29 giugno 2007

Il concetto di "semplicità" ed il carteggio fra il teologo Ratzinger ed il biblista Willam


Vedi anche:

SPECIALE: IL MOTU PROPRIO CHE LIBERALIZZA LA MESSA IN LATINO

Un esemplare articolo di Filippo Di Giacomo per "La Stampa" [Messa tridentina]

Il Papa sara' a Napoli il 21 ottobre 2007

Il Papa: Gesu' non e' uno dei grandi fondatori di religioni, ma il Figlio di Dio

Qualche indiscrezione sulla lettera ai Cattolici cinesi

Rassegna stampa del 29 giugno 2007 [Messa tridentina]

Aggiornamento della rassegna stampa del 29 giugno 2007 (1) [Messa tridentina]

Aggiornamento della rassegna stampa del 29 giugno 2007 (2)

Mons. Bagnasco: "Vogliamo evangelizzare l´Italia ma la Chiesa non cerca egemonie"

San Paolo nella catechesi di Papa Benedetto

Pietro e Paolo sono inseparabili l'uno dall'altro, come Romolo e Remo

Indiscrezioni su due nomine curiali


INEDITI

È uno dei pochi biblisti citati nel libro «Gesù di Nazaret». Ratzinger lo conobbe negli anni giovanili e subito lo stimò per la capacità di leggere la figura di Giovanni XXIII e per il suo «umile» senso del divino. Ora dall’Austria emerge il carteggio che si sono scambiati

Willam, teologo della semplicità e amico del Papa

Fra tutti i nomi evocati nel libro su Cristo del Pontefice, il suo è quello meno noto. Ma la sua intuizione che punta all'essenzialità della testimonianza cristiana lo rende più che mai attuale Il suo libro più importante s'intitola «La vita di Gesù nel territorio e nel popolo d'Israele»

Di Philipp Reisinger

Nel 1498 Vasco da Gama gettò l'ancora nei pressi di Calicut (nell'odierno Kerala). I portoghesi entrarono così in contatto con il mondo del Malabar, una realtà di coabitazione tra comunità etnico-religiose diverse (hindu, musulmani, ebrei…), nonché con una comunità cristiana particolare, i Cristiani di San Tommaso, che viveva in India da almeno mille anni. Durante il Cinquecento, in quell'angolo di costa indiana e nella Serra che ne costituiva l'entroterra, due civiltà si sono confrontate: si trattava di due culture cristiane, certamente, ma molto distanti tra loro. I Cristiani di San Tommaso appartenevano al mondo religioso indiano (pur avendo conservato importanti aspetti della tradizione caldea da cui erano stati originati) ed erano ben inseriti nella società indiana, in posizioni di un certo prestigio. Gli occidentali incontrarono dunque una comunità cristiana, quasi sconosciuta e forse mitizzata in precedenza, molto "indianizzata". Essi finirono per rigettare proprio questa caratteristica: quella cristianità fu alla fine ricondotta al rito latino e alla giurisdizione dei vescovi del Padoado portoghese. Un recente volume di Gino Battaglia, Cristiani indiani. I Cristiani di San Tommaso nel confronto di civiltà del XVI secolo, ricostruisce le vicende di quel secolo e ne tenta un'interpretazione nuova, sulla scorta di ricerche condotte in India e in Portogallo e di un'ampia documentazione edita nel secolo scorso. Due mondi religiosi e due civiltà si sono confrontati nel Malabar di allora, anche se gli interlocutori erano tutti cristiani. Il radicamento nel mondo del Malabar, e indiano in generale, faceva sì che i Cristiani di San Tommaso - per usare un'espressione cara allo studioso indiano Placid J. Podipara - fossero «hindu nella cultura, cristiani nella religione ed orientali nel culto». Pur con qualche contraddizione, era il frutto di un inconsapevole processo di inculturazione della fede cristiana. Il tema sviluppato da Gino Battaglia è di grande attualità. I l visitatore Alessandro Valignano, durante il suo soggiorno in India, ebbe un'intuizione di un possibile ruolo per questa cristianità indiana nella conversione delle caste più elevate e nella conquista dell'India al Vangelo. È un'intuizione che trovò una più compiuta espressione nella missione in Cina di Matteo Ricci o in quella a Madurai, nel Tamil Nadu, di Roberto de' Nobili, tentativi di dialogo con le secolari culture di quei paesi. Le vicende legate ai Cristiani di san Tommaso furono forse la premessa di quei tentativi missionari.

Cristiani indiani
I Cristiani di San Tommaso nel confronto di civiltà del XVI secolo
Urbaniana University Press.
Pagine 232. Euro 24,00
.

Papa Benedetto XVI apre il suo nuovo volume Gesù di Nazaret con queste parole: «Al libro su Gesù, di cui ora presento al pubblico la prima parte, sono giunto dopo un lungo cammino interiore. Al tempo della mia giovinezza - negli anni Trenta e Quaranta - esisteva una serie di opere entusiasmanti su Gesù. Ricordo solo il nome di alcuni autori: Karl Adam, Romano Guardini, Franz Michel Willam, Giovanni Papini, Daniel Rops».
L'austriaco Franz Michel Willam è oggi certamente la personalità meno conosciuta tra gli autori citati.
Chi era il dottor Willam e perché il Papa ricorda anche lui?
Solo a pochi è noto il carteggio, conservato nel monastero di Thalbach a Bregenz (Austria), tra l'allora professore universitario Joseph Ratzinger e il dottor Willam, di lui più vecchio di trentatre anni. I due furono in stretto contatto in particolare negli anni 1967 e 1968. Uno dei motivi era il libro di Willam Vom jungen Roncalli (1903-1907) zum Papst Johannes XXIII. (1958-1963) («Dal giovane Roncalli a papa Giovanni XXIII»), edito nel 1967, e l'articolo di Ratzinger Was heißt Erneuerung der Kirche? («Cosa significa il rinnovamento nella Chiesa?») apparso un anno prima sulla rivista «Diakonia». In quest'ultimo testo si trova scritto: «La vera riforma è quella che si occupa di ciò che è autenticamente cristiano, che si lascia provocare e formare da esso». La vera riforma, il vero rinnovamento richiede semplicità.
«Rinnovamento è semplificazione»: così Ratzinger sintetizzava efficacemente la sua tesi. Willam, che aveva scoperto e fatto emergere la semplicità come idea dominante in papa Giovanni XXIII, citava - in una lettera al vescovo Paulus Rusch - quello che per lui era il passaggio centrale dell'articolo di Ratzinger: «La teoria della semplicità trova nel dottor Ratzinger la seguente versione: esiste la semplicità della comodità, che è una semplicità del Dürftigen, una mancanza di ricchezza, di vita e di pienezza. Ed esiste la semplicità dell'origine, che è la vera ricchezza. Rinnovamento è semplicità, non nel senso di una selezione o riduzione, bensì una semplificazione nel senso di un diventar-semplice, del muoversi verso quella vera semplicità che è il mistero dell'esistente».

Il 22 maggio 1967 Willam scrive a Ratzinger: «Ho svolto una ricerca sulle concordanze nei cinque volumi contenenti i discorsi e i documenti del pontificato. Le parole "semplice" e "semplicità" sono le parole-chiave più ricorrenti in assoluto. Giovanni XXIII le intende certamente nello stesso modo in cui le intende Lei: studiare la cosa in maniera precisa e porsi la domanda: come lo devo esprimere, in modo che la gente capisca il risultato?».
«In questi giorni ho ricevuto il Suo libro su papa Giovanni XXIII. L'ho già letto qua e là e lo trovo davvero emozionante», è la risposta del professor Ratzinger dopo aver ricevuto il volume. Questi, in quanto nuovo decano della facoltà teologica di Tubinga, scrisse una lunga e particolarmente benevola recensione del libro di Willam («Theologische Quartalschrift» 1968/6): «Senza dubbio questo libro può essere definito sin qui come la pubblicazione di gran lunga più importante per illuminare la figura di Giovanni XXIII: allo stesso tempo è di fondamentale importanza per la comprensione del Concilio V aticano II. Il libro (malgrado il suo stile a volte simile nella forma a un racconto popolare di formazione) si staglia ampiamente al di sopra della moltitudine di ciò che è stato scritto in questi contesti, e ciò attraverso la completezza delle sue informazioni e dei collegamenti resi visibili». Egli conclude la recensione con queste parole: «L'autore, quindi, merita un ringraziamento senza riserve per il suo paziente lavoro e non ultimo anche perché ha saputo dire molto in spazi contenuti». Willam fu davvero felice di questa recensione, e la citò in quasi tutte le lettere che scrisse nelle settimane dopo la sua pubblicazione.
La semplicità, così profondamente decisiva per Willam, si esprimeva anche nel fatto che egli non si sentì mai chiamato a formulare una propria particolare teologia. Piuttosto desiderò (senza rigido conservatorismo) cogliere i segni dei tempi ed essere testimone dell'eterno nel contesto di tutti i cambiamenti che avvenivano nell'arco della sua vita.
Anche qui è visibile una comunanza con Ratzinger, il quale affermò una volta: «Non ho mai cercato di fondare un particolare sistema, una teologia speciale. Specifico è, se così lo vogliamo chiamare, che intendo semplicemente pensare insieme alla fede della Chiesa, e ciò significa anzitutto pensare insieme ai grandi pensatori della fede. Non si tratta di una teologia isolata e proveniente da me stesso, bensì di una teologia che si apre nella maniera più allargata possibile sul comune cammino di pensiero della fede».

Willam nacque il 14 giugno 1894 a Schoppernau nel Vorarlberg, figlio di un calzolaio e barcaiolo, dunque in un contesto semplice. Col nonno materno (il poeta patriottico Franz Michel Felder) condivideva non solo il nome, ma anche l'amore per la propria patria e il proprio popolo, lo slancio per la scrittura e la ricerca, nonché una miopia tendente quasi alla cecità. Nel 1917 Willam venne ordinato sacerdote a Bressanone, e nel 1921 divenne dottore in teologia. Dopo alcune esp erienze pastorali, gli venne attribuito il ruolo di cappellano ad Andelsbuch, dove fu pastoralmente e scientificamente attivo sino alla morte (18 gennaio 1981).
Ricercato e stimato da molti, lo scrittore, scienziato e antropologo volle sempre essere chiamato "cappellano", poiché questo nome esprimeva ciò che egli era e sempre volle essere: un sacerdote e pastore. La vita di Willam fu modesta e tra la gente, nonché profondamente radicata nella tradizione cattolica. Nonostante vivesse nel solitario bosco di Bregenz egli rimase in continuo contatto col mondo scientifico della teologia, in particolare con molti studiosi newmaniani. In una necrologia si trova scritto: «Willam è stato un uomo universalmente dotato, capace allo stesso modo di discutere di economia montana con le persone che incontrava nelle sue molte passeggiate, così come, nel suo ufficio pieno di montagne di libri, di leggere senza problemi autori inglesi, francesi, spagnoli, italiani, latini e greci senza l'ausilio di un dizionario. Gli erano familiari moderni scienziati della natura come Heisenberg al pari dei filosofi greci Platone e Aristotele».
L'opera di Willam comprende 33 volumi e 372 contributi (poesie, racconti, saggi, recensioni) pubblicati in 79 differenti riviste. Il volume del 1932 Das Leben Jesu im Lande und Volke Israels (La vita di Gesù nel territorio e nel popolo d'Israele), pubblicato in dieci edizioni e tradotto in dodici lingue, è il suo massimo lavoro, un vero e proprio bestseller del suo tempo, che rese Willam celebre internazionalmente. Per la redazione del libro Willam studiò a fondo la storia giudaica e osservò da antropologo per molti mesi gli usi e i costumi in Palestina. Quando Willam parla di Gesù, allo stesso tempo egli ci sta dando una lezione di sguardo nel vero senso della parola: ci fa vedere, sentire e percepire come il Signore ha vissuto e operato. La sua urgenza è la formazione religiosa del popolo. Questa urgenza deriva dal suo particolare a more e dalla sua particolare vicinanza all'uomo semplice; gli riuscì di unire uno spirito lucido a un linguaggio lineare e comprensibile.

© Copyright Avvenire, 29 giugno 2007

Nessun commento: