28 giugno 2007

Il Papa incoraggia la ricerca «etica»


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Il Papa incoraggia la ricerca «etica»

L'argine sulle staminali garanzia di successo

Carlo Bellieni

«Sì alla scienza»: l'ha ribadito il Papa nel suo saluto di ieri a un congresso romano sulle cellule staminali adulte. Per essere chiaro ha spiegato che "sì" alla scienza vuol dire sì alla ricerca, e sì ai limiti che la scienza ha in sé per non diventare autodistruttiva.
Ma perché il limite non va considerato un ostacolo? Bisogna domandarlo a chi di quest'affermazione fa una bandiera. Basti pensare a tanti ecologisti che vedono come il fumo negli occhi l'uso indiscriminato di manipolazioni genetiche su ogni aspetto della natura. Per Enzo Tiezzi, laico, cui è stato assegnato il corrispettivo del Nobel per l'ambiente, «un esempio eclatante degli apprendisti stregoni di questo inizio millennio è rappresentato dal tentativo di clonare esseri umani, mentre la clonazione o la replicazione di specie viventi (vegetali o animali) è del tutto in controtendenza con l'evoluzione biologica e con la stessa origine della vita, ambedue basate sulla biodiversità e sulla diversificazione di forme, individui e specie biologiche». Ma anche in casa femminista si sottolineano i limiti che la scienza deve porsi per non tradire se stessa: ricordo le campagne contro il traffico di ovociti umani (con lo slogan Hands off our ovaries, «Giù le mani dalle nostre ovaie»), o le denunce sulla pericolosità dei nuovi metodi chimici di aborto, spacciati come "dolci". Brigitte-Fanny Cohen, popolare responsabile dei programmi di medicina del canale tv France 2, ha scritto un libro intitolato Un bambino sì, ma non a ogni costo in cui narra le peripezie che ha passato per avere un figlio artificialmente (finì poi per concepirne uno in modo naturale), arrivando a chiedere - lei giornalista scientifica laica - un argine agli eccessi in questo campo.
Quello del Papa è dunque il richiamo ultramoderno della scienza che vuole essere davvero tale: «La ricerca scientifica va giustamente incoraggiata e promossa - ha detto ieri il Santo Padre - sempre che non avvenga a scapito di altri esseri umani la cui dignit à è intangibile fin dai primi stadi dell'esistenza». La stessa fecondazione artificiale fu inventata da un sacerdote: l'abate Lazzaro Spallanzani, che nel 1700 fecondava in vitro i batraci per ricavarne girini e usava il seme dei cani per concepimenti non naturali. Con la sola differenza, rispetto a quanto avviene oggi, che si guardava bene dall'inserire nei suoi programmi scientifici gli esseri umani. Il limite alla ricerca infatti non è un'artificiosa barriera ma l'argine che il fiume costruisce per poter marciare sereno e portare lontano le sue acque. Se l'argine intrinseco alla scienza fosse rispettato non si dovrebbero rincorrere i problemi per la salute provocati dagli eccessi: come la necessità di limitare in qualche modo il numero di embrioni da trasferire nei cicli di fecondazione assistita. Considerare la dignità umana come confine proprio della ricerca significa a ricordare che la scienza ha ragion d'essere proprio perché «è per l'uomo». È lo studio del Dna a spiegarci che è il concepimento e null'altro l'inizio della vita. Ma richiamare quest'argine vuol anche dire che c'è un appiglio per la ricerca scientifica cui essa si aggrappa per non venire sommersa: la ricerca sulle malattie rare (che non trova sponsor), le cure ai gravi prematuri (che qualcuno in Europa vorrebbe sospendere), l'indagine sulle staminali adulte (cui mancano i fondi che vanno alle embrionali).
Esulterà dunque il mondo accademico per la difesa della scienza che ha offerto ieri il Papa? Se così non fosse mostrerebbe di essere impantanato, di lasciarsi tirare per la giacca da infiniti stimoli esterni, e di sentirsi poco attratto dalla costruttiva curiosità animata dalla ricerca del vero.

© Copyright Avvenire, 28 giugno 2007


Quell'affrancamento dalla marcatura biologica

Le sperimentazioni della scienza sul corpo femminile

Paola Ricci Sindoni

Ancora una volta il corpo della donna e il suo apparato riproduttivo viene fatto oggetto di ingegnose sperimentazioni scientifiche e farmacologiche; l'ipotesi di lavoro suffragata da risultati attendibili - è stata annunciata qualche giorno fa' in Gran Bretagna - risponde ad una logica di tipo matematico: se è stato possibile rendere sterile la donna nel periodo fertile, perché non provare a renderla fertile nel periodo sterile, posponendo la menopausa? La scienza, ancora una volta, sembra votata ad esaudire le più disparate rivendicazioni femministe; la donna, affrancata ormai dal dominio della sua marcatura biologica, può così liberamente progettare la propria vita, spostando a piacimento nel tempo l'arrivo del primo - forse unico - figlio, non prima di essersi assestata in ambito lavorativo. Scopo nobile, si dirà, se queste sono le attuali dinamiche pubbliche, al cui interno il mercato del lavoro richiede braccia fresche, socialmente produttive, salvo rimandare alla sfera privata il posticipo delle proprie aspirazioni alla maternità. C'è da chiedersi al riguardo se la logica della ricerca scientifica non segua invece strade differenti dalla "logica" della vita umana che, segnata dai ritmi temporali "naturalmente" impressi al suo processo evolutivo, si aspetta dalla scienza - secondo il principio bioetico della "beneficenza" - gli aiuti necessari per vivere meglio realizzando le giuste aspettative di maternità, oltre che le giuste attese del nuovo nato, che di certo è ricchezza nella vita privata delle giovani famiglie, ma anche una grande risorsa sociale. Quand'anche fosse provata la piena tolleranza di questo farmaco sia sulla madre, il cui apparato riproduttivo appare ormai sinistramente vicino ad una macchina da smontare e da rimontare, sia sul figlio, esposto ad annidarsi su di un corpo stanco da continue sollecitazioni ormonali, resterebbero ancora aperti alcuni grandi problemi bioetici. Anche quando la libertà, troppo spesso colta come un atto per gestire la propria autonomia e non come apertura all'impegno di accoglienza di una nuova vita, deve fare i conti con le difficoltà oggettive segnate dai movimenti del mercato lavorativo che impongono di rimandare la scelta di mettere al mondo un figlio, occorre chiedersi se e quanto si è provveduto a sostenere il peso necessario, carico di responsabilità, che attiene alla maternità, che dovrebbe ricostituirsi nel suo valore prioritario anche dentro lo stato sociale. Quasi che, questo è il paradosso, non debbano essere più le esigenze affettive delle giovani famiglie a pretendere le assicurazioni sociali per condurre in porto il loro progetto di realizzazione familiare e consegnare alla società un nuovo nato, piuttosto che, come accade oggi, attendere che il mercato del lavoro e le sue inappellabili esigenze pieghino il destino della vita con la complicità della scienza.

© Copyright Avvenire, 28 giugno 2007

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