23 settembre 2007

Discorso del Papa ai vescovi: il bel commento di Franca Giansoldati


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Il Papa ai vescovi: non siete manager

«Non lasciatevi travolgere dagli impegni e ricordate: siete uomini di preghiera»

di FRANCA GIANSOLDATI

CITTA’ DEL VATICANO - Vescovi manager? No grazie. Nella Chiesa di Benedetto XVI non c’è posto per loro. Approvazioni di bilanci, sedute fiume in più consigli di amministrazione, una pletora di obblighi istituzionali, dal taglio del nastro al party benefico, il tutto condito da convegni e riunioni a raffica con associazioni varie. Oggi come oggi, la vita quotidiana del vescovo, specie nelle grandi metropoli, non è fatta solo di spiritualità. Il rischio è che le tante responsabilità amministrative possano intaccarne lo spirito pastorale. Papa Ratzinger lo sa bene e proprio per evitare tentazioni manageriali così come le sirene del potere, non ha esitato a mettere in guardia l’episcopato intero, affinchè resti fedele al compito ricevuto: insegnare il Vangelo, custodire la fede e governare il popolo di Dio. Innanzitutto è bene «perseverare nella preghiera». Poi, si è raccomandato il Papa rivolgendosi ad un gruppo di neo-vescovi ricevuti ieri mattina a Castel Gandolfo, occorre ricordare che il primo posto nella vita di un successore degli Apostoli «è sempre riservato a Dio» nonostante «gli impegni molteplici, le necessità tante, gli aspetti organizzativi assorbenti». Più che di funzionari amministrativi, efficienti e in grado di far quadrare i conti economici delle curie diocesane, Papa Ratzinger vuole all’opera pastori «sensibili e misericordiosi verso di tutti», impegnati ad essere «animatori di preghiera nella società». Benedetto XVI si rende conto che nelle città «convulse e rumorose» dove «l’uomo corre e si smarrisce, come se Dio non esistesse», tanti vescovi tendono a conformarsi alla frenesia metropolitana. Eppure, è proprio lì, nelle grandi metropoli, che dovrebbero «creare luoghi ed occasioni di preghiera». Quanto alle non poche attività amministrative, fa sapere il Papa, è bene che i vescovi lascino più spazio ai laici, per tanti versi sicuramente più preparati. «Come Mosè abbiate le mani alzate verso il cielo, mentre i vostri fedeli combattono la buona battaglia della fede» ha detto.

Non è la prima volta in Vaticano si solleva l’argomento della tentazione dell’efficientismo e del carrierismo. L’anno scorso, a maggio, ordinando 15 nuovi sacerdoti a San Pietro Ratzinger avvertiva che non si può seguire la carriera per «arrivare in alto, per procurarsi una posizione mediante la Chiesa».

In quell’occasione il tema lo aveva affrontato commentando il passo evangelico di Giovanni («Chi sale..è un ladro o un brigante»). Salire, in quel senso, aveva spiegato ai fedeli, indica «l’immagine del carrierismo, del tentativo» di scalare la società, per «servirsi e non servire». L’identikit del buon pastore secondo il Papa teologo è di dare la vita per il proprio gregge, essere al servizio dell’unità, «andare a trovare» la gente «essere aperto alle necessità dei fedeli ed alle loro domande». Analogo richiamo lo aveva ripetuto il mese successivo davanti ad un gruppo di studenti della Pontificia Accademia Ecclesiastica. A questi ragazzi destinati a diventare nunzi aveva caldeggiato di aprire gli orizzonti della mente e del cuore «sì da superare ogni tentazione di particolarismi ed individualismi». Più che di persone abili a far di conto o nell’attività di fund raising, Papa Ratzinger preferisce sicuramente chi ha «capacità di comprendere, amare e sostenere».

© Copyright Il Messaggero, 23 settembre 2007

2 commenti:

euge ha detto...

Come ho sempre sostenuto se è ora che i preti ridiventino preti a tutti gli effetti cioè sentano il sacerdozio come una missione e non come un lavoro qualunque, figuriamoci i vescovi !!!!!!!!!!!!!
Bene ha fatto Benedetto XVI, a richiamare i vescovi alla loro missione di pastori e a condannare la figura del vescovo super impegnato peggio di un manager di una azienda di marketing con tutti gli annessi e connessi.
Eugenia

Anonimo ha detto...

....Benedetto XVI, il capo supremo della struttura Chiesa, dice ai vescovi, ma ritengo di non azzardare improprie interpretazioni se il discorso lo intendo rivolto anche ai parroci delle parrocchie, di occuparsi più dello spirito che degli impegni organizzativi. Ovviamente, esiste una parte di attività legata alla gestione della curia e della parrocchia di tipo organizzativo/amministrativo che non può essere evitata, anche se, è spesso effettuata da volontari laici.
Ma se Benedetto XVI si è spinto ad un simile richiamo è perchè deve avere la “sensazione” che i vescovi, e a discendere i livelli sottostanti, sono ormai diventati per “spirito di business” dei manager più che dei pastori. Chissà che lo svuotamente delle Chiese non sia se non in tutto, almeno in parte, originato da questa “trasformazione laica”. Quello che Benedetto XVI non dice esplicitamente ma indirettamente è che se una volta vi era la festa patronale adesso siamo all’inflazione di feste, sagre all’oratorio o circoli similari, all’incremento o alla trasformazione di momenti di incontro di divertimento comunitario in un’attività sistemistica prevalente, spesso in “società” con aggregazioni laiche ma di matrice (vera o presunta) cattolica.
Alcuni parroci vanno di parrocchia in parrocchia ad “esportare” il “nuovo modello” manageriale. Il bilancio delle loro parrocchie rimpingue, i luoghi adiacenti alle chiese attirano maggiore afflusso di prima, ma i banchi della chiesa sono sempre più vuoti.
Chissà che Benedetto XVI non faccia un ulteriore passo rivoluzionario ai miei occhi e per le mie orecchie, estendendo il concetto espresso a quelle organizzazione laiche di matrice cattolica che hanno modificato la missione originaria e hanno scoperto i vantaggi della clonazione del meglio/peggio di alcuni aspetti e modi di proporsi del laicismo convinto. Ogni riferimento ad alcuni aspetti e strutture della Compagnia delle Opere, non è puramente casuale.
Prima o poi Benedetto XVI - che ha la virtù della chiarezza e scarsa propensione ai compromessi nei valori cardini - richiamerà a non fare un uso improprio del nome di Dio accostandolo a finalità, a forme di espressione che poco ci azzeccano con la fede cattolica. Del resto: “non nominare il nome di Dio invano” è ancora un comandamento in vigore. Non è vero?