24 agosto 2007

Prolusione del cardinale Ratzinger al Congresso Mariologico di Loreto, 1995


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J. Ratzinger. "Incarnato nel seno della Vergine Maria

« Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine... »

Introduzione al Congresso mariologico per i settecento anni della santa Casa di Loreto, 1995

La professione di fede nicena come tutte le grandi professioni di fede della Chiesa antica è nella sua struttura di fondo una confessione del Dio trinitario. Nel suo contenuto essenziale è il dire « sì » al Dio vivente come Signore nostro, dal quale viene la nostra vita ed al quale essa ritorna. È una confessione di Dio. Che significa però quando lo chiamiamo Dio vivente? Si vuol dire che Dio non è una conclusione del nostro pensiero, che con la consapevolezza della nostra conoscenza e della nostra comprensione collochiamo prima degli altri; se si trattasse soltanto di questo, Dio rimarrebbe un pensiero degli uomini, ed ogni tentativo di volgersi a lui sarebbe una ricerca piena di speranza e di attesa, ma condurrebbe sempre nell'indeterminatezza. Il fatto che noi parliamo del Dio vivente significa: Dio si mostra a noi, egli guarda nel tem- po dall'eternità e istituisce una relazione con noi. Non osiamo darne una definizione secondo i nostri gusti. Egli stesso si è « definito », e quale nostro Signore sta davanti a noi, sopra di noi ed in mezzo a noi. Questa autorivelazione di Dio, in forza della quale egli non è il frutto di una nostra riflessione ma nostro Signore, costituisce per tanto giustamente il punto centrale della confessione di fede: il riconoscimento della storia di Dio nel cuore della storia degli uomini non è qualcosa che complica la semplicità della confessione di Dio, ma è la sua condizione interiore. Perciò il centro di tutte le nostre confessioni di fede è il «sì» a Gesù Cristo: « Egli si è incarnato per opera dello Spirito Santo nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo ». A questa frase ci inginocchiamo, perché a questo punto il cielo, il velo del nascondimento di Dio, viene strappato ed il mistero ci tocca con immediatezza. Il Dio lontano diventa il nostro Dio, l' Emmanuele «Dio con noi ». I grandi maestri della musica sacra in modo sempre nuovo, al di là di tutto ciò che è esprimibile in parole, hanno dato alla frase una risonanza, attraverso la quale l'indicibile tocca il nostro udito ed il nostro cuore. Tali composizioni sono un'« esegesi » del mistero, che penetra più in profondità di tutte le nostre interpretazioni razionali. Ma poiché è la Parola che divenne carne, dobbiamo sempre nuovamente cercare di tradurre nelle nostre parole umane questa Parola originaria creatrice, che « era presso Dio » ed « è Dio », al fine di udire nelle parole la Parola.

1. Grammatica e contenuto nella frase della professione di fede

Se esaminiamo la frase nella sua struttura grammaticale, si vede che include quattro soggetti. Espressamente vengono nominati lo Spirito Santo e la Vergine Maria. Ma poi vi è anche il soggetto sottinteso « Egli »: « Si è fatto carne ». Questo « Egli » viene chiamato prima con diversi nomi: Cristo, l'unigenito Figlio di Dio,... Dio vero da Dio vero..., della stessa sostanza del Padre. Così in questo Egli da lui inseparabile è incluso un altro Io: il Padre, con il quale Egli è della stessa sostanza, così che può chiamarsi Dio da Dio. Ciò significa: il primo ed il vero soggetto di questa frase è come era inevitabilmente da attendersi dopo quanto detto in precedenza Dio, ma Dio nella trinità dei soggetti, che tuttavia sono uno: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. La drammaticità della frase sta però nel fatto che non formula un'affermazione sull'essere eterno di Dio, ma un'affermazione di azione, che si rivela perfino ad un più attento esame come un'affer-mazione di passione, come un passivo. A questa affermazione di azione, alla quale hanno parte le tre Persone divine ciascuna a suo modo, appartiene l'espressione « ex Maria virgine », anzi, di qui dipende la drammaticità del tutto. Infatti senza Maria l'ingresso di Dio nella storia non giungerebbe al suo fine, quindi non sarebbe raggiunto proprio quello che ha importanza nella confessione di fede che, Dio è un Dio con noi e non solo un Dio in se stesso e per se stesso. Così la donna, che designò se stessa come umile, cioè come donna anonima (Lc 1,48) ( Cfr. al riguardo F. Mussner, Maria, die Mutter Jesu im Neuen Testament, St• Ottilien 1993, pp. 45s: « ta eznos significa senza valore, piccolo, povero, insignificante... d'ora in poi sarà come completamente diverso: Maria non sarà più l'anonima ragazza inosservata; il suo nome diverrà anzi importante per tutte le generazioni future... »,) è collocata nel punto centrale della confessi ne nel Dio vivente ed egli non può essere pensato senza di lei. Ella appartiene irrinnciabilmente alla nostra fede nel Dio vivente, nel Dio che agisce. La Parola diventa carne, l'eterno fondamentale significato del mondo entra in esso. Dio non lo guarda solo dall'esterno, ma diventa egli stesso un soggetto agente in esso. Affinché questo potesse accadere, occor-reva la Vergine che ponesse a disposizione tutta la sua per- sona, cioè il suo corpo, se stessa, perché diventasse luogo dell'abitazione di' Dio nel mondo. L'incarnazione aveva bisogno dell'accettazione. Solo così si verifica veramente l'unità del Logos e della carne. « Colui che ti ha creato senza di te, non ha voluto redimerti senza di te », ha detto Agostino in proposito. Il « mondo » nel quale il Figlio viene, la «carne » che egli assume, non è un luogo qualsiasi ed una cosa qualsiasi: questo mondo, questa carne è una persona umana, è un cuore aperto. La lettera agli Ebrei a partire dai Salmi ha interpretato il processo dell'incarnazione come un vero dialogo intradivino: « Un corpo mi hai preparato », dice il Figlio al Padre. Ma questa preparazione del corpo avviene nella misura in cui anche Maria dice: « Sacrificio ed offerta non hai voluto, un corpo tu mi hai preparato... Eccomi, io vengo, a fare la tua volontà » (Eb 10,5; Sal 39/40,6-8). Il corpo viene preparato al Figlio nel momento in cui Maria si consegna totalmente alla volontà del Padre e così rende disponibile il suo corpo come tenda dello Spirito Santo.

2. Lo sfondo biblico della frase

Per comprendere in tutta la sua profondità la frase centrale della professione di fede, dobbiamo risalire oltre il Credo alla sua fonte: la Sacra Scrittura. La professione di fede ad un più attento esame si rivela in questo punto come una sintesi delle tre grandi testimonianze bibliche dell'incarnazione del Figlio: Mt 1,18-25; Lc 1,26-38; Gv 1,13s. Cerchiamo dunque, senza entrare in un'interpretazione particolareggiata di questi testi, di cogliere qualcosa del loro particolare contributo alla comprensione dell'incarnazione di Dio.

a. Mt 1,18-25

Matteo scrive il suo Vangelo per l'ambiente giudaico e giudeocristiano. Ha pertanto la preoccupazione di mettere in luce la continuità fra antica e nuova alleanza. L'Antico Testamento tende a Gesù, in lui si compiono le promesse. Il legame interiore di attesa e compimento diviene allo stesso tempo dimostrazione che qui veramente Dio agisce e che Gesù è il salvatore del mondo inviato da Dio. Da questo angolo di visuale consegue innanzitutto che Matteo sviluppa la storia dell'infanzia a partire da san Giuseppe, per mostrare che Gesù è figlio di Davide, l'erede promesso, che dà continuità alla dinastia davidica e la trasforma nella regalità di Dio sul mondo. L'albero genealogico in quanto genealogia davidica conduce a Giuseppe. L'angelo si rivolge in sogno a Giuseppe come al figlio di Davide (Mt 1,20). Perciò Giuseppe diventa colui che dà il nome a Gesù: «L'assunzione alla posizione di figlio si compie nell'imposizione del nome... ».
Proprio perché Matteo vuole mostrare la correlazione fra promessa ed adempimento, emerge accanto alla figura di Giuseppe la Vergine Maria. Era ancora non dischiusa e incomprensibile la promessa che Dio aveva fatto per mezzo del profeta Isaia al dubbioso re Acaz, il quale nell'incalzare degli eserciti nemici sempre più vicini non vuole chiedere a Dio alcun segno. Il Signore « stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele (Dio con noi) » (Is 7,14). Nessuno è in condizione di dire che cosa questo segno volesse significare nell'ora storica del re Acaz, né, in che cosa è consistito. La promessa va molto al di là di quell'ora. Essa continuò a brillare sopra la storia di Israele come stella della speranza, che orientava lo sguardo verso il futuro, verso l'ancora ignoto. Per Matteo con la nascita di Gesù dalla Vergine Maria il velo viene sollevato: questo segno ora è dato. La Vergine, che come Vergine partorisce per opera dello Spirito Santo, è il segno. Con questa seconda linea profetica si collega anche un nome nuovo, che solo dà al nome di Gesù il suo pieno significato e la sua profondità. Se a partire dalla promessa di Isaia il bambino si chiama Emmanuele, il quadro della promessa davidica viene allargato. Il regno di questo bambino va oltre quanto poteva lasciare attendere la promessa davidica: il suo regno è il regno di Dio stesso; esso partecipa dell'univer-salità della signoria di Dio: infatti in lui Dio stesso è entrato nella storia del mondo. L'annuncio, che risuona nel racconto della concezione e della nascita di Gesù viene ripreso solo negli ultimi versetti del Vangelo. Durante la vita terrena Gesù si sente strettamente legato alla casa di Israele, non ancora inviato ai popoli del mondo. Ma dopo la morte in croce, come risorto, egli dice: « Fate miei discepoli tutti i popoli... ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo » (Mt 28,19s). Qui egli si mostra ora come il Dio con noi, il cui nuovo regno comprende tutti i popoli, perché Dio è uno solo per tutti. In coerenza con questo Matteo nel racconto della concezione di Gesù modifica in un punto la parola di Isaia. Egli non dice più: « Essa (la vergine) gli porrà il nome di Emmanuele », ma: « Essi lo chiameranno Emmanuele, Dio con noi ». In questo « essi » si preannuncia la futura comunità dei credenti, la Chiesa, che invocherà Gesù con questo nome. Nel racconto di san Matteo tutto è orientato a Cristo, perché tutto è orientato a Dio. Così la professione di fede lo ha giustamente compreso e lo ha trasmesso alla Chiesa. Poi-ché ora Dio è con noi, sono di essenziale importanza anche i portatori umani della promessa: Giuseppe e Maria. Giuseppe rappresenta la fedeltà di Dio nei confronti di Israele, Maria invece la speranza dell'umanità. Giuseppe è padre secondo il diritto, ma Maria è madre con il suo proprio corpo: da lei dipende che Dio è diventato ora ve-ramente uno di noi.

b. Lc 1,26-38

Gettiamo ora uno sguardo sulla presentazione lucana della concezione e della nascita di Gesù, non per fare l'esegesi di questo densissimo testo, ma solo per cogliere il suo particolare contributo alla professione di fede. Mi limito alla pericope dell'annuncio della nascita di Gesù da parte dell'arcangelo Gabriele (Lc 1,26-38). Luca lascia trasparire nelle parole dell'angelo il mistero trinitario e dà così all'evento quel centro teologico, a cui fa riferimento tutta la storia della salvezza anche nella professione di fede. Il bambino, che verrà partorito, si chiamerà Figlio dell'Altissimo, Figlio di Dio; lo Spirito Santo come forza dell'Altissimo opererà misteriosamente la sua concezione: così si parla del Figlio, e indirettamente del Padre e dello Spirito Santo. Luca per la discesa dello Spirito Santo su Maria usa qui la parola « adombrare » (v. 35). Egli allude co-sì al racconto antico testamentario della nube santa, che fermandosi sulla tenda del convegno indicava la presenza di Dio. In tal modo Maria è caratterizzata come la nuova tenda santa, la vivente arca dell'alleanza. Il suo « sì » diventa luogo dell'incontro, nel quale Dio riceve una dimora nel mondo. Dio, che non abita in pietre, abita in questo « sì » dato con corpo ed anima; colui, che il mondo non può contenere, può prendere dimora totalmente in una persona umana. Questo motivo del nuovo tempio, della vera arca dell'alleanza, Luca lo fa risuonare più volte, so-prattutto nel saluto dell'angelo a Maria: « Rallegrati, o piena di grazia. Il Signore è con te » (1,28). E oggi ormai quasi unanimemente riconosciuto che questa parola dell'angelo trasmessa da Luca riprende la promessa di Sofonia 3,14, che è rivolta alla figlia di Sion e le annuncia la dimora di Dio in mezzo a lei. Così con questo saluto Maria è presentata come la figlia di Sion in persona e allo stesso tempo come il luogo della dimora, come la tenda santa, sulla quale riposa la nube della presenza di Dio. I Padri hanno ripreso questa idea, che poi determina anche l'antica iconografia cristiana. San Giuseppe viene indicato tramite il bastone fiorito come sommo sacerdote, come archetipo del vescovo cristiano. Maria invece è la Chiesa vivente. Su di lei viene lo Spirito Santo, e così diventa il nuovo tempio. Giuseppe, il giusto, è presentato come amministratore dei misteri di Dio, come sovrintendente e custode del santuario, che è la sposa ed il Logos in lei.

Così egli diventa l'immagine del vescovo, al quale è affidata la sposa; essa non è a sua disposizione, ma sotto la sua protezione (Mi appoggio qui su di un lavoro non pubblicato di A. Thiermeyer, Josef als Idealbild des frúhchristlichen Bischofs und Priesters, Roma 1989, che offre un'interpretazione dell'iconografia dell'arco trionfale di Santa Maria Maggiore svi-luppata a partire dai testi contemporanei dei Padri).

Tutto è orientato qui al Dio trinitario, ma proprio per questo nel mistero di Maria e della Chiesa diventa particolarmente evidente e comprensibile il suo essere nella storia. Ancora un punto del racconto lucano dell'annunciazione mi sembra importante per la nostra questione. Dio richiede il « sì » dell'uomo. Egli non ne dispone semplicemente con un atto del suo potere. Egli si è creato nell'uomo un interlocutore libero, ed ora ha bisogno della libertà della sua creatura, perché possa divenire realtà il suo regno, fondato non su un potere esteriore, ma sulla libertà. Bernardo di Chiaravalle in uno dei suoi Sermoni ha rappresentato drammaticamente questa attesa di Dio e l'attesa dell'umanità: «L'angelo attende la tua risposta, perché è ormai tempo di ritornare a colui che lo ha inviato... O Signora, da' quella risposta, che la terra, che gli inferi, anzi, che i cieli attendono. Come il Re e Signore di tutti desiderava vedere la tua bellezza, così egli desidera ardentemente la tua risposta affermativa... Perché esiti? Perché trepidi?... Ecco, colui che è atteso da tutte le genti bussa alla tua porta. Ahimè, se egli, per la tua esitazione, passasse oltre... Alzati, corri, apri! Alzati con la fede, affrettati con la tua offerta, apri con la tua adesione!». Senza questa libera adesione di Maria Dio non può diventare uomo. Certo, questo « sì » di Maria è totalmente grazia. Il dogma dell'Immacolata Concezione di Maria ha in realtà soltanto questo senso specifico, mostrare che non è affatto un essere umano a mettere in moto per suo po-tere la redenzione, ma il suo « sì » è totalmente contenuto fin dall'inizio ed in precedenza nell'amore divino, che già lo avvolge, ancor prima che esso sia generato. « Tutto è grazia ». Ma la grazia non toglie la libertà, al contrario la crea. Tutto il mistero della redenzione è presente in questa narrazione e si riassume nella figura della Vergine Maria: « Ecco, io sono la serva del Signore; avvenga a me se-condo la tua parola » (Lc 1,38).

c. Il prologo di Giovanni

Volgiamoci ora al prologo del Vangelo di Giovanni, sulle cui parole si appoggia la professione di fede. Anche qui vorrei solo proporre per accenni tre concetti. « La Parola è divenuta carne ed ha messo la sua tenda fra di noi » (Gv 1,14). Il Logos diventa carne: ci siamo così abituati a questa parola, che non ci colpisce più l'inaudita sintesi divina di ciò che in apparenza era assolutamente separato, sintesi nella quale i Padri si sono immedesimati passo dopo passo. Qui si trovava e si trova la vera novità cristiana, che appariva insensata e impensabile per lo spirito greco. Ciò che qui viene detto non deriva da una determinata cultura, quella semitica ad esempio o quella greca, come oggi senza molta riflessione si va continuamente affermando. E qualcosa contro tutte le forme culturali che conosciamo. Era altrettanto aberrante per gli ebrei quanto, per opposti motivi, per i greci o per gli indiani, ma viene contrastato anche dallo spirito moderno, per il quale questa sintesi fra mondo fenomenico e noumenico appare del tutto irreale e nuovamente la contesta con tutta l'autocoscienza della moderna razionalità. Ciò che qui è detto è « nuovo », perché viene da Dio e solo da Dio stesso poteva essere operato. Per tutti i periodi della storia e per tutte le culture è qualcosa di assolutamente nuovo e sconosciuto, nel quale possiamo entrare nella fede e solo nella fede; ci apre quindi orizzonti totalmente nuovi del pensare e del vivere. Giovanni però ha qui in mente un accento assai particolare. La frase del Logos, che diventa sari (carne), prelude al sesto capitolo del Vangelo, che nella sua totalità sviluppa questo mezzo versetto'. In quel brano Cristo dice agli ebrei ed al mondo: « Il pane, che io darò (cioè il Logos, che è il vero nutrimento dell'uomo), è la mia carne per la vita del mondo » (6,51). Con l'insegnamento sulla carne è già espresso allo stesso tempo il dono fino al sacrificio, il mistero della croce ed il mistero del sacramento pasquale che ne deriva. La Parola non diviene semplicemente in qualche modo carne, per avere una nuova condizione di esistenza. Nell'incarnazione è inclusa la dinamica del sacrificio. E di nuovo soggiacente la parola del Salmo: « Un corpo tu mi hai preparato... » (Eb 10,5; Sal 39/40). Così in questa breve frase è contenuto tutto il Vangelo; ci si sente richiamati alla parola dei Padri: il Logos si è contratto, è divenuto piccolo. Ciò vale in duplice modo: il Logos infinito è divenuto piccolo, un bambino. Ma anche: la parola incommensurabile, tutta la pienezza della Sacra Scrittura si è contratta in quest'unica frase, nella quale legge e profeti sono sintetizzati. Essere e storia, culto ed ethos sono riuniti qui nel punto centrale della cristologia e sono presenti senza raccorciamenti. La seconda indicazione, che mi sta a cuore, può essere breve. Giovanni parla della dimora di Dio come conseguenza e scopo dell'incarnazione. Egli adopera per questo la parola « tenda » e rinvia così nuovamente alla veterotestamentaria tenda del convegno, alla teologia del tempio, che trova il suo adempimento nel Logos divenuto carne. Nella parola greca usata per la tenda skené risuona però anche la parola ebraica shekinà, che designava la nube santa del primo giudaismo, che poi divenne il nome di Dio e indicava « la graziosa presenza di Dio presso la quale gli ebrei si riunivano per la preghiera e per lo stu-dio della legge ». Gesù è la vera « shekinà », per mezzo della quale Dio è in mezzo a noi, se noi siamo riuniti nel suo nome.
Infine dobbiamo gettare ancora uno sguardo sul versetto 13. A coloro che lo hanno accolto egli, il Logos, ha dato il potere di diventare figli di Dio: « A tutti coloro, che credono nel suo nome, che non dal sangue, né da volontà di carne, né da volontà di uomo, ma da Dio sono nati ». Per questo versetto ci sono due diverse tradizioni testuali, ed oggi non si può più discernere quale sia l'originaria. Entrambe appaiono praticamente della stessa antichità e con la stessa autorità. Vi è cioè la versione al singolare: « Che non dal sangue, né da volontà di carne, né da volontà di uomo, ma da Dio è stato generato ». Accanto però si trova la versione per noi corrente con il plurale: « Che... da Dio sono stati generati ». Questa duplice forma della tradizione è comprensibile, perché il versetto in ogni caso rimanda ad entrambi i soggetti. In questo senso dobbiamo in verità leggere sempre insieme entrambe le tradizioni testuali, perché solo insieme fanno emergere tutto il significato del testo. Se prendiamo come base l'abituale versione plurale, allora si parla dei battezzati, ai quali viene partecipata a partire dal Logos la nuova nascita divina. Ma il mistero del parto verginale di Gesù, l'origine di questa nostra nascita divina vi traspare così chiaramente, che solo un preconcetto può negare questa correlazione. Ma anche se consideriamo la versione singolare come quella originaria, rimane evidente la relazione con « tutti, quelli che lo hanno accolto ». Diviene chiaro che la concezione di Gesù da parte di Dio, la sua generazione nuova è orientata a questo, ad assumere noi, a darci una nuova generazione. Come il versetto 14, con la parola dell'incarnazio-ne del Logos, prelude al capitolo eucaristico del Vangelo, così qui è evidente l'anticipazione del colloquio con Nicodemo nel terzo capitolo. A Nicodemo Gesù dice che la generazione dalla carne non basta per entrare nel regno di Dio. E necessaria una nuova generazione dall'alto, una rigenerazione dall'acqua e dallo spirito (3,5). Cristo, che fu concepito dalla Vergine per opera dello Spirito Santo, è l'inizio di una nuova umanità, di una nuova forma dell'esistenza. Divenire cristiano significa essere accolto in questo nuovo inizio. Divenire cristiano è qualcosa di più di un rivolgersi a nuove idee, ad un nuovo ethos, ad una nuova comunità. La trasformazione, che qui avviene, ha la radicalità di una vera rinascita, di un nuova creazione. Così la Vergine Madre si trova di nuovo al centro dell'evento redentivo. Essa garantisce con tutto il suo essere per la novità che Dio ha operato. Solo se la sua storia è vera e sta all'inizio, vale ciò che Paolo dice: « Se dunque qualcuno è in Cristo, allora egli è una nuova creatura... » (2Cor 5,17).

3. Le orme di Dio

Dio non è legato a pietre, ma egli si lega a persone vive. Il « sì » di Maria gli apre lo spazio, ove egli può piantare la sua tenda. Maria diviene per lui la tenda, e così ella è l'inizio della santa Chiesa, che a sua volta è anticipo della nuova Gerusalemme, nella quale non vi è più alcun tempio, perché Dio stesso dimora in essa. La fede in Cristo, che confessiamo nel Credo, è quindi una spiritualizzazione ed una purificazione di tutto quanto la storia delle religioni aveva detto e sperato sul dimorare di Dio nel mondo. Ma è allo stesso tempo anche una corporeizzazio-ne ed una concretizzazione che va al di là di ogni attesa sull'essere di Dio con gli uomini. « Dio è nella carne »: proprio questo legame indissolubile di Dio con la sua creatu-ra costituisce il centro della fede cristiana. Se così è, si comprende che i cristiani fin dall'inizio ritennero santi quei luoghi, nei quali questo evento si era verificato. Divennero la garanzia permanente dell'ingresso di Dio nel mondo. Nazaret, Betlemme e Gerusalemme divennero così luoghi, nei quali si possono in un certo qual modo vedere le orme del Redentore, nei quali il mistero dell'incarnazione di Dio ci tocca molto da vicino. Per ciò che riguarda il racconto dell'annunciazione, il Protoevangelo di Giaco-mo, che risale al secondo secolo e nonostante i suoi molti elementi leggendari può anche aver conservato ricordi reali, ha suddiviso questo evento in due luoghi. Maria « prese la brocca ed uscì, per prendere acqua. Ed ecco una voce disse: "Salve, o piena di grazia, il Signore sia con te, benedetta fra le donne". Ella si voltò a destra e a sinistra, per vedere da dove venisse questa voce. E si turbò, entrò nella sua casa, depose la brocca, prese la porpora, si sedette sul suo scranno e filava. Ed ecco, un angelo del Signore apparire davanti a lei e dire: "Non temere, Maria, infatti tu hai trovato grazia presso l'onnipotente e concepirai per la sua parola" » (11,1ss). A questa doppia tradizione corrispondono i due santuari, il santuario orientale della fontana e la basilica cattolica, che è costruita intorno alla grotta dell'annunciazione. Entrambe hanno un senso profondo. Origene ha richiamato l'attenzione sul fatto che il motivo del pozzo informa di sé tutta la storia dei padri dell'Antico Testamento. Dove giungevano, scavavano pozzi. L'acqua è l'elemento della vita. Così il pozzo diventa sempre più il simbolo della vita, fino al pozzo di Giacobbe, presso il quale Gesù stesso si rivela come la fonte della vera vita, della quale ha profondamente sete l'umanità. La fonte, l'acqua zampillante diventa segno del mistero di Cristo, che ci dona l'acqua della vita e dal cui costato aperto scorrono sangue ed acqua. La fonte diventa l'annuncio di Cristo. Ma accanto sta la casa, il luogo della preghiera e del raccoglimento. « Quando vuoi pre-gare, entra nella tua camera... » (Mt 6,6). La realtà più personale, l'annuncio dell'incarnazione e la risposta della Vergine esigono la discrezione della casa. Le ricerche di P. Bagatti hanno messo in luce che già nel secondo secolo una mano ha tracciato sulla grotta di Nazaret in lingua greca il saluto dell'angelo a Maria: Ave Maria 13. Gianfranco Ravasi nota al riguardo molto opportunamente: questa testimonianza del ricercatore ci attesta « che il messaggio cristiano non è una collezione astratta di tesi teologiche su Dio ma è l'incontro di Dio con il nostro mon-do, con la realtà delle nostre case e della nostra vita ». Proprio di questo si tratta qui, presso la santa casa di Loreto e nell'anno del suo grande giubileo: ci lasciamo toccare dalla concretezza dell'agire divino, per proclamare con rinnovata gratitudine e consapevolezza: « Egli si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo... ».

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