27 giugno 2007

Aggiornamento della rassegna stampa del 27 giugno 2007 (2)


Vedi anche:

Domani sera su Raiuno il documentario (aggiornato) sul Papa

30 anni fa l'arcivescovo di Monaco, Joseph Ratzinger, diventava cardinale

Rassegna stampa del 27 giugno 2007

Aggiornamento della rassegna stampa del 27 giugno 2007 (1)

Ancora sulle regole dell'elezione a Pontefice

Le regole del Conclave, una riflessione (di Raffaella)

Il Motu proprio di Benedetto XVI pubblicato a "sorpresa"

IL PAPA RIFORMA IL CONCLAVE: IL PAPA ELETTO DAI DUE TERZI DEL SACRO COLLEGIO

Il testo del MOTU PROPRIO


Ecco una terza ondata di articoli sul motu proprio che modifica alcune norme sull'elezione del Pontefice.
Marco Tosatti conferma la contrarieta' dell'allora cardinale Ratzinger all'abbassamento del quorum dei due terzi
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Raffaella

CAMBIATA LA REGOLA DI GIOVANNI PAOLO II CHE CONCEDEVA LA MAGGIORANZA SEMPLICE DALLA 34ª VOTAZIONE

Nuova legge elettorale, ma per il Papa

MARCO TOSATTI

CITTÀ DEL VATICANO
A sorpresa, con un documento brevissimo (venti righe in latino, firma compresa) Benedetto XVI ha modificato le regole per eleggere - ad multos annos - il suo successore. Da oggi per portare al soglio di Pietro l'uomo prescelto dallo Spirito Santo e dai cardinali elettori serviranno di nuovo i due terzi dei votanti; in nessun caso si potrà arrivare ad avere un Pontefice a maggioranza semplice, vale a dire che abbia avuto la metà dei voti validi più uno. Quella della maggioranza semplice era un'innovazione introdotta nella storia plurisecolare dei conclavi da Giovanni Paolo II, e aveva destato alcune perplessità.

Durante il Concistoro del 2001 infatti alcuni cardinali dell'area di lingua tedesca e dell'America Latina, fra cui lo stesso Joseph Ratzinger, avevano manifestato a papa Wojtyla le loro riserve.

«Con la costituzione apostolica "Universi Dominici gregis", promulgata il 22 febbraio del 1996 - scrive nel suo "Motu Proprio" Benedetto XVI - il nostro venerabile predecessore Giovanni Paolo II ha introdotto alcune modifiche nelle norme canoniche» stabilite da Paolo VI.
Papa Ratzinger ricorda poi nel suo testo, emanato senza che vi fosse alcun preavviso, che dopo che la «Universi Dominici Gregis» fu promulgata, «poche petizioni, notevoli per autorevolezza, giunsero a Giovanni Paolo II, sollecitando che fosse ristabilita la norma sancita dalla tradizione, secondo la quale non si potrà avere un romano Pontefice eletto validamente se non avrà ottenuto i due terzi dei suffragi dei cardinali elettori presenti».
Ratzinger non dice se fra le petizioni «auctoritate insignes» ci fosse anche la sua; ma tutto lascia pensare di sì, se a soli due anni dall'elezione, e godendo di una discreta salute, ha pensato, fra le altre cose, di legiferare in materia.
Giovanni Paolo II, per evitare che si avesse il pericolo di uno stallo nelle procedure, aveva deciso che dopo il trentatreesimo scrutinio si potesse far ricorso alla maggioranza della metà più uno. Questa regola però aveva l'inconveniente di «polarizzare» un eventuale scontro. Se cioè uno dei due schieramenti avesse avuto la maggioranza semplice, e avesse deciso di imporre il proprio candidato, gli sarebbe stato sufficiente protrarre fino al limite le votazioni (in pratica, oltre il tredicesimo giorno di Conclave) per giungere poi agevolmente a vincere. Con il rischio conseguente di avere un pontefice basato su una maggioranza sottile, e perciò dotato di un'autorevolezza relativa. Secondo le nuove disposizioni, inoltre, diventa obbligatorio il «ballottaggio» dopo la trentatreesima votazione; e anche in questo caso sarà necessaria una maggioranza dei due terzi. Inoltre i due candidati saranno esclusi dal voto.
Ieri il direttore della Sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ha spiegato che le nuove norme per l'elezione del Papa servono «a garantire il più ampio consenso possibile per la nomina del nuovo Pontefice»; cioè ad obbligare i due eventuali schieramenti a uscire dal braccio di ferro con una candidatura condivisa. E in effetti fino alla «Universi Dominici gregis» tutti i documenti pontifici dell'ultimo secolo che riguardano l'elezione del vescovo di Roma hanno rigorosamente conservato la norma dei due terzi. San Pio X nella sua costituzione «Vacante Sede Apostolica» del 1904; Pio XI nel suo motu proprio «Cum proxime» (1922); Pio XII nella sua «Vacantis Apostolicae Sedis» del 1945; Giovanni XXIII nella sua «Summi Pontificis electio» (1962); e infine Paolo VI nella «Romano Pontifici eligendo» del 1975 hanno mantenuto la norma. Non solo, per rendere più «pura» la regola dei due terzi, Pio XII e Paolo VI avevano stabilito che il nuovo Papa avrebbe dovuto ottenere i due terzi più uno dei voti; in modo che il voto del candidato fosse ininfluente. Ma per Ratzinger bastano i due terzi.

© Copyright La Stampa, 27 giugno 2007


Anche tra cardinali “si vince al centro”

Nonostante le leggende, nella storia del diritto canonico la sola pratica elettiva che non sia di origine ecclesiastica è il Conclave. Fu un'iniziativa comunale, a partire dal 1216, per ridurre le spese necessarie ad assemblee che si protraevano inutilmente. I partecipanti venivano chiusi a chiave nell'aula, nutriti con pane secco ed acqua, privati del letto. In qualche comune si aggiungeva lo scoperchiamento del tetto della sala adibita alle votazioni. Ed è questo mix di spicce consuetudini civiche che i viterbesi applicarono nel 1268 ai cardinali radunati nella Tuscia per dare un successore a Clemente IV. In realtà, nel 1238 i Domenicani, inventori tra l’altro del bicameralismo, avevano inculturato i conclavi civici nelle proprie costituzioni ed erano in grado di offrire alla Chiesa un modello elettivo sobrio e senza eccessi strapaesani. Tuttavia, nel secondo Concilio di Lione del 1274, la Chiesa preferisce proprio il modello viterbese, giudicato capace di garantire alle elezioni papali funzionalità e velocità. Quello che conosciamo oggi, il Conclave moderno, nasce con Sisto V. Siamo dunque nel 1585: ristrutturando la curia romana e affidando ad ogni cardinale la cura di una specifica Congregazione (i “ministeri” della Chiesa) Papa Peretti formalizzò anche il primo modello elettivo del Papa: un compromesso tra le ragioni del Conclave e quelle della Curia.
Dal XVI secolo, da quando i Papi hanno elaborato il conclave che ancora conosciamo, cappelli e abiti color porpora hanno ricoperto il capo e le membra di 3000 ecclesiastici. Tra questi, 583 sono vissuti nel XX secolo.
Se poi vogliamo parlare di record statistici, il più prolifico facitore di porporati è stato, manco a dirlo, Giovanni Paolo II: nei suoi otto concistori, ha iscritto nel «club più esclusivo del mondo» duecentouno cardinali. L’altra faccia della medaglia, quella del Papa meno dedito alle imposizioni di berrette, dopo oltre due anni dalla sua elezione, spetta ancora a Benedetto XVI: nonostante le previsioni, non ha finora chiamato nessuno nel Sacro Collegio.
Se invece vogliamo gettare in politica pure il conclave, gli studiosi sono convinti di poter riconoscere all’interno di quelli celebrati nel XIX e XX secolo l’esistenza di almeno quattro partiti. Quello vincente, il “partito centralista”, è composto da una corporazione istituzionale intermedia. Uno zoccolo duro di uomini di Chiesa che ha sempre escluso dal Soglio Pontificio gli aderenti ai progressismi estremi, coloro che, durante i secoli, hanno continuato a sognare una Chiesa pienamente sinodale salvaguardando allo stesso tempo il papato moderno dagli immobilismi supermonarchici tradizionali, quelli della Curia. Un partito che manifesta una sana diffidenza per i porporati che pendono verso forme di Chiesa fintamente assembleari, come quelle praticate all’interno di alcune importanti Conferenze Episcopali.
Probabilmente, se ormai conosciamo conclavi che possono agilmente assolvere la loro funzione nel giro di due-tre giorni, lo dobbiamo proprio al fatto che anche per trovare riferimenti «politici», i cardinali non hanno più bisogno di cercarli fuori dalla Chiesa. Tutti i Conclavi dal XVII secolo agli inizi del XIX hanno potuto eleggere un pontefice unicamente tra coloro che non ricevevano il veto da una potenza cattolica. E così che nel 1724 e nel 1730 il Papa sarebbe potuto essere il cardinale Fabrizio Paolucci qualora non avesse ricevuto il veto dall’Austria. In realtà, nel 1724 i conclavisti tentarono, anche offrendo denaro, di far annullare il veto imperiale ma il prezzo venne ritenuto troppo oneroso. Nel 1730, per poter eleggere Clemente XII, Papa Corsini, i conclavisti dovettero affrontare i veti dei Savoia, dei Medici e dei Farnese. Ed è alla fine di un Conclave durato sei mesi, nel 1740, dopo aver subito i veti di Austria, Francia, Spagna, Napoli e Toscana su altrettanti candidati che il conclave riuscì ad eleggere Prospero Lambertini, Benedetto XIV, il «Papa Roncalli» del Settecento. Una leggenda ecclesiastica molto radicata ricorda la colorita espressione (comincia con «c» e ha cinque lettere) con la quale rispose a chi gli chiedeva se accettava l’incarico. Aggiungendo: «Così la finiamo con queste nostre riunioni».
fine: FLIDGI

© Copyright La Stampa, 27 giugno 2007

Vorrei rispettosamene far notare che Papa Benedetto XVI ha gia' indetto un concistoro per creare ben 15 cardinali:

CONCISTORO ORDINARIO PUBBLICO PER LA CREAZIONE DI QUINDICI NUOVI CARDINALI , 24.03.2006

Forse occorrerebbe studiare un po' prima di scrivere gli articoli. O sbaglio?
R.

LA STORIA

Quei tormenti dei cardinali "in gabbia"

Nel 1274 fu imposto il razionamento via via più severo del cibo ai porporati riuniti per scegliere il pontefice
Pio II si lamentò della "turpe consuetudine" del saccheggio della cella di colui che era stato scelto per salire al soglio di Pietro


AGOSTINO PARAVICINI BAGLIANI

La decisione di Benedetto XVI di ristabilire la maggioranza dei due terzi dei cardinali per tutta la durata del conclave riafferma la validità di una regola che risale al lontano 1179. Tale regola non aveva subito modifiche per più di otto secoli, fino al decreto di elezione di Giovanni Paolo II. Nessun´altra norma riguardante l´elezione del Papa fu così longeva, il che ne conferma la sua splendida funzionalità. E si comprende che il Papa abbia voluto riaffermarne l´esclusività, rimanendo fedele alla tradizione.
Ci si potrà forse sorprendere, ma la norma dei due terzi fu introdotta per risolvere una profonda crisi del papato che nel XII secolo era stato scosso da due lunghissimi scismi, l´ultimo dei quali durò circa vent´anni, dal 1159 al 1179. In quell´anno, Alessandro III fece accettare dal Terzo Concilio Lateranense un criterio assolutamente nuovo, secondo cui l´elezione sarebbe stata valida soltanto se il Papa era stato eletto da una maggioranza dei due terzi dei cardinali presenti. Era la prima volta che per eleggere il Papa si prevedeva una procedura basata sulla maggioranza numerica. Secondo il decreto di elezione di Niccolò II (13 aprile 1059), che aveva affidato ai cardinali il diritto esclusivo di eleggere il Papa, vigeva ancora il principio – numericamente vago – della «parte maggiore» o della «parte più sana».
Alessandro III si era lasciato ispirare dalle norme in uso nei Comuni italiani per le procedure di elezione dei magistrati cittadini. Ma a quell´epoca i cardinali non dovevano riunirsi "in un conclave", ossia in un "luogo chiuso a chiave" per eleggere il nuovo Papa. Un primo passo verso il "conclave" fu compiuto nel 1241, dopo la morte di Gregorio IX, non però per volontà dei cardinali. Stanco di vedere che i cardinali non avevano ancora eletto un Papa dopo mesi di trattative, il senatore di Roma Matteo Rosso Orsini li rinchiuse nel palazzo romano Septizonium. La situazione divenne insostenibile durante la Vacanza apertasi con la morte di Clemente IV (1268). Nessuno dei diciotto cardinali, divisi in potenti fazioni, poteva sperare di ottenere la maggioranza dei due terzi. E fu così che, stanco di attendere (era passato più di un anno e mezzo dalla morte del Papa), il podestà di Viterbo rinchiuse i cardinali nel palazzo del vescovo, ne scoprì il tetto e lasciò passare soltanto pane, vino e acqua.
Per risolvere la crisi provocata da così lunghe Vacanze della Sede Apostolica, il nuovo Papa –Gregorio X – fece sua l´idea del "conclave" e riuscì a farla adottare dal II Concilio di Lione (1274). Il decreto imponeva ai cardinali di riunirsi «in un conclave» dieci giorni dopo la morte del Papa. Nessuno poteva né entrare né uscire. Contatti diretti erano vietati anche per iscritto. Dopo tre giorni ai cardinali era concesso un solo piatto al giorno; fino ad elezione avvenuta, i cardinali si dovevano poi accontentare di pane ed acqua.
Gregorio X aveva preparato il decreto nel massimo segreto e dovette vincere forti resistenze da parte dei cardinali. Troppo severa, la costituzione che aveva dato vita al conclave non resistette del resto alla prova dei fatti. I suoi immediati successori la sospesero. Fu Celestino V, che come Gregorio X non proveniva dal collegio dei cardinali, a ristabilirne la validità poco prima di abdicare. Per eleggere il suo successore, i cardinali si riunirono infatti «in conclave», in Castelnuovo a Napoli, dieci giorni dopo la sua abdicazione (23 dicembre 1294). Il giorno seguente, vigilia di Natale, Benedetto Caetani fu eletto papa Bonifacio VIII.
Già dieci anni dopo, durante il conclave di Perugia (1304), le severe regole del conclave furono allentate. L´ambasciatore aragonese racconta che i cardinali ebbero «i primi tre giorni tutti gli alimenti che volevano», cinque giorni dopo fu dato loro «abbondantemente» un solo pranzo, poi «soltanto pane, vino e acqua». Dopo otto giorni ebbero soltanto pane e vino, ma «segretamente ricevettero diversi alimenti dai loro familiari». I cardinali si costruirono «piccole case di legno coperte da tele cerate» perché «ciascuno potesse dormire senza essere visto».
Ad Avignone, verso la metà del secolo, Clemente VI (1351) abolirà l´obbligo del dormitorio comune, permettendo ai cardinali di disporre di cellette separate da tende. Dovevano accontentarsi di una sola portata, a pranzo come a cena. Potevano nutrirsi «di carne o di pesce o d´uova», ed anche di carne salata, erbaggi e frutta, ma senza «prendere cosa alcuna da un altro cardinale»! Grazie a queste nuove regole, meno austere, il ritmo delle elezioni pontificie diventò più rapido e così si conservò (tranne avvenimenti straordinari, come il Grande Scisma di Occidente o la Rivoluzione francese) fino a nostri giorni.
In conclave, la cella del cardinale eletto pontefice poteva essere oggetto di saccheggio. Pio II (Enea Silvio Piccolomini) raccontò che all´annuncio della sua elezione (19 agosto 1464), la sua cella fu spogliata dell´argento e dei libri «secondo una turpe consuetudine». La «plebaglia vile e infame fece addirittura a pezzi la sua casa di Roma, asportando persino le pietre».
Saccheggi di questo tipo dilagarono fino al Settecento, investendo anche il palazzo che il cardinale eletto Papa possedeva nella sua città natale. Il rito segnalava che il neo eletto pontefice «era salito al culmine delle ricchezze», come si espresse il Concilio di Costanza (1415), ma anche il desiderio del popolo di partecipare all´elezione di un nuovo pontefice, oltre che, preventivamente, alla magnificenza del suo pontificato.

© Copyright Repubblica, 27 giugno 2007

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