25 agosto 2007

Intervista a tutto campo a Mons. Fisichella: Benedetto XVI non è solo un "liberatore" ma anche un vero "lottatore"


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Mons. Fisichella racconta la lotta di Benedetto XVI per «allargare la ragione». E ai giovani che dal Meeting di Rimini andranno a Loreto dice che «mai un pontefice fu così giussaniano»

di Luigi Amicone

Monsignor Rino Fisichella è un uomo e un prete coraggioso. Vescovo ausiliare di Roma, rettore della Pontificia università lateranense e affermato teologo (nonché cappellano della Camera dei deputati), da Ratisbona al Family day è sempre stato in prima linea a sostenere le posizioni più anticonformiste del magistero del Papa.

Questo papa, ha scritto Giuliano Ferrara, «è un liberatore». E Jacob Neusner, il rabbino con cui Ratzinger dialoga nel suo libro su Gesù di Nazaret dice che «Benedetto XVI è un cercatore della verità. Quelli che stiamo vivendo sono tempi interessanti».

Cosa pensa di questi più che lusinghieri giudizi monsignor Fisichella?

«Sono entrambi sintesi perfette. Benedetto XVI è proprio un liberatore perché è un cercatore di verità e, se posso aggiungere.», aggiunga, «perché è un autentico lottatore: arriva là dove la cultura moderna alza bandiera bianca e mostra la crisi in cui si trova l'Occidente. Che è crisi anzitutto culturale. Di una cultura che non sa più riconoscere il fondamento dell'esistenza umana. Egli arriva alla radice del problema umano. Che consiste principalmente in quegli interrogativi sul senso e il destino del vivere. È tale urgenza a costituire il nucleo infuocato della ragione. Di qui il profondo e imprescindibile legame con la fede. Pena la riduzione della ragione e il decadimento della fede. Nell'unità di fede e ragione, così come ci è stata magistralmente illustrata dal Santo padre a Ratisbona, troviamo anche il cuore del suo magistero: l'annuncio dell'universalità dell'evento cristiano. Nella persona di Cristo si trova la massima esaltazione della ragione e dell'unità tra fede e ragione. Dunque l'universalismo cristiano. Questo è il punto: l'originalità della cultura e delle culture si riassume in Cristo. Sì, sono proprio tempi interessanti quelli che stiamo vivendo».

Una Chiesa taciturna?

Il rapporto tra fede e ragione è anche il filo rosso di questo pontificato?

«Sì, a mio modo di vedere la chiave di lettura di questo pontificato sta nel binomio fede ragione. Non dimentico che già nella sua Introduzione al cristianesimo, da cardinale, Ratzinger usa due verbi per indicare l'esperienza della fede. Fede come "stehen", etimologicamente "stare, essere presenti". E fede come "verstehen", che significa "comprendere". La fede richiede una presenza continua nel mondo. Esige essere e comprensione, essere presenti e rendere ragione di ciò che si è».

Un po' troppo "presenti", stando alle rimostranze che si sono levate - anche da alcuni ambienti cattolici - nei confronti della Cei.

«Guardi, quando sento rimproverare i vescovi perché esprimono giudizi e ci viene detto da un ministro che "così non va" (Rosy Bindi, ndr), mi permetto rammentare che il Vaticano II ci chiede esplicitamente di essere presenti nel mondo per dare ragione della speranza che è in noi. Presenti. Poiché la fede è relazione continua con Cristo e con la realtà storica che Cristo ha voluto: la Chiesa. Mi chiedo come un politico che si dice cattolico possa sorvolare con tanta presunzione su queste cose. Cattolicesimo è appartenenza a Cristo nel suo popolo, la chiesa. Non appartenenza alla propria idea e al proprio partito».

Però la chiesa, dicono, dovrebbe essere più cauta - e alcuni ambienti cattolici aggiungono: "più taciturna" - nelle cose di mondo. Lei sa bene quale parola oppongono: "dialogo". Si tratti della lectio magistralis di Ratisbona o del discorso di Verona in cui il papa invita a dedicarsi «alla tutela della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, e alla promozione della famiglia fondata sul matrimonio, evitando di introdurre nell'ordinamento pubblico altre forme di unione che contribuirebbero a destabilizzarla, oscurando il suo carattere peculiare e il suo insostituibile ruolo sociale», il politico e l'intellettuale - o il politico e l'intellettuale "cattolico adulto" - sentono la necessità di fare dei distinguo e di mettere dei paletti in nome del cosiddetto "dialogo".

«La posizione di questi politici e intellettuali che criticano il magistero è sintomo di una non corretta comprensione della fede e della presenza dei cattolici nella società. Non comprendono né l'importanza, né la profondità di una parola che, tra l'altro, è pronunciata a sproposito quando viene utilizzata come copertura di una presuntuosa autosufficienza o, peggio ancora, per difendere posizioni di potere. Piuttosto, il magistero della Chiesa intende e porta il dialogo al livello più alto. Perché la Chiesa guarda all'uomo nella sua totalità. Ad esempio, cosa c'è di più aperto e dialogante della proposta di Benedetto XVI, che capovolgendo l'affermazione di Ugo Grozio dice, "amici non credenti, provate a vivere come se Dio ci fosse"? In altre parole, provate a non escludere pregiudizialmente dall'orizzonte della vita l'ipotesi del Trascendente? È una sfida culturale immensa quella di questo papa. È ossigeno, apertura mentale, invito ad "allargare la ragione".
Se non è questo cosa sarebbe "dialogo", il semplice commercio delle opinioni?».

Perdoni monsignore, ma lei ci sta riecheggiando di nuovo l'allegra sorpresa dell'Elefantino del Foglio. «Ci ha liberati dal dominio della chiacchiera. All'apertura del nuovo millennio, niente è più rilevante di questo gigantesco assestamento del pensiero, di questo adeguamento alla realtà. Per il resto c'è tempo, ma con Ratzinger e quel che significa andiamo di fretta, e una mansueta papolatria non guasta anche per dei cani perduti senza collare». Scusi, ma quanti di noi vivono questo entusiasmo?

«Capisco. E mi spiego certe tiepidezze con la presunzione di chi si sente talmente maturo nella fede che pensa di vedersela solo con la propria coscienza solitaria».

Tra qualche giorno Benedetto XVI sarà a Loreto per incontrare i giovani. Su quali temi pensa si soffermerà?

«Non sono lui, ma penso che come già accadde nell'incontro con i giovani a Colonia, Bendetto XVI ci stupirà nuovamente riportandoci "all'inizio dell'essere cristiano". A quell'inizio, come dice il Papa nella Deus est caritas, dove "non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento". Sotto questo profilo si vede benissimo la particolare vicinanza di questo Pontefice alla lezione di don Luigi Giussani. Dice Benedetto XVI, come diceva il titolo di un fondamentale libro del fondatore di Cl, che bisogna tornare all'origine della pretesa cristiana. Bisogna tornare non a una teoria, ma a una Persona».

© Copyright Tempi num.34 del 23/08/2007

1 commento:

euge ha detto...

Parole sante Mons. Fisichella!!!!!!!!

Eugenia