27 giugno 2007

Il Cardinale Ratzinger? Nettamente contrario alla norma che consentiva di eleggere il Papa con la maggioranza semplice


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Rassegna stampa del 27 giugno 2007

Aggiornamento della rassegna stampa del 27 giugno 2007 (1)

Aggiornamento della rassegna stampa del 27 giugno 2007 (2)

Aggiornamento della rassegna stampa del 27 giugno (3)

Aggiornamento della rassegna stampa del 27 giugno (4)

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IL PAPA RIFORMA IL CONCLAVE: IL PAPA ELETTO DAI DUE TERZI DEL SACRO COLLEGIO


ELEZIONE DEL PAPA, SI TORNA ALL’ANTICO.

Per eleggere il Papa servirà da oggi la maggioranza di due terzi dei cardinali elettori. Lo ha deciso Benedetto XVI con un “motu proprio”, ripristinando la norma tradizionale secondo la quale perché il Papa possa considerarsi validamente eletto sarà sempre necessaria “la maggioranza dei due terzi dei cardinali presenti’’.
Viene cancellato il ricorso alla maggioranza assoluta – 50 per cento più uno – alla quale si poteva ricorrere dopo il 33° scrutinio come stabilito Giovanni Paolo II nel 1996 con la “Universi Dominici Gregis”.
Benedetto XVI ha così realizzato una vecchia convinzione. Come scrisse il Foglio il 23 febbraio 2001 “Da quando è venuta alla luce la ‘Universi Dominici Gregis’, per un paio di volte dal palazzo dell’ex Sant’Uffizio sono partiti pareri motivati per tornare alle vecchie norme elettorali. In entrambi i casi la segreteria di stato ha rispedito al mittente la richiesta invocando l’inopportunità di ogni cambiamento”.
Sei anni dopo Papa Benedetto XVI ha accolto i rilievi del cardinal Joseph Ratzinger.

© Copyright Il Foglio, 27 giugno 2007


Sacre dispute

A molti porporati non piace l’idea di un Papa eletto a maggioranza semplice

Roma. L’attribuzione più importante che hanno i cardinali di Santa Romana Chiesa è quella di eleggere il vescovo di Roma, cioè il Papa. E proprio sulle norme che regolano questa delicata elezione è in corso nel mondo ecclesiastico una discussione dotta e riservata.
Oggetto di discussione è la costituzione apostolica “Universi Dominici Gregis”, il documento emanato da Giovanni Paolo II 5 anni fa per aggiornare le modalità di elezione del vescovo di Roma. E in particolare la nuova norma che, contrariamente a una tradizione plurisecolare, ammette la possibilità che il Papa venga eletto non già, come avviene dal dodicesimo secolo, con la maggioranza qualificata dei due terzi, ma semplicemente con la maggioranza del cinquanta per cento più uno.
Fino al 1996 i modi per eleggere un Papa erano tre. “Per acclamazione”, quando i cardinali senza votare proclamavano il nuovo Papa all’unanimità e a viva voce. “Per compromesso”, quando in caso di particolare difficoltà a trovare un accordo decidevano all’unanimità di affidare a un gruppo di loro (tra i 9 e i 15) il potere di eleggere, al posto di tutti, il pastore della Chiesa di Roma.
Con la “Universi Dominici Gregis” queste due forme scompaiono e rimane solo la terza modalità, che prevede l’elezione per voto con la maggioranza qualificata dei due terzi. Ma attenzione. Nel caso che il Conclave si protragga per 30 scrutini in 10 giorni, i cardinali possono decidere di eleggere il nuovo Papa con la semplice maggioranza assoluta dei suffragi. A dire il vero anche nella “Romano Pontifici eligendo”, emanata da Paolo VI nel 1975 era prevista questa possibilità, ma solo nel caso che tutti i cardinali, nessuno escluso, avessero deciso in tal senso. Con la “Universi Dominici Gregis” invece questa variante può essere introdotta dalla maggioranza assoluta del Sacro collegio.
Nella conferenza stampa di presentazione della “Universi Dominici Gregis” solo su esplicita richiesta di un giornalista l’ecclesiastico presente nella sala stampa vaticana (il neo cardinale argentino Jorge Maria Mejia) ammise che, su questo punto, c’era un cambiamento rispetto al passato, minimizzandolo…
In realtà, e questo è il parere di autorevoli ecclesiastici, il cambiamento non è di poco conto. Prima poteva accadere che nei confronti di un candidato ci fosse l’opposizione intransigente di un terzo del Sacro Collegio. Questo bastava a non far eleggere quel candidato, ora non sarà più così. Un Papa potrà essere eletto con la sola maggioranza assoluta. In pratica, nel caso che i cardinali elettori fossero 120, prima ci volevano 80 preferenze per diventare Papa, ora ne bastano 61. Senza contare poi che tra i partecipanti al Conclave potrebbero esserci, e normalmente ci sono, degli elettori in precarie condizioni di salute. Impietosamente nei Sacri Palazzi qualcuno parla di “cardinali che non ci stanno più con la testa” e il cui voto, se decisivo, potrebbe essere messo in discussione.
Senza contare poi che l’introduzione, seppure in determinate condizioni, della possibilità di eleggere un Papa con la maggioranza assoluta, rompe una tradizione secolare, che risale al III Concilio Lateranense del 1179 quando di stabilì che “poiché il nemico non cessa di seminare la zizzania, se non vi è l’unanimità fra i cardinali per la scelta del pontefice e, pur concordando i due terzi, l’altro terzo non intende accordarsi o presume di eleggere un altro, sia considerato romano pontefice quello che è
stato eletto e riconosciuto dai due terzi”.

Il dibattito giornalistico e quello curiale

Fino alla “Universi Dominici Gregis” tutti i documenti pontifici di questo secolo che riguardano l’elezione del vescovo di Roma hanno strettamente conservato questa norma.
Così ha fatto San Pio X nella costituzione “Vacante Sede Apostolica” (1904); così ha fatto Pio XII nella costituzione “Vacantis Apostolicae Sedis” (1945), così ha fatto Giovanni XXIII nel moto proprio “Summi Pontifici Electio” (1962), così ha fatto Paolo VI nella costituzione “Romano Pontifici eligendo”(1975). Anzi Papa Sarto, Papa Pacelli e Papa Roncalli hanno sottolineato come la regola dei due terzi fosse stata “sempre
conservata scrupolosissimamente (religiosissime) per molti secoli”, mentre Papa Montini si è “limitato” a ricordare che una volta sancita era stata “da allora conservata scrupolosamente (religiose)”. Non solo, per rendere più “pura” la regola dei due terzi Pio XII e Paolo VI avevano stabilito che per risultare eletto il nuovo Papa avrebbe dovuto ottenere i due terzi dei voti, più uno, e questo per rendere ininfluente ai fini del raggiungimento del quorum l’eventuale voto dato a se stesso dal candidato risultato eletto.
Per la norma varata da Giovanni XXIII invece bastavano i semplici due terzi.
La possibilità di eleggere ora il nuovo Papa a semplice maggioranza assoluta ha suscitato dibattito in ambito teologico-giornalistico soprattutto negli Stati Uniti. Fortemente critico nei confronti dell’innovazione è stato padre Thomas Reese, gesuita, direttore del settimanale “America” della Compagnia di Gesù statunitense. Per Reese:
“Con la pubblicazione della ‘Universi Dominici Gregis’ non c’è più un incentivo per trattare e trovare un candidato che raccolga un largo consenso. Tutto quello che serve è un candidato che possa ottenere una maggioranza assoluta di voti dopo una trentina di votazioni. Questo cambiamento aumenta la possibilità che venga eletto Papa un candidato più radicale e ideologico”. “La regola dei due terzi – aggiunge il gesuita – incoraggiava le trattative e la ricerca di un largo consenso, virtù di cui si ha bisogno per mantenere l’unità di una Chiesa così grande e complessa”. Le critiche di padre Reese sono state fatte proprio dal settimanale progressista “National Catholic Report”, per il quale l’introduzione della maggioranza semplice nell’elezione papale “potrebbe essere devastante e provocare danni inimmaginabili alla Chiesa”. Sul fronte opposto a Reese e al NCR si è schierato invece, nella sua biografia i Karol Wojtyla, “Testimone della speranza”,
George Weigel, un teologo che appartiene all’ala cosiddetta neo conservatrice del mondo cattolico Usa. Per Weigel le nuove regole “rendono impossibile che una minoranza intransigente, composta da un terzo più uno degli elettori, blocchi l’elezione di un candidato che fosse di gran lunga il più favorito”. Il paradosso di queste prese di posizione è che il progressista Reese è più favorevole a una prassi legata alla tradizione, mentre il conservatore Weigel si mostra aperto a soluzioni più moderne.

Ma la discussione più importante è quella che si è svolta, e si sta svolgendo, dentro le mura leonine. Da quando è venuta alla luce la “Universi Dominici Gregis”, per un paio di volte dal Palazzo dell’ex Sant’Uffizio sono partiti pareri motivati per tornare alle vecchie norme elettorali. In entrambi i casi la Segreteria di Stato ha rispedito al mittente la richiesta invocando l’inopportunità di ogni cambiamento.

Ma intanto altri ecclesiasticiì della Curia romana hanno manifestato il desiderio di tornare alle vecchie norme. E non è difficile pensare che nel Concistoro, che in questi giorni ha sancito l’entrata nel Sacro collegio di altri 44 porporati, portando a 135 il numero di cardinali elettori, ci siano stati scambi di opinione anche su argomenti di tecnica elettorale.

Sacri poteri

Concistoro, consultazioni e nuova Legge Fondamentale, cresce il peso di Sodano

Roma. Proprio nei giorni in cui a Roma sono presenti quasi tutti i cardinali del Sacro Collegio il cardinale Angelo Sodano, segretario di Stato vaticano, è diventato protagonista assoluto sui massmedia italiani per il giro di consultazioni politiche in vista delle prossime elezioni. L’iniziativa di Sodano è senza precedenti. Il cardinale Achille Silvestrini l’ha criticata neanche troppo velatamente. Agli osservatori di politica ecclesiastica non è sfuggita poi la copertura minima che a queste conversazioni ha riservato il quotidiano della Cei, Avvenire, segno
forse di una freddezza da parte del presidente dell’episcopato italiano, il cardinale Camillo Ruini. Negli ambienti ecclesiali molti si chiedono infatti perché questo tipo di attività “politica”
sia stata portata avanti direttamente dalla Santa Sede e non, come sarebbe naturale, dalla leadership dell’episcopato italiano.
Sta di fatto comunque che negli ultimi tempi sembra che il potere, e la visibilità, del segretario di Stato vaticano sia in continua ascesa. E questo si riflette anche nei rapporti con i poteri civili dello Stato italiano.
Fino ad alcuni mesi fa la politica ecclesiastica in Italia veniva fatta da Sodano insieme all’allora sostituto in segreteria di Stato, il neo porporato Giovanni Battista Re, e a Ruini. Ma da settembre Re, promosso alla Congregazione per i vescovi, è fuori gioco. E Ruini è in attesa di vedersi confermato per la terza volta alla guida della Cei (il suo secondo quinquennio scade a marzo). Così Sodano si trova a gestire in prima persona i rapporti con i politici italiani. In questo quadro sarà interessante conoscere il nome del prossimo nunzio apostolico (ambasciatore vaticano) presso lo Stato italiano: l’attuale infatti, l’arcivescovo Andrea Cordero Lanza di Montezemolo (piemontese ma più legato alla vecchia cordata silvestrina che a quella del suo conterraneo Sodano), è in scadenza e fra i nomi del suo successore si fa quello di Francesco Monterisi, ora vice di Re nella fabbrica dei vescovi, e uomo di fiducia, si dice, dello stesso Sodano.
L’influenza di Sodano, ovviamente, non si ferma alla sfera della “politica italiana”. Oltre al ruolo da lui avuto nella compilazione della lista dei neocardinali (avrebbe addirittura scritto una lettera per perorare la causa del tedesco Karl Lehmann, su cui il cardinale Joseph Ratzinger aveva non pochi dubbi), è interessante notare come con la nuova Legge Fondamentale entrata in vigore proprio ieri, sia accresciuto il potere della Segreteria di Stato sul governo della Città del Vaticano.

© Copyright Il Foglio, 23 febbraio 2001

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