in anni in cui non si poteva per esempio essere preti senza stare in una delle due parti in lotta) ma per la propria scelta di fede.
In un'intervista alla «Radio vaticana» il cardinale è stato più puntuale e anche pungente, ma sui martiri non sull'attualità. Ha detto che «i cosiddetti repubblicani avevano l'ideale, nella cattolica Spagna, di chiudere con la Chiesa una volta per tutte».
Il rito si è svolto tranquillamente nella piazza assolata e ornata di fiori. È culminato nel gesto tradizionale di scoprire un arazzo con il viso del beato, appeso sulla facciata della basilica. Non potendo esserci 498 arazzi, ne è stato realizzato uno collettivo con disegnata una grande croce. Quando è stato scoperto la piazza ha intonato il «Christus vincit».
Per inquadrare storicamente la beatificazione di ieri va detto che la Chiesa spagnola vanta circa diecimila propri esponenti uccisi durante la guerra civile «in odio alla fede ». Cause di beatificazione furono introdotte a partire dal 1948 e papa Wojtyla aveva già celebrato undici cerimonie di beatificazione per un totale di 465 «beati». Con la proclamazione di ieri (due vescovi, 24 preti, 462 tra frati e suore, un diacono, un suddiacono, un seminarista e sette laici) il totale è più che raddoppiato e si avvicina al migliaio.

© Copyright Corriere della sera, 29 ottobre 2007


Scontri a Roma

«Niente onori a chi ha ucciso» Alla chiesa dell'Opus Dei rissa e insulti con i centri sociali

Rinaldo Frignani Ester Palma

ROMA — Botte e insulti fuori dalla chiesa dell'Opus Dei ai Parioli, volantini di protesta a San Pietro. La beatificazione dei 498 martiri spagnoli in Vaticano ha avuto ieri mattina una cornice violenta e polemica. Sei giovani dei centri sociali romani, appartenenti ai collettivi «Militant» e «Facciamo breccia» della rete antagonista, sono stati fermati poco prima di mezzogiorno da polizia e carabinieri mentre si scontravano con alcuni fedeli appena usciti dalla Messa nella basilica di Sant'Eugenio alle Belle Arti. I giovani di estrema sinistra, giunti su un furgone bianco, avevano attaccato uno striscione sul portone della chiesa sul quale c'era scritto «Chi ha ucciso, torturato e sfruttato non può essere beato», insieme a un pannello sul quale era riprodotto il famoso dipinto «Guernica» di Pablo Picasso. Alla fine della Messa un gruppo di fedeli, fra cui sembra anche un sacerdote, ha strappato lo striscione: sono volati insulti e spintoni, e poi anche calci e pugni. Un ragazzo dei centri sociali ha bloccato il traffico versando vernice rossa in mezzo alla strada. «Per simboleggiare il sangue versato in nome dell'antifascismo», hanno spiegato i manifestanti secondo i quali qualcuno dei fedeli avrebbe anche inneggiato al dittatore spagnolo Francisco Franco.

Diversa la versione di alcune persone presenti in chiesa: ad aggredire e insultare i fedeli sarebbero stati proprio i giovani contestatori, molti dei quali a volto coperto. Il parapiglia è stato comunque subito interrotto dalle forze dell'ordine. Gli agenti hanno bloccato i più esagitati e impedito che la situazioni potesse peggiorare ulteriormente. L'autista del furgone, fuggito con il veicolo per le strade dei Parioli, è stato inseguito e raggiunto poco dopo. A bordo sono stati trovati altri striscioni dello stesso tenore, con telecamere e macchine fotografiche contenenti le immagini della manifestazione e dei tafferugli.

«Ma non potevano avercela con noi — spiega Giuseppe Corigliano, portavoce dell'Opus Dei —, d'altra parte in quella basilica ogni domenica si recano centinaia di fedeli provenienti da tutta la zona. Escludo che appartenenti all'Opus Dei siano stati coinvolti in quella gazzarra». I ragazzi dei collettivi fermati, fra i quali anche una donna, fra i 23 e i 36 anni, sono stati accompagnati in commissariato, identificati e poi rilasciati. Sulla loro iniziativa indaga anche la Digos. Proprio nello stesso momento, in piazza San Pietro, altri due giovani appartenenti alla rete antagonista sono stati bloccati dalla polizia mentre stavano facendo invece volantinaggio fra i fedeli riuniti per assistere alla cerimonia di beatificazione. Anche loro sono stati identificati e le scatole di fogli fotocopiati sequestrate. Nei volantini si inneggiava al «Quinto Regimiento», il braccio armato del Partito comunista nella guerra civile spagnola, e alla «Brigada Internacional» (composta soprattutto da volontari francesi, che si scontrò con le truppe franchiste, appoggiate da Italia e Germania), e si criticava papa Benedetto XVI, accusato dai centri sociali di beatificare i 498 religiosi massacrati dalle milizie di sinistra «mentre il governo Zapatero sta per varare una legge sulla memoria storica che condanna il franchismo». «Siamo per la libertà di espressione — ha commentato don Nicola Zenoni, vice parroco della basilica di Sant'Eugenio — ma quelli cercavano la rissa».

© Copyright Corriere della sera, 29 ottobre 2007


A parte il fatto che il Papa non c'entra nulla, direi che non c'e' dubbio alcuno su chi abbia aggredito chi! Il fatto che ci fossero volantini razzisti, l'autista del furgone sia fuggito e si sia rovinata la pubblica via non depone affatto a favore dei teppistelli.
Miei cari, la versione non convince. Imparate l'educazione, studiate la storia e siate piu' rispettosi
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Raffaella


JAVIER CERCAS

«L'appoggio della Chiesa a Franco non giustifica quella barbarie»

Lo scrittore: «Guernica non c'entra niente con quel massacro»

Elisabetta Rosaspina

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

MADRID — Morirono senza difesa, torturati senza pietà, odiati per la veste che indossavano: non basta per considerarli martiri? Lo scrittore spagnolo Javier Cercas quasi non riesce a credere che, fuori da una chiesa romana, ci si possa picchiare per sostenere o negare il diritto del Vaticano a beatificare preti e monache trucidati negli anni '30, prima e durante la guerra civile: «Fu una barbarie ingiustificata. Un orrore. Mi pare giusto che quelle vittime ora siano elevate agli altari e chi protesta, sventolando le immagini di Guernica, non conosce la storia. Perché Guernica non c'entra nulla con quel bagno di sangue».

C'entra, però, la posizione che la Chiesa assunse in quegli anni, a favore di Francisco Franco.

«Certo. La Chiesa avallò il colpo di Stato. Peggio: trasformò un golpe originariamente fascista in una crociata. Quello di Franco era stato un colpo di Stato contro un governo democratico e legittimo. Fu un errore, senz'altro, da parte delle gerarchie ecclesiastiche, appoggiarlo. Ma questo non giustifica né rende più accettabili le atrocità commesse contro migliaia di frati e suore inermi. La verità è che nel campo repubblicano non c'era il controllo della situazione e quei massacri, compiuti perlopiù dagli anarchici, danneggiarono enormemente proprio la sinistra e i vertici repubblicani, che non li avevano ordinati e mai li avrebbero voluti ».

C'era più umanità sul fronte opposto?

«Chiaro che no. Come in tutte le guerre, si commettono crimini spaventosi da una parte e dall'altra. Con qualche differenza: il terrore franchista era organizzato dallo Stato, con esecuzioni programmate. Mentre il terrore repubblicano andava contro la volontà dello Stato Repubblicano che non chiedeva né incoraggiava l'assassinio di religiosi. Per quanto nefasta fosse stata la scelta di campo della Chiesa, i suoi sacerdoti non rappresentavano un pericolo per la Repubblica. Ne furono uccisi settemila, ne sono stati beatificati già a centinaia. Perché proprio per questi 498 si scatena la rissa?».

Non sarà perché la Spagna si sta nuovamente dividendo sulla Legge della Memoria Storica? Non sarà troppo presto per riaprire quella porta?

«No. È passato tempo sufficiente. La legge che sarà approvata questa settimana è stata voluta da Zapatero per riparare alle ingiustizie e ai danni causati dal franchismo e dalla guerra finché ancora esiste qualche possibile beneficiario. Qualcuno che aspetta di poter recuperare i resti di suo nonno da una fossa comune o di essere riabilitato da una condanna politica arbitraria. Non si poteva fare durante la Transizione, ma ora sì. Semmai questa legge, molto complicata, ha altri problemi».

Per esempio?

«Per esempio, sarebbe stato meglio che non avesse carattere di legge. Una legge retroattiva, per di più. Il potere non deve legiferare sulla storia. Anche se non è questa certamente l'intenzione di Zapatero, né lo anima uno spirito di vendetta. Ma questa è la tesi che diffonde la destra spagnola in Europa. Una destra che non ha ancora rinnegato il franchismo, non ha accettato la sconfitta elettorale del 2004 e ancora sostiene che l'attentato dell'11 marzo è stato opera dell'Eta. Così in Polonia paragonano la loro caccia alle streghe alla nostra Legge della Memoria Storica. Un'assurdità. Qui non si pretende di riscrivere la storia, ma di riparare ai torti commessi in quei 40 anni. Come già avevano tentato di fare governi precedenti. Nello stesso spirito, mi pare logico che anche la Chiesa voglia beatificare i suoi martiri».

Nel suo libro Soldati di Salamina si racconta come, alla fine della guerra civile, un miliziano repubblicano decida, dopo una lunga caccia, di risparmiare l'odiato Rafael Sánchez Mazas, fondatore e ideologo della Falange, quando finalmente lo ha raggiunto e non gli resta che premere il grilletto. Significa che atti di riconciliazione, o almeno di condono, sono più facili a caldo che dopo 70 anni?

«Sì, ed è un paradosso che mi affascina. Teoricamente sarebbe più facile perdonare dopo tanto tempo. Ma accadde che, alla morte di Franco, furono proprio quelli che avevano perso la guerra, patito l'esilio, il carcere, la perdita dei familiari, a decidere di chiudere lì, di non spargere altro sangue, di mettere da parte i risentimenti. Negli ultimi tempi sono quarantenni, troppo giovani anche soltanto per ricordare personalmente, a invocare una Norimberga in Spagna».

E lei come lo spiega?

«Col fatto che ci sono troppo intellettuali che pensano di far carriera con la purezza. E che non capiscono niente».

© Copyright Corriere della sera, 29 ottobre 2007

Dai, su'! Lo sappiamo tutti che se il terrorismo islamico non avesse colpito a pochi giorni dalle elezioni, Zapatero non sarebbe stato eletto. Spetta agli Spagnoli, ora, valutare i quattro anni di governo.
Raffaella

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