29 giugno 2007

Rassegna stampa del 29 giugno 2007 [Messa tridentina]


Vedi anche:

SPECIALE: IL MOTU PROPRIO CHE LIBERALIZZA LA MESSA IN LATINO

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Cari amici, buongiorno e buona festa dei Santi Pietro e Paolo :-)
Come sicuramente potete immaginare, oggi potremo leggere una "valanga" di articoli sul lotu proprio del Papa sulla liberalizzazione della Messa in latino.
Iniziamo con la prima parte della rassegna stampa
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Raffaella


Ratzinger spiega la decisione ai rappresentanti delle Conferenze episcopali

Ritorna la messa in latino: deve essere chiesta dai fedeli Sì del Papa dopo 45 anni

Esultano i lefebvriani, preoccupati i vescovi francesi

Bruno Bartoloni

ROMA — Torna dopo quarantacinque anni la messa in latino di San Pio V la cui celebrazione ordinaria (in vigore da quattro secoli) era stata cancellata dal Concilio Vaticano II. Il Vaticano ha annunciato per la prossima settimana la pubblicazione dell'atteso motu proprio di Benedetto XVI che dovrebbe aprire la porte a una definitiva riconciliazione fra la Sede Apostolica ed i tradizionalisti scismatici o periferici.
È anche questa una piccola rivoluzione. È il primo ripensamento sulle decisioni conciliari. I tradizionalisti la considerano una vittoria della guerra dichiarata subito dopo il Vaticano II. Il loro capofila storico ormai scomparso, mons. Marcel Lefèbvre, aveva spinto il conflitto con Roma fino alla scomunica e allo scisma, proprio a difesa della messa di San Pio V.
Il papa ha ritenuto necessario dover spiegare ai rappresentanti delle conferenze episcopali più interessate al provvedimento per quali motivi ha preso questa decisione. Li ha convocati per questo in Vaticano mercoledì pomeriggio. È un segno del rispetto per la collegialità episcopale ma anche un segno di quanto sia consapevole delle possibili reazioni negative.
Il documento motu proprio non modificherà molto la situazione. Già da anni i vescovi possono autorizzare i gruppi che lo desiderano ad assistere a messe in latino secondo l'antico rito tridentino. Il cardinale Martini è stato fra i primi a venire incontro alle richieste dei tradizionalisti, a condizione che tali celebrazioni non comportassero atteggiamenti polemici.
Ma con il motu proprio di papa Ratzinger i vescovi saranno ora tenuti d'officio a consentire la celebrazione della messa di San Pio V quando un gruppo di almeno trenta fedeli la richiederanno, salvo intervenire sulle modalità e sulle chiese dove potranno essere officiate le liturgie.
In Italia non dovrebbero registrarsi fenomeni vistosi neppure in città, come Verona ad esempio, dove i tradizionalisti sono più attivi. Ma in Francia, in Svizzera o in alcuni Paesi dell'America Latina e in alcune regioni degli Stati Uniti, anche se non si prevedono vere e proprie fratture nelle comunità fra fedeli delle messe in latino e fedeli delle messe conciliari, i rischi di situazioni difficili sono alti. I vescovi francesi sono i più preoccupati.
All'incontro di mercoledì il cardinale Philippe Barbarin di Lione e il cardinale presidente della conferenza episcopale francese Pierre Ricard sono apparsi i principali interlocutori del pontefice. Il papa si era recato a salutare i presenti intervenuti alla riunione presieduta dal cardinale segretario di stato Bertone. Oltre ai rappresentanti dei vescovi francesi c'erano fra gli altri il cardinale Camillo Ruini e il presidente della Cei mons. Angelo Bagnasco, il cardinale tedesco Karl Lehmann, l'arcivescovo svizzero Heiner Koch, che il «Vaticano» scismatico di mons. Lefèbvre ce l'ha in casa, e due statunitensi, il cardinale di Boston O'Malley e l'arcivescovo di Saint Louis, mons. Burke.
Il motu proprio sarà accompagnato da «un'ampia lettera personale del Santo Padre» diretta «ai singoli vescovi». Si tratta infatti in questo caso di una decisione che in qualche modo tocca l'autorità del vescovo il quale vede ridurre in qualche misura le sue potestà nella diocesi di cui è responsabile.

© Copyright Corriere della sera, 29 giugno 2007

Non si tratta affatto di un ripensamento delle decisioni conciliari ma, semmai, un'attuazione del principio di collegialita' e di liberta'.
Non sarei cosi' sicura che in Italia non si celebreranno molte Messe con l'antico rito...
Capisco la preoccupazione dei Vescovi francesi e svizzeri, pero' credo che sia tempo di fare una riflessione: come mai molti fedeli di questi due Paesi prediligono la Messa tridentina a quella conciliare? Forse, rispondendo a questa domanda, si potrebbero risolvere molti conflitti e polemiche
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Raffaella


A favore

BREVI

EUGENIO MONTALE

Il premio Nobel firmò le petizioni rivolte al Papa nel 1966 e nel 1971 da un gruppo di intellettuali che volevano salvaguardare la messa in latino.

LUIS BORGES

Anche lo scrittore argentino aderì ai due manifesti in favore della messa in latino rievocati da un recente libro di Francesco Ricossa.

GREENE

Come lo scrittore inglese, gli intellettuali che aderirono all'appello intendevano soprattutto salvaguardare l'aspetto culturale del rito in latino.

© Copyright Corriere della sera, 29 giugno 2007


«I riti diversi sono una ricchezza»

di Redazione

La liberalizzazione che Benedetto XVI promulgherà la prossima settimana era una delle richieste «preventive» che i lefebvriani della Fraternità San Pio X avevano avanzato. Ma il Papa non aveva presente tanto queste richiesta, quanto piuttosto le esigenze dei fedeli tradizionalisti rimasti nella piena comunione con Roma. Da cardinale, Ratzinger ha già spiegato che «nel corso della sua storia la Chiesa non ha mai abolito o proibito forme ortodosse di liturgia, perché ciò sarebbe estraneo allo spirito stesso della Chiesa», in quanto una liturgia è una realtà vivente «espressione della vita della Chiesa, in cui si condensano la fede, la preghiera e la vita stessa delle generazioni». Il Concilio ha dunque ordinato una riforma dei libri liturgici, ma non ha proibito i libri precedenti. In effetti sono sempre esistite molte forme del rito latino: fino al Vaticano II a fianco del rito romano c’erano l’ambrosiano, il mozarabico, quello di Braga, quello di Chartreux, quello dei certosini, quello dei domenicani. Tutti riti pienamente cattolici, la cui varietà rappresentava una ricchezza per tutta la Chiesa.

© Copyright Il Giornale, 29 giugno 2007


Il Papa ai vescovi: via libera alla messa antica

di Andrea Tornielli

Benedetto XVI due giorni fa ha convocato a Roma i leader delle conferenze episcopali dei Paesi dove è più consistente la presenza dei tradizionalisti per presentare il Motu proprio che liberalizzerà la Messa preconciliare in latino e sarà pubblicato con tutta probabilità sabato 7 luglio, senza conferenza stampa di presentazione.
Il documento papale è accompagnato da una lunga lettera nella quale Papa Ratzinger spiega ai vescovi le ragioni della sua decisione. Il testo dichiara che l’antico rito romano non è mai stato abolito, come stabilì un gruppo di cardinali dell’ex Sant’Uffizio già nel 1982, e che dunque è possibile utilizzare il libro liturgico promulgato da Giovanni XXIII nel 1962, l’ultima versione dell’antica messa, già purgata della preghiera del Venerdì santo nella quale gli ebrei erano definiti «perfidis judaeis». Fino a oggi, secondo l’indulto già concesso nel 1984 da Papa Wojtyla, per ottenere questa celebrazione, i tradizionalisti dovevano chiedere un’autorizzazione al vescovo diocesano, il quale poteva concederla o meno. Dall’entrata in vigore del Motu proprio di Benedetto XVI non sarà più così: i fedeli - un «gruppo stabile» recita il testo - si rivolgeranno direttamente al parroco. Il vescovo dovrà eventualmente dirimere i problemi, stabilire come superare le difficoltà: il suo ruolo, come ha precisato il cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone, rimarrà «centrale nelle disposizioni dell’ordine dele celebrazioni». Ma sia il vescovo che il parroco si muoveranno nell’ambito della nuova legge.
I tradizionalisti conserveranno il vecchio calendario e l’antica scelta di letture bibliche. Oltre alla Messa domenicale si potranno celebrare anche tutti i sacramenti con il vecchio rito. Non si parlerà più di due riti diversi, quello tridentino e il nuovo approvato da Paolo VI, ma di un unico rito della Chiesa latina in due forme: quella ordinaria, vale a dire la nuova Messa; quella straordinaria, rappresentata dalla Messa secondo l’antica tradizione.
Nella lettera di accompagnamento il Papa spiegherà ai vescovi che con questa decisione non si fa un salto nel passato. La stessa riforma liturgica voluta dal Concilio non era infatti da intendersi come una frattura. E Benedetto XVI spiegherà l’importanza che la liturgia sia ben celebrata sia nell’una che nell’altra forma.
Alla riunione hanno partecipato tra gli altri gli italiani Ruini e Bagnasco, i francesi Ricard e Barbarin, il tedesco Lehmann, l’inglese Murphy O’Connor, l’americano O’Malley, l’australiano Pell, lo svizzero Koch, l’indiano Toppo. Sono intervenuti i cardinali Bertone, per spiegare il senso dell’iniziativa, e Castrillón, presidente di «Ecclesia Dei», che ha illustrato il testo. Quindi il Papa si è unito ai presenti e ha discusso con loro per un’ora. Pochissime e poco rilevanti le modifiche apportate in questi mesi al testo, qualche precisazione è stata avanzata anche mercoledì pomeriggio. Nelle ultime settimane alcune resistenze erano arrivate in particolare dal cardinale Lehmann, che aveva parlato di un disagio delle comunità ebraiche, poi rientrato, dato che il messale autorizzato non conterrà l’abolita frase sui «perfidis judaeis», e dal cardinale inglese Murphy O’Connor.

Mentre i vescovi francesi avevano in precedenza manifestato timori per «l’unità» liturgica della Chiesa: preoccupazione reale ma quasi mai evocata nel caso di abusi o frequenti stravaganze nelle celebrazioni col nuovo rito.

È infine ormai imminente la pubblicazione della lettera del Papa ai cattolici cinesi. Nelle 28 pagine di documento il Pontefice fornisce indicazioni per superare le divisioni tra le comunità clandestine e quelle ufficiali, dichiarando la piena validità dei sacramenti celebrati da entrambe.

© Copyright Il Giornale, 29 giugno 2007


Dopo mesi di indiscrezioni è finalmente pronto il «motu proprio» di Papa Ratzinger

Via libera alla messa in latino per gli amanti della tradizione

Ridarà spazio al rito tridentino accantonato dalla riforma di Paolo VI

Elisa Pinna

CITTà DEL VATICANO
Dopo mesi di indiscrezioni, falsi annunci, rinvii, perplessità e modifiche, è finalmente pronto il «motu proprio» di Papa Ratzinger, che ridarà legittimità e spazio alla messa in latino di rito tridentino, accantonata nel 1969 dalla riforma liturgica di Paolo VI. Il documento sarà reso noto al grande pubblico entro la prossima settimana, ma già mercoledì sera Benedetto XVI ne ha consegnate le prime copie ad una rappresentanza ristretta e qualificata di cardinali e vescovi provenienti da tutto il mondo. Una quindicina di persone in tutto: tra di loro – a quanto si è appreso – vi erano, oltre al segretario di Stato, card. Tarcisio Bertone, gli italiani Camillo Ruini, cardinale vicario di Roma, e Angelo Bagnasco, presidente della Cei; gli statunitensi Sean O' Malley, cardinale di Boston, e Raymond Burke, arcivescovo di Saint Louis; i francesi Jean Pierre Ricard (il cardinale presidente dell'episcopato francese) e il card. Philippe Barbarin; il cardinale tedesco Karl Lehman; il cardinale inglese Cormac Murphy O' Connor; l'arcivescovo svizzero Heiner Koch. Con loro Ratzinger ha avuto – sono parole di un comunicato della Sala Stampa vaticana – «un'approfondita discussione per circa un'ora». Durante l'incontro sono stati illustrati – afferma ancora la nota – «il contenuto e lo spirito dell'annunciato "motu proprio" del Santo Padre sull'uso del messale promulgato da Giovanni XXIII nel 1962». Con quel decreto di 45 anni fa, Papa Roncalli si limitò ad aggiornare il rito tridentino codificato da San Pio V, che prevedeva la messa in latino e un rapporto fortemente gerarchico tra sacerdote, sempre rivolto verso l'altare, e l'assemblea di fedeli per lo più inginocchiati, nella postura che più si addice a chi cerca «la misericordia di Dio». La messa tridentina, risalente al 1570, è rimasta in vigore «come rito universale ordinario» della Chiesa Cattolica fino al 1969, anche se nella prassi era stata già profondamente modificata in epoca conciliare. Paolo VI la sostituì con il nuovo Missale Romanum, che prevedeva la messa nelle lingue nazionali, con il sacerdote rivolto verso i fedeli e una partecipazione più assembleare. Fu l'abrograzione del messale di Pio V (pur con varie deroghe) uno dei motivi che provocò la scissione dei cattolici ultratradizionalisti del defunto vescovo francese mons. Marcel Lefebvre negli anni 80 del secolo scorso.
Nel ridare legittimità alla messa in latino, Ratzinger ha più volte ripetuto di non voler rinnegare la riforma di Paolo VI: il messale introdotto ufficialmente nel 1970 rimarrà – affermano gli esperti vaticani – quello usato dalla quasi totalità dei cattolici del mondo. Il documento del Papa renderà più facile la celebrazione della messa in latino per gli amanti, come lui, della tradizione; bisognerà però leggere il testo del Motu proprio, ovvero la prefazione di Ratzinger al messale del 1962, per capire fino a che punto si spingerà la liberalizzazione. Le indiscrezioni circolate nell'autunno dello scorso anno sulla prima bozza di Motu proprio ipotizzavano che bastasse la richiesta di un certo numero di fedeli per obbligare un sacerdote al rito tridentino.

© Copyright La Gazzetta del sud, 29 giugno 2007


MESSA IN LATINO, VATICANO SPERA IN BUONA RECEZIONE VESCOVI
Nel quadro di una liberalizzazione loro ruolo non sarà svuotato

CIttà del Vaticano, 28 giu. (Apcom) - Dal quartier generale dei lefebvriani, nella cittadina svizzera di Econe, non arrivano commenti ufficiali all'annuncio di un Motu proprio del Papa che permetterà ai fedeli tradizionalisti di seguire la messa secondo il rito antico stabilito col concilio di Trento e aggiornato prima del Concilio vaticano II. "Aspettiamo di leggere il documento", affermano gli 'scismatici' che seguirono monsignor Marcel Lefebvre nel suo indomito braccio di ferro con Giovanni Paolo II. E intanto nel seminario elvetico fervono, come se nulla fosse, i preparativi per l'ordinazione di nuovi sacerdoti.

Ma non è dalla roccaforte tradizionalista d'Oltralpe che Benedetto XVI può temere che vengano gli attacchi più duri alla sua svolta. Gli scontenti si annidano tra gli episcopati europei e americani. Prova ne siano i lunghi mesi passati da quando fu annunciato il documento - a settembre dell'anno scorso - e la data della sua pubblicazione la settimana prossima, forse sabato. E prova ne sia il fatto che, prima di dare alle stampe il suo provvedimento, Benedetto XVI abbia convocato una quindicina di vescovi da tutto il mondo per illustrarne "il contenuto e lo spirito". Non solo. Il Motu proprio - che in queste ore viene inviato in busta a tutte le nunziature perché lo inoltrino ai vescovi dei vari paesi - sarà accompagnato da una lunga lettera esplicativa. "Sperando in una serena recezione", ha chiosato di recente il cardinale Tarcisio Bertone.

La conferenza episcopale francese ha espresso chiare e tonde le proprie inquietudini nei mesi scorsi di fronte a un provvedimento che viene visto da alcuni come oscurantista. Versione smentita dal cardinale Castrillon-Hoyos, presidente della Pontificia Commissione 'Ecclesia Dei' istituita nel 1988 da Giovanni Paolo II per favorire il ritorno nella Chiesa cattolica degli scismatici tradizionalisti. "Bisogna affermare con ogni chiarezza che non si tratterà di un ritorno all'indietro, dei tempi precedenti alla riforma (liturgica, ndr) del 1970", ha affermato di recente. "Si tratta invece di un'offerta generosa del Vicario di Cristo che, come espressione della sua volontà pastorale, desidera mettere a disposizione della Chiesa tutti i tesori della liturgia latina che per secoli ha nutrito la vita spirituale di tante generazioni di fedeli cattolici".

Le divergenze tra vescovi e Santa Sede, ad ogni modo, hanno dato vita a lunghe consultazioni. E la prima proposta elaborata a Roma è stata ritoccata nel corso dei mesi. Se oggi per poter celebrare messa secondo il rito antico di Pio V (uso esclusivo del latino, spalle all'assemblea da parte del celebrante) serve l'autorizzazione del vescovo, inizialmente in Vaticano è stata avanzata l'ipotesi di una liberalizzazione totale. Alcuni vescovi hanno protestato. Ai loro occhi la riforma avrebbe rappresentato un'esautoramento dalle loro funzioni. Da qui, a quanto si apprende, l'idea di introdurre alcune clausole per mantenere agli episcopati la possibilità di intervenire, pur senza mantenere la situazione attuale. Su questa via di mezzo tra il monopolio episcopale e la liberalizzazione totale, in attesa di conoscere gli esatti contenuti del Motu proprio, fioccano le ipotesi. Il teso potrebbe prevedere l'intervento del vescovo qualora si verificassero contenziosi tra fedeli e sacerdoti. Oppure potrebbe ancora esprimere la propria contrarietà alla messa pre-conciliare, ma dovrebbe prendere carta e penna e prendere posizione ufficialmente.

Se il ruolo del vescovo non sarà svuotato, ed egli rimarrà il responsabile della liturgia nella sua diocesi, insomma, egli si troverà comunque di fronte ad un Motu proprio papale che non potrà ignorare. "Il ruolo del vescovo è centrale nelle disposizioni dell'ordine delle celebrazioni", ha detto oggi il cardinal Tarcisio Bertone. "I sacerdoti non sono autonomi ma sottoposti al vescovo". D'altra parte, ha aggiunto il principale collaboratore del Papa, "nelle chiese particolari è il vescovo che fa riferimento al Papa e alla liturgia della Chiesa universale. C'è una comunione e ci deve essere sintonia in questa bella orchestra".


ISTITUTO 'BON PASTEUR': MESSA LATINO GIOVA A TUTTA CHIESA
De Tanouarn: vescovi potranno dire loro parola ma non contro Papa

Roma, 28 giu. (Apcom) - La 'messa in latino' che il Papa sta per liberalizare non riguarda solo i tradizionalisti ma è tutta la Chiesa cattolica a beneficiarne: se ne dice convinto l'abate Giullaume de Tanouarn dell'Istitut Bon Pasteur, una struttura creata di recente in Francia per accogliere alcuni 'fuoriusciti' dalla fraternità dei lefebvriani.

"Il Motu proprio non rigurda solo i tradizionalisti ma la chiesa universale", afferma de Tanouarn da Parigi. "E' una rivoluzione culturale".

L'abate ricorda che l'istituto del Buon pastore ha già risolto il proprio contenzioso con il Vaticano (a differenza dei seguaci di Lefebvre che, sostiene, "cercano di giustificare la loro marginalità con ogni mezzo"): "Per noi non cambia nulla giuridicamente, ma in termini generali con il 'motu proprio' la volontà del Papa si esprime per la prima volta chiaramente. E' un documento che rappresenta il coronamento di una lunga serie di documenti e che sancisca una ermeneutica della continuità per quanto riguarda la liturgia e, più in generale, il Concilio vaticano II".

L'abate de Tanouarn sostiene che "in Francia in passato ogni riferimento al passato, anche solo un colletto romano, era considerato offensivo anche da alcuni vescovi. Oggi riabilitando solennemente la messa - che non è mai stata vietata, ma di fatto è stata posto fuori legge - significa dire a tutta la Chiesa che i fedeli possono vivere liberamente nella ricchezza della tradizione cattolica. Non si tratta di imporre a tutti la messa antica - precisa - ma di liberalizzarla. Coloro che vi si oppongono, sono ostili alla vera libertà dei figli di Dio".

Se nel Motu proprio vi saranno delle clausole che preserveranno il ruolo del vescovo nella sua diocesi, secondo l'esponente tradizionalista francese, non cambia il concetto di fondo. "Se i vescovi potranno dire la loro, ciò non metterà in discussione la disposizione fondamentale del documento che è la liberalizzazione della messa antica", afferma. Del resto, secondo l'abate de Tanouarn "i vescovi che manifestassero eventualmente la loro contrarietà, manifesteranno, al tempo stesso, la loro mancanza di comunione con il Papa".

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