24 maggio 2007

Benedetto, il Papa della svolta


IL PAPA DELLA SVOLTA

Il teologo oltre il Concilio

di Gianni Baget Bozzo

Le significative differenze tra Benedetto XVI e Giovanni XXIII

Papa Benedetto celebra il suo ottantesimo compleanno. Si comprende perché è stato scelto, anche se il ricordo del cardinale Roncalli, anch’egli eletto alla medesima età, potrebbe far pensare a una figura di transizione. Ma in realtà le figure di transizione sono le vere figure di rottura, perché sono una risposta a una difficoltà divenuta urgente e che richiede provvedimenti straordinari. Eleggere un quasi ottantenne alla cattedra di Pietro, quando ai vescovi è richiesto di dimettersi a 75 anni, indica che il Papa settantottenne non è una figura di transizione, è un provvedimento di eccezione. E sotto questo aspetto l’esempio di Papa Roncalli è conveniente, perché, se vi fu nella storia del Papato un passaggio di eccezione, questo è rappresentato dalla figura di Papa Roncalli. Quale è l’eccezione in base a cui è stato eletto il cardinale Ratzinger? È in sostanza opposta a quella che motivò la scelta di Roncalli. Lo stile di Roncalli è visibilmente chiaro nella sua lettura ottimistica delle possibilità che forniva alla Chiesa il mondo uscito dalla seconda guerra mondiale. Benedetto XVI è caratterizzato da quel grande manifesto papale che sono i suoi discorsi antecedenti all’elezione: quello della Via Crucis del 2005 e quello sul discorso dell’eligendo Summo Pontifice.

Si ricordano le dure parole sulla sporcizia nella Chiesa e il tono di conversione spirituale assunto dall’omelia del decano pronunciato in conclave.

Ratzinger è stato, in un certo modo, «profeta di sventura» sin dal famoso «Rapporto sulla fede» che denunciava la secolarizzazione della Chiesa. Le parole del dogma e della dottrina divenivano non più indicatori di realtà del Mistero ma espressioni metaforiche di un’esperienza di vita secolare. La dimensione ontologica del Dio incarnato e della divinizzazione dell’uomo in Cristo veniva secolarizzata nell’incorporazione della Chiesa nella crescita, senza fine e senza misura, del mondo della tecnologia e della rivoluzione, l’ontologia del mistero divino umano ricondotta alla prassi del dialogo intramondano. La Chiesa che rifiutava i profeti di sventura diventava essa stessa una sventura in cui le parole non significavano più i misteri che esprimevano, ma apparivano solo come un conato infecondo per esprimere le profondità della storia che il mondo secolare scopriva nella tecnologia e nella rivoluzione.

Mentre Papa Roncalli era stato un conciliatore della Chiesa con i tempi, di cui egli pensava di leggere i segni, Ratzinger è il teologo che sente la necessità di reincorporare nel mistero ontologico dell’essere divino e dell’essere umano le parole con cui la Chiesa enuncia il suo messaggio. Ciò rende il suo magistero contrario alla lettura postconciliare, cioè alle pulsioni della secolarizzazione del linguaggio cristiano che ne erano nate. L’apparato tomistico della teologia cattolica era divenuto insufficiente sia ad articolare le domande che a porre le risposte. La fine del tomismo e della metafisica come base ontologica del discorso umano aperto al Verbo fatto carne si imponeva come un grande vuoto; era come se fosse stata sottratta alla Chiesa l’intelligibilità delle sue stesse parole. La figura che il cardinale Ratzinger assunse come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede fu quella di un profeta. E, poiché ogni figura profetica ha una sua base culturale, Ratzinger potè offrire alla teologia cattolica un linguaggio che a un tempo si confrontava con l’esegesi tedesca, punto chiave della sfida al cambiamento e riprendeva la tradizione dei padri e dei mistici cristiani, per cui la stessa realtà storica della Chiesa era il segno del Mistero. Ratzinger reagiva alla sociologizzazione del linguaggio ecclesiastico e al rischio di una mistica puramente individuale facendo, nello spirito dei Padri della Chiesa, della realtà ecclesiale il volto storico del mistero. La Chiesa non era soltanto un mondano popolo di Dio, ma era, oltre a questo e in questo, il mistero di Cristo, il corpo di Cristo vivente; e il suo linguaggio non poteva che essere mistico e storico insieme, cioè un vero e autentico linguaggio dogmatico. Il profeta biblico è un organo della Rivelazione e si contrappone a Israele nel suo dato storico. Ma per Ratzinger la Chiesa è la comunione escatologica dei santi e al tempo stesso la Chiesa cattolica romana: il profeta parla all’interno del sistema romano il linguaggio del dogma che ridà al mistero la sua dimensione ontologica e la sua particolarità storica. È un linguaggio definito che contiene nella sua forma linguistica il segno proprio del Mistero che esprime.

Ma quale linguaggio parla Benedetto? È il linguaggio che il teologo Ratzinger ha creato all’interno del mondo teologico tedesco, scavando nelle problematiche di quel mondo le risposte in cui riaffiorava il Mistero cristiano nel suo linguaggio definito. Non esiste una scuola ratzingeriana, ma un percorso altamente personale in cui la dimensione misterica e mistica della Chiesa viene letta alla luce dell’Incarnazione. Era una sintesi personale, non una scuola di pensiero. Era un passaggio teso sull’abisso, non un punto gettato nella sicurezza di un fondamento. Sarebbe sorto con Benedetto Papa il medesimo problema che era già esistito con Ratzinger teologo, prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede: cioè che il pensiero personale, la teologia di Ratzinger, diveniva il criterio dell’ortodossia cattolica. In parte era così perché egli ritrovava l’essenza del mistero passando attraverso le formule della teologia secolarizzata. La sua forza era che un pensiero ortodosso nasceva dal dialogo con la teologia postconciliare. Ratzinger è in un certo modo unico, poteva unire la presenza al centro del dibattito tedesco e fare apparire all’interno di esso la teologia romana. Il concetto più importante per lui è quello di communio, che esprimeva il mistero della Chiesa alla luce della Trinità e faceva della vita ecclesiale un’esperienza della vita divina, una mistica storicamente e socialmente incarnata. Era sulla base della communio come partecipazione alla via trinitaria che egli fondava l’istituzione per eccellenza, il primato petrino. L’unità storica e l’unità mistica costituiscono un tutto unico. Ma questo linguaggio non si fondava sulla tradizione teologica ma faceva riemergere la tradizione all’interno del linguaggio secolarizzato. La forza e la debolezza di Ratzinger stanno nel fatto che egli solo poteva unire ciò che era diviso, la tradizione e la postmodernità, ma lo faceva come suo pensiero teologico, senza che le sue formule ottenessero un consenso scolastico, fossero incorporate in una continuità di linguaggio. Ratzinger operava due rotture: l’irruzione della modernità nella tradizione e l’irruzione della tradizione nella modernità.

Si poteva conciliare l’istituzionalità del magistero papale con una tale sintesi personale? Il problema che si era posto per l’effetto della Congregazione sorgeva maggiormente per il Papa. Papa Benedetto parla fuori dal linguaggio tomista proprio della lunga tradizione ecclesiastica romana e nemmeno usa il gergo dei documenti postconciliari. I testi di Benedetto portano tutti l’impronta di questa sintesi personale che non crea un linguaggio riproducibile, ma ogni volta fa sentire la forza di un pensiero di cui si possono riconoscere le strutture fondamentali. Ciò appare chiaramente nell’unica enciclica che Benedetto ha emanato nel primo anno di pontificato: «Dio è amore» che esprime chiaramente la dimensione misterica e mistica del pensiero del Papa. Una enciclica che è stata largamente elogiata, ma scarsamente dibattuta proprio per il suo carattere spirituale che non si presta all’analisi teologica. Tutto è incluso nella logica dell’amore divino e si manifesta nel mistero della Croce. Il linguaggio papale mira a suscitare l’amore per Dio in coloro a cui dirige le sue parole parlando dell’amore di Dio per gli uomini. Esso nasce dalla predicazione dei Padri della Chiesa, pone da un lato sia il linguaggio della teologia scolastica che di quella postconciliare. Al tempo stesso rimane nell’attività del Papa la memoria del cardinale Ratzinger: e ciò appare soprattutto nell’accento posto sui temi della vita, del sesso e della famiglia, omogeneamente a Giovanni Paolo II. Il carattere misterico e mistico dei discorsi si associa con insistenza con il grande tema dei rapporti della civiltà umana come la scienza e la tecnica. E con quello che ne segue per riferimento alla posizione della Chiesa. Questa è la parte più nota perché è quella che maggiormente incide sugli aspetti sociali del papato e anche sulle dimensioni politiche del dibattito.

Ma è però assente nella posizione di Papa Benedetto un interesse sui temi che fanno oggetto del dibattito politico attuale: ad esempio i temi della pace e dell’ambiente. L’attenzione del Papa si concentra sui temi che riguardano direttamente la Chiesa e quindi sulla sua dimensione liturgica di comunità orante. Non c’è in lui traccia della retorica politica di tanta predicazione che non parla dell’essenziale, cioè del mistero divino comunicato all’uomo ma solo fa considerazioni ovvie corrispondenti al politicamente corretto. Il Papa intende condurre la Chiesa alla concentrazione sul mistero della vita divina che l’abita e sulle conseguenze che ne vengono nei temi fondamentali della vita umana. Si può dire che intende dare un quadro liturgico oltre la sua azione, a considerarla cioè come partecipazione vissuta dalla vita divino umana quale centro dell’esperienza ecclesiale. Nessuno dei temi che hanno caratterizzato il postconcilio, nemmeno quello dell’ecumenismo o delle altre religioni, assume in lui un forte connotato, evidentemente ritiene che sia più importante porre l’accento sulla comprensione che la Chiesa ha di se stessa e quindi del mistero divino che la abita. Un Papa mistico ed ecclesiale che intende riportare le attività della Chiesa al centro di essa e vuole evitare di parlare un gergo astratto e grigio in cui i conflitti delle cose vengono risolti nei giochi delle parole.

Liberal n. 40 - maggio-giugno 2007


Non sono del tutto d'accordo con questa analisi del pur ottimo Baget Bozzo. Innanzitutto Papa Benedetto non e' mai stato un profeta di sventura ma semplicemente un "profeta" inteso come colui che coglie, con anni di anticipo, l'evoluzione dei tempi.
Da teologo e poi da cardinale (ora da Papa) ha elencato con una lucidita' fuori dal comune i problemi che ora ci troviamo ad affrontare.
Pensiamo alla lettera alle donne, tanto criticata quando fu redatta, ora elogiata per il fatto che anticipa la necessita' di una differenzione di genere fra uomo e donna, tema di scottante attualita'.
Inoltre le tematiche ecologiste sono ben presenti nei discorsi del Papa, cosi' come i richiami alla pace.
Certo! Non sono e non possono essere i soli temi affrontati da un Pontefice. Ben piu' importanti sono l'evangelizzazione e la "catechizzazione" dei Cristiani, ma e' sbagliato affermare che i temi sociali non sono presenti nel Magistero di Papa Benedetto
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Raffaella

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