30 maggio 2007

Un articolo che sembra scritto oggi...


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Cari amici, oggi iniziamo la rassegna stampa con un articolo "sui generis". Non si tratta infatti di un testo scritto oggi, ieri o l'altroieri, bensi' il 19 aprile 2006, in occasione del primo anniversario dell'elezione a Papa di Joseph Ratzinger. E' sorprendente constatare quanto sia di scottante attualita'. Ad essere sinceri, occorre notare che e' cambiato qualcosa dall'aprile 2006: ormai e' chiaro che le antipatie dei vaticanisti (non di tutti per fortuna) verso Papa Benedetto sono palesi ed esplose in tutta la loro "drammaticità". Contesto, quindi, l'articolo nella parte in cui afferma che "non si registrano ostilità o antipatie aperte". Qui occorre prestare attenzione alle date: l'articolo del Foglio e' stato scritto prima del viaggio in Polonia, del viaggio in Baviera (in particolare Ratisbona) e prima del viaggio in Brasile. Ora i "giochi" sono sotto la luce del sole.
Fra poco la rassegna stampa del giorno
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Raffaella


La dura vita dei vaticanisti all’epoca del Papa senza spifferi

Milano. I discorsi li scrive da solo, quasi mai riceve ospiti a pranzo, di norma ci sono meno occasioni per contatti informali e quotidiani con qualche esponente dell’inner circle.
Così al di fuori fluiscono meno notizie rispetto a prima: di certo meno gossip, ma scarseggiano anche quelle chicche e quelle “anticipazioni” destinate ad alimentare una macchina abituata a macinare a pieno regime. Basta un rapido sondaggio tra i vaticanisti – questa particolare community all’interno del giornalismo, dotata di legittima qualifica redazionale, brillantemente sopravvissuta a quella cugina dei cremlinologi e anzi addirittura ringiovanita da cinque lustri di papato mediatico – per capire che il lavoro s’è fatto più duro, da un anno a questa parte.
Fin troppe volte si è detto che il pontificato di Giovanni Paolo II è stata un’irripetibile età dell’oro che ha cambiato il modo di comunicare del Papa con il mondo (persino la Sala stampa fu creata dal Papa polacco, nel 1986). Ora è la comunicazione tra il Papa e i vaticanisti a cambiare, in modo leggero ma sensibile.
Non che con Benedetto XVI il lavoro manchi, sia per mole sia per modalità. Ad esempio, si racconta, la sua predilezione per i discorsi a braccio (che rendono impossibile la distribuzione previa dei testi papali) complica un po’ il lavoro, lo espone costantemente al vaglio della verifica, al rischio dell’imprevisto. Il che va ad aggiungersi alla difficoltà di “sapere prima le cose”.

Il fatto è che il Papa tedesco non soltanto non ha alcun interesse alla costruzione di una propria immagine, ma nemmeno è interessato a un’immagine complessiva del Vaticano (e della Chiesa) che sia qualcosa di diverso dalla correttezza e dalla trasparenza: del messaggio, e anche del medium.

La famosa battuta del cardinale Agagianian, “lo Spirito Santo non legge i giornali”, potrebbe in qualche misura valere anche per lui.
All’inizio del pontificato di Wojtyla la grande stampa laica alzò a lungo un fuoco di sbarramento. Il vaticanista del Corriere, Luigi Accattoli, e soprattutto quello di Repubblica, Domenico Del Rio, furono a lungo i pivot di un compatto fronte critico. Ci volle un decennio prima che cambiassero rotta. Poi, nel 1988, scrissero insieme l’elogiativo “Il nuovo Mosè”, e fu il segnale di un cambio di prospettiva per tutta la cultura laica.
Con papa Ratzinger le cose stanno diversamente. Nel mainstream vaticanista non si registrano ostilità o antipatie aperte.
Se c’è stato, da parte della grande stampa, un debole tentativo di attestarsi su un fronte anti-ratzingeriano, si è consumato prima della sua elezione. Quando in modo non sempre innocente si cercarono di accreditare grandi spaccature nel Conclave, incarnate
da un (immaginario) ruolo antagonistico del cardinale Martini. Ma come ha scritto Sandro Magister, “se solo si fosse seguito con attenzione il percorso di Joseph Ratzinger dalla metà del 2004 in poi, se si fossero letti i suoi discorsi, se si fossero allineati i suoi gesti, se si fosse registrato il crescente consenso che attorno a lui si creava nel collegio cardinalizio, la sua elezione a Papa non sarebbe arrivata come una sorpresa”. Incassato il colpo, è prevalsa la prudenza. Anche eventuali orfani del mai nato Papa progressista hanno fatto buon viso. Basterebbe vedere la linea tenuta sui referendum prima e sulle vicende politiche “interne” poi: per un po’ si è provato a distinguere tra il Ruini duro e interventista e il Ratzinger teologo e distaccato.
Ma la strategia è presto naufragata sulle poche ma rocciose prese di posizione del pontefice. Nel gioco della fronda minimalista a Benedetto XVI va annoverata anche una certa insistenza nelle interviste a esponenti della gerarchia, intese a testimoniare l’esistenza di punti di vista diversi. E magari qualche sottovalutazione. Ad esempio quando il Papa ha parlato del Concilio o ha espresso posizioni critiche sull’islam.

Il Foglio, 19 aprile 2006

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