23 agosto 2007

In attesa dell'enciclica del Papa...


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I cattolici e l’utopia dello stato perfetto. Aspettando la nuova enciclica

Maurizio Crippa

Milano. Meno male che la prossima enciclica di Benedetto XVI, alla quale il Papa sta lavorando da tempo, per quanto si è appreso, sarà dedicata alle tematiche che vanno sotto l’ampio nome di “dottrina sociale”.
Non che alla chiesa manchi un pensiero già ben definito in materia, o che sia intenzione di Papa Ratzinger di mettere un sigillo definitivo su un argomento, che, come lui stesso ha detto più volte in passato, è comunque materia perfettibile, modificabile. Il problema è che la confusione regna, sottile ma rovinosa, come sta dimostrando ampiamente il dibattito ferragostano su “tasse e Vangelo”, inaugurato da Romano Prodi e rilanciato in grande stile dal segretario di stato, cardinale Tarcisio Bertone al Meeting di Rimini, per poi scivolare nella paccottiglia di ieri del verde Paolo Cento (pur sempre un sottosegretario al ministero dell’Economia) secondo cui il primo problema sarebbe che anche la chiesa inizi a “pagare tasse giuste”.
Prima che sulle tasse, argomento su cui sono stati scomodati i più grandi pensatori cristiani, da Agostino a Tommaso fino alla scuola di Salamanca, la confusione, o la divergenza di opinioni, in casa cattolica riguarda infatti una visione più generale del rapporto del cittadino con lo stato, che la fede certo non determina in modo assoluto, ma contribuisce a formare. Ieri ad esempio, sul Corriere della Sera, emergevano due prospettive diverse. Intervistato, il vescovo di San Marino, monsignor Luigi Negri, suggeriva la necessità di lavorare affinché “questo Principe un po’ assoluto, un po’ totalitario (ovvero lo stato, ndr), compia passi indietro” e lasci liberi i cittadini, la società e i suoi “corpi intermedi”, in primis la famiglia di realizzare un proprio “bene”. Un commento del professor Alberto Melloni, invitando a evitare ogni possibile “teologia ‘ad usum idraulici’ per legittimare l’evasione fiscale” poneva invece un’altra domanda: “Il cattolico può o deve essere un cittadino leale in una democrazia aperta”? Sottolineando la necessità di radicare “dentro la vita di fede la partecipazione alla costruzione del bene comune
e la lealtà alla legge”. In qualche modo, una divaricazione tra una posizione più consona alla tradizione della dottrina cattolica,
che ha sempre considerato innanzitutto il bisogno della persona, sul quale il potere pubblico è chiamato a chinarsi, e non viceversa, e l’idea, un po’ utopica, dell’esistenza di uno stato perfetto, o prossimo a diventarlo: uno stato, ad esempio, inteso come unico ridistributore della ricchezza e della giustizia, verso il quale sarebbe dovere etico del cristiano contribuire.
Interpellato dal Foglio, don Gianni Baget Bozzo denuncia proprio questo rischio: “Esiste un’idea di uno stato perfetto, depositario di una giustizia superiore, che in base alla sua perfezione può vantare un diritto assoluto sulle coscienze, ma questo non è il pensiero della chiesa, che riconosce alla sfera materiale, economica, politica, delle leggi umane, una propria autonomia.
Ma anche una perfettibilità, un valore relativo. Non esiste un ‘Bene’ assoluto, uguale per tutti, incarnato dallo stato, a cui la coscienza debba inchinarsi”. Al contrario, il pensiero cattolico ha sempre sottolineato che occorre anche una libera convinzione della coscienza nell’agire. Ed è proprio da questo incontro pieno di realismo tra la pretesa del potere politico e la libera coscienza della persona che è nata, nell’occidente cristiano, la democrazia. Nata anche, seppure non solo, fin dalla Magna Charta, come un libero “patto economico” tra “il sovrano” e il cittadino. Non a caso, spiega Baget Bozzo, “è un principio della
democrazia laica, e non della chiesa, che la forza della legge debba basarsi anche sulla sua capacità di convincimento del cittadino”.
La chiesa ha sempre considerato lo stato come uno “strumento” utile in vista del bene comune, ma non gli ha mai assegnato quel compito di sintesi suprema di quel bene, di unico ridistributore autorizzato, che invece anche Romano Prodi, quando ha parlato del dovere sanpaolino di pagare le tasse, gli ha implicitamente riconosciuto.
C’è nel pensiero del cattolicesimo politico italiano una sorta di ambiguità tra una lettura etico-teologica e una politico-sociale della dottrina sociale che ha spesso portato a sopravvalutare una sorta di “assistenzialismo cristiano” penalizzando invece la libertà degli attori sociali e la loro capacità di sussidiarietà. Una divergenza d’indirizzo che spesso riemerge.
In attesa di nuove encicliche.

© Copyright Il Foglio, 22 agosto 2007


DOPO BERTONE

Il buon cattolico e l'interesse generale

di ALBERTO MELLONI

La giornata di ieri è stata caratterizzata da un diluvio di commenti sulla breve frase del cardinal Bertone relativa alle tasse, la cui tonaca è stata strattonata, quasi che l'opinione, invero assai piana, del Segretario di Stato potesse diventare tema di un dibattito politico più povero che mai o una sorta di teologia ad usum idraulici per legittimare l'evasione fiscale o addirittura un assist al qualunquismo che si alimenta degli sprechi per sputare sulla democrazia. In realtà c'è un problema di fondo che questo sgangherato vociare attorno al massimo responsabile della politica vaticana non coglie e che si riduce a una semplice domanda: il cattolico può o deve essere un cittadino leale in una democrazia aperta come quelle che sono nate dalla cesura della Seconda guerra mondiale?
La questione – in una società dove, al di là di una certa ideologia conservatrice filoreligiosa che qualcuno chiama già «cattolicismo», il cattolicesimo è minoranza – riguarda in piccola parte la politica, ma in ben più larga misura la qualità della vita cristiana. Perché il problema non è se i cattolici comuni evadono più o meno degli altri, essendo ovvio che anche in questo essi sono indistinguibili dagli altri fin dai tempi di De Gasperi... Si tratta, invece, di capire se la pratica cristiana è in grado di produrre quegli abiti virtuosi che rendono il cattolico capace di guardare all'interesse generale con il rigore che a quell'interesse serve e di offrire allo Stato democratico le tre grandi potenzialità che la connotano.
La prima potenzialità è data dalla riserva di diffidenza verso l'idolatria del potere. C'è una pretesa – fatta in nome del socialismo o della nazione o della guerra o dei «valori», come ricorda l'Italia del «Dio, patria e famiglia» – che ha dimostrato nel Novecento la sua forza seduttiva, perfino dentro i confini delle chiese. Contro questo la vita di fede ha scoperto il dovere di esercitare tutta la sua forza critica, fino al martirio e fino alla sacralizzazione del dovere di resistenza teorizzato dalla Populorum progressio di Paolo VI contro l'evidente tirannide (non contro l'irpef).
La seconda potenzialità è data dalla capacità di radicare dentro la vita di fede la partecipazione alla costruzione del bene comune e la lealtà alla legge. Un patrologo come Giuseppe Lazzati trovava addirittura nel Protrettico ai Greci di Clemente Alessandrino l'idea che Dio stesso, dando agli uomini un orizzonte limitato, li ha obbligati a cercare insieme le vie del governo civile: non per affinare la moralità dei pagani, ma per esercitare alla pace i cristiani.
La terza potenzialità è data dalla libertà come dono dello Spirito: proprio il rifiuto di ogni atto (foss'anche l'atto di fede o di virtù) praticato senza una adesione intima e libera, può dotare i cristiani non di una passiva «tolleranza» verso gli altri, ma di una forza positiva di rispetto (talora chiamata laicità) che ha reso feconda anche la storia di questo continente, dalle guerre di religione ad oggi.
Nell'uso e nel destino di queste potenzialità c'è tutto il futuro della «politica » della chiesa, anche in Italia. Perché il cattolicesimo può facilmente ingolosire i sindacalisti dei valori, i manager dell'attivismo e degli appalti, i teorici della targetizzazione dell'elettorato, gli astuti costruttori di un consenso per segmenti. Ma alla fine di questo processo – produca esso tanti o pochi ministri che vanno a messa, più o meno esenzioni dall'Ici, più o meno retorica sulle tasse o contro le tasse – andrebbe disperso qualcosa di insostituibile, anche per questo Paese.
Il vero problema non è la politica ma la qualità della vita cristiana Nella vita di fede c'è la costruzione del bene comune.

© Copyright Corriere della sera, 21 agosto 2007

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