25 maggio 2007

Messori e Melloni su "Gesu' di Nazaret"


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DIBATTITO Dopo la lettura di Carlo Maria Martini a Parigi, si apre la discussione sul testo del Papa

Fede e ricerca: confronto sul Gesù di Ratzinger

IN DIFESA DEL PONTEFICE

«Il cardinale declassa il libro a pura meditazione spirituale»

di VITTORIO MESSORI

Carlo Maria Martini merita sempre un ascolto attento.
Naturalmente, nella consapevolezza che in lui vive un grande interprete della tradizione della Compagnia di Gesù. Per i figli di sant'Ignazio, nulla è univoco («numquam nega, raro adfirma», recita un loro motto), la doverosa strategia cattolica dell'et et — mai dell'aut aut — può spingersi sino all'ambiguità. Nel senso, ovviamente, più nobile.
Così, il lettore non smaliziato può equivocare, leggendo gli elogi finali di Martini al testo su Gesù scritto da Benedetto XVI, ma come professor Joseph Ratzinger: «A mio avviso, il libro è bellissimo, si legge con una certa facilità e ci fa capire meglio Gesù Figlio di Dio e al tempo stesso la grande fede dell'autore». Così il già metropolita di Milano, apparentemente entusiasta. Ma chi abbia orecchio esercitato si allarma a quel riferimento alla «fede dell'autore». Allarme che già era suonato, deciso, nella frase che immediatamente precede: «Quest'opera è una grande e ardente testimonianza su Gesù di Nazareth e sul suo significato per la storia dell'umanità». Con, inoltre, un'aggiunta dal suono edificante ma nella quale un malizioso potrebbe scorgere un sorriso: «È sempre confortante leggere testimonianze come questa».
In effetti, la recensione di Martini — letta nella sede dell'Unesco, alla presenza dei rappresentanti della smagata e diffidente Conferenza episcopale di Francia — sembra costruita per traslocare il libro di Ratzinger dallo scaffale della esegesi biblica a quello dei testi di spiritualità, di riflessione edificante, di testimonianza personale
.

Il cardinale, già illustre docente di critica neotestamentaria al Pontificio istituto biblico, ricorda subito che Ratzinger «non è biblista ma teologo e, sebbene si muova agilmente nella letteratura esegetica del suo tempo, non ha fatto studi di prima mano, per esempio sul testo critico del Nuovo Testamento».
Quasi un profano, per giunta non aggiornato
, fermo alla esegesi non «del nostro» ma «del suo tempo»: di quando, cioè, trent'anni fa, il teologo bavarese teneva cattedra. In effetti, il professor Martini addita subito alcuni errori, equivoci o conclusioni che uno specialista come lui non può condividere, come l'attribuzione del quarto vangelo a Giovanni di Zebedeo. Non, dunque, questo di Ratzinger, un libro «scientifico», in grado di confrontarsi con il metodo storico-critico che pure vorrebbe ridimensionare, bensì un testo di pastorale e di apologetica, «una meditazione sulla figura di Gesù e sulle conseguenze del suo avvento per il tempo presente». Un declassamento soave, elegante e al contempo drastico che non contrasta con le righe finali martiniane: «Pensavo anch'io, verso la fine della mia vita, di scrivere un libro su Gesù (...) Ora, mi sembra che quest'opera di Joseph Ratzinger corrisponda ai miei desideri e alle mie attese e sono molto contento che lo abbia scritto...» Parole che vanno lette alla luce di quelle dove si ricorda l'avvertimento di Ratzinger che qui si propone come studioso e non come Papa. D'accordo, osserva Martini, «ma pensiamo che non sia facile per un cattolico contraddire ciò che è scritto in queste pagine». Dunque, come fare, se si è cardinali, seppure ritirati a Gerusalemme, a proporre un libro con una lettura ben diversa dei rapporti tra il Gesù della storia e il Cristo della fede? Meglio soprassedere, almeno per ora: anche la lunga pazienza è una virtù ignaziana.

Corriere della sera, 25 maggio 2007


IN DIFESA DEL PORPORATO

«La fatica degli interpreti non si può liquidare d'ufficio»

di ALBERTO MELLONI

La presentazione del volume del Papa fatta dal cardinal Martini testimonia le potenzialità e i problemi posti da un'opera che prosegue, dentro il servizio papale, lo stile con cui il cardinale Ratzinger, pur prefetto della dottrina della fede, s'era preso la libertà di entrare ut privatus magister nella discussione teologica. Il recente libro su Gesù si muove in questa direzione.
Chiede semplicemente un ascolto amichevole delle tesi che esprime: ma, come nota Martini, non è proprio agevole distinguere questi piani e leggere quest'opera come quella di un qualsiasi autore: e questo non solo a causa della copertina, ma del contenuto. Certo sarebbe un servizio prezioso se questo Gesù di Nazareth aprisse una discussione molto serena e molto profonda sullo statuto dell'esegesi storico-critica, sulle ragioni della indifferenza che essa suscita in troppa predicazione cattolica, sullo sprezzo con cui la tratta un conservatorismo facilone e ignorante, sulle ragioni che vedono sempre più basso sull'orizzonte della vita cristiana la figura di Gesù, sul suo abbandono alle edulcorazioni settarie o agli approcci faciloni eccitati dall'odore di una rivincita anti illuminista.
Ma sappiamo tutti che è una ipotesi remota. Sì: il cardinal Martini, dall'alto della sua competenza di studioso del testo del Nuovo Testamento, al riparo della porpora e della luminosa testimonianza di sapienza cristiana, può permettersi qualche cautela quando il Gesù di Ratzinger tratta con la disinvoltura di chi pensa che in fondo tutto ciò che ha affaticato generazioni di esegeti possa essere liquidato in poche frasi. Per molti altri, per tutti gli altri, problematizzare il metodo e le posizioni del libro non magisteriale del romano pontefice significa assumersi un rischio, il che nella chiesa non è mai positivo. Bisogna prenderne atto, così come bisogna apprezzare che Martini, ancora una volta, scelga di difendere, assumendola su di sé, la liceità di una posizione «altra» sulle materie che lo consentono o lo esigono.
Al tempo stesso conviene essere serenamente consapevoli che il libro di Ratzinger papa non pone rimedio (e se mai aggrava) il problema dei problemi del cattolicesimo degli ultimi 250 anni, che è quello della cultura del clero. Esso legittima con l'autorità di un fine intellettuale una pericolosa diffidenza verso la ricerca, in nome di una eloquenza teologica nel presente della fatticità evangelica assunta in modo acritico e concordistico. E a un clero che studia sempre meno, sempre peggio, il Gesù di Ratzinger non servirà per coprire la superficialità che riluce oggi senza bisogno di commenti dalla vetrina delle librerie religiose, non solo in Italia?
Al di là degli effetti, però Martini accenna a quello che secondo me è il nodo centrale del libro per il futuro della Chiesa: perché nel Gesù di Ratzinger, infatti, l'insieme dei testi e racconti ha un solo significato che è perfettamente coincidente con la fede come espressa dal credo ed è perfettamente rappresentato nella Chiesa, specialmente dove essa resiste come controcultura. È una prospettiva che scalza tutto il dinamismo di riforma che dal IV al XX secolo ha invece colto nell'oggi le rughe di una infedeltà dolorosa della Chiesa e nella riscoperta della verità evangelica la grazia per la riforma. Anche su questo si dovrebbe riflettere, pensare, dialogare: o forse si riflette e si dialoga già, al riparo della concorrenza fra best sellers a sfondo gesuano.

Corriere della sera, 25 maggio 2007

Bravo Messori, chiaro e puntuale :-)
Melloni, perche' non concede anche al Papa quell'anticipo di simpatia che ha tributato con tanta enfasi ed un pizzico di apologia al cardinale Martini?
Credo che l'espressione conservatorismo facilone ed ignorante se la potesse anche risparmiare, non e' vero, Melloni? Abbia pazienza, non tutti hanno la scienza infusa come Lei!

Raffaella

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