28 maggio 2007

Aggiornamento della rassegna stampa del 28 maggio 2007 (1)


Vedi anche:

Il Concilio Vaticano II secondo Papa Ratzinger (discorso in occasione degli auguri natalizi alla Curia romana)

Papa Ratzinger concede udienza al Prof. Alberigo

LA SPERANZA DELLA SALVEZZA PER I BAMBINI CHE MUOIONO SENZA BATTESIMO

Rassegna stampa del 28 maggio 2007

Qualche riflessione sull'atteggiamento dei media...

SPECIALE: Il documentario della BBC dice il falso: ecco le prove!

Traduzione dei canoni 15-19 del "Crimen sollicitationis"

Appello contro il documentario della BBC


CRISTIANESIMO Un'edizione filologica con le decisioni dei primi sette concili ecumenici

Chiesa, la tradizione è viva se riesce a cambiare

Da Nicea al Vaticano II, il dinamismo continuo della fede

di Alberto Melloni

N i-co-e-ca, co-co-ni-co, la-la-la-la, lu-lu-vi-co... Questa filastrocca girava fra gli studenti che dovevano memorizzare la serie dei concili classificati come ecumenici: concili che da sempre attirano l'attenzione degli studiosi e di cui Giuseppe Alberigo ha coordinato una nuova edizione critica, che rimette al centro l'istituzione nella quale, come diceva il Bellarmino, «c'è più grazia». Grazia che viene dalla serie (di cui la filastrocca faceva stato) che inanellava i concili di tutti i cristiani con quelli che lo stesso Bellarmino includeva per dare forza alla riformatrice discontinuità del concilio di Trento.
La filastrocca incastra, infatti, le iniziali dei quattro concili «uguali ai Vangeli» di Nicea, Costantinopoli, Efeso e Calcedonia, con quelle dei concili Costantinopolitani II e III, e il Niceno II: i sette concili che sia l'ortodossia greca e russa, sia il cattolicesimo latino e uniate, sia le Chiese della Riforma, riconoscono come ecumenici. Al di là di questa soglia del 787, stanno le vicende del Costantinopolitano IV e i concili generali della Chiesa d'Occidente (i Lateranensi, i Lugdunensi tenuti a Lione, quelli di Vienne, Costanza e Basilea, Ferrara e Firenze), con i quali Bellarmino riempie lo spazio che porta ai concili che solo la tradizione latina chiama ecumenici: il concilio di Trento e il Vaticano I, e infine, almeno per ora, al Vaticano II, al quale parteciparono anche cristiani non cattolici in un ruolo distinto e rilevante.
I sette concili estesi dall'imperatore cristiano all'episcopato e alle autorità cristiane di tutto l'«universo» (l'ecumene) nascono da un tessuto assai più fitto di concili e sinodi di rango locale, nei quali non solo i vescovi, ma anche altre figure partecipavano al governo della comunione ecclesiale: ma si distinguono da essi perché Costantino e la sua corte decidono di farne uno strumento orientato a dare alla Chiesa l'unità di cui essa aveva bisogno come l'impero. Così il concilio diventa un senato generale, con padri e rappresentanti politici, votazioni e discorsi, e perfino con lo scranno imperiale su cui non siede il sovrano, ma il libro dei Vangeli, norma ultima della vita di fede.
Tali decisioni dal Cinquecento in poi vennero pubblicate in monumentali collezioni come quella Amplissima
collectio che un dotto lucchese, Gian Domenico Mansi, produce dal 1759 e di cui si sta avviando la digitalizzazione. A fine Ottocento un dotto come Denzinger ne estrarrà delle brevi proposizioni che definiscono verità di fede e le annega, insieme ad atti papali ed altri documenti, in una raccolta (detta per antonomasia « il
Denzinger») che documenta una fede ridotta allo scheletro dei suoi enunciati dogmatici. Dopo il 1959, con l'annuncio di un concilio che i massimalisti del papato ritenevano inutile per via della definizione sull'infallibilità del romano pontefice, Giuseppe Dossetti progetta e fa produrre un volume che contiene l'intera serie delle decisioni e che consegna a Giovanni XXIII nel 1962, insieme agli allora giovani curatori (Giuseppe Alberigo, Paolo Prodi, Boris Ulianich, Claudio Leonardi, Pericles Joannou).
Da allora ad oggi la conoscenza dei concili è cresciuta a ritmi vertiginosi, per impulso sia di tanti studi specialistici sia della esperienza conciliare che ha visto celebrare concili a Mosca e Roma, preparare all'infinito il Grande concilio panortodosso, nascere un «consiglio» ecumenico delle Chiese. E così è nato il bisogno d'una nuova edizione critica di quelle decisioni, lavorata da specialisti di rango di ciascuno dei concili, articolata in base all'ecumenicità propria a ciascun evento: e sotto la direzione di Giuseppe Alberigo, che vi ha riversato questi suoi ultimi anni di ricerca e di relazioni, esce appunto nella prestigiosissima collana del Corpus Christianorum di Brepols. Una edizione non certo popolare (i testi sono in greco, con la loro versione latina a fronte...), ma preziosa: e non è un caso che papa Benedetto XVI, su richiesta del cardinal Caffarra, abbia concesso una udienza privata ad Alberigo, che gli ha potuto offrire il volume lo scorso 7 febbraio.
Questa impresa editoriale così specialistica, però, consente anche di tornare a riflettere non solo sulle scelte, ma anche sul significato storico dei concili attorno ai quali le Chiese cristiane hanno in comune più di quanto le divida. Perché i concili – su questo tutte le Chiese concordano – esprimono una autorità dottrinale massima e confessano la fede senza possibilità di errare: la stessa infallibilità che il concilio Vaticano I riconosce e limita nel papato, è in possesso del concilio, perché solo là dove la comunione è vissuta ed espressa è possibile un atto di fede conforme alla verità rivelata e viceversa. Questa autorità è evidente nei concili antichi, nei quali l'insieme della Chiesa si aduna per trovare una chiarezza dottrinale che le è improvvisamente diventata necessaria: e questa chiarezza è tanto più forte quando la legge della preghiera e quella della fede rimangono all'interno d'un unico circuito. È così che nascono alcune delle decisioni conciliari, fra le quali la più nota anche a chi ne ignora le origini è quel «credo» che si ripete in tutte le liturgie e che è la filigrana d'una ininterrotta riflessione teologica che arriva fino alla Introduzione al cristianesimo dell'allora professor Ratzinger, oggi nota anche al grande pubblico.
Le decisioni conciliari non costituiscono dunque né un atto di mera eversione rivoluzionaria, né un atto di inerte ripetizione di qualcosa di già detto. Sono atti di dirompente fedeltà, di umile audacia intellettuale: perché partono dalla convinzione che è proprio la fedeltà alla rivelazione e al mistero di Cristo che impone una ricerca non sempre gradita a coloro che confondono il pigro immobilismo della mente con la custodia della verità. I sette concili di questo primo volume (dal 325 al 787) testimoniano di questo sforzo che introduce nel cristianesimo categorie teologiche, principi filosofici, postulati antropologici di cui, insieme agli irrinunciabili pregi, l'odierna estensione della cattolicità mostra il limite davanti a nuovi popoli e nuove culture cui la Chiesa comunica la fede e non un sistema intellettuale.
Nella piccola babele aperta dai lefebvriani contro il Vaticano II («rottura della tradizione!») riaffiora dunque un atteggiamento liquidatorio che alla fine fa torto proprio al senso alto, maiuscolo della Tradizione e al dinamismo che la rende viva e vitale, di quella vita che la dottrina cristiana ritiene azione dello Spirito. Ma anche fra i non lefebvriani affiora più o meno velata l'idea che a causa di quell'evento ci sono state turbolenze e crisi che in realtà venivano da prima: e a queste tiepidezze la storia dei concili insegna che la vita della Chiesa funziona in modo diverso. Pensati come progressisti o restauratori, temuti per ciò che significano, essi sono qualcosa che accompagna la Chiesa e che solo col senno di poi, guardandoli nei loro frutti, si riconoscono per ciò che sono stati, come una moneta di bronzo si distingue in mezzo alle monete d'oro e viceversa.

Corriere della sera, 28 maggio 2007


L'INDISCREZIONE

Alberigo: «Il Papa lascerà i suoi documenti a Bologna»

Il 7 febbraio scorso il Papa ha ricevuto Giuseppe Alberigo, che gli ha portato in dono il primo volume dei Conciliorum oecumenicorum generaliumque decreta.
Alberigo, storico del Concilio Vaticano II e curatore dell'opera, non era allora al suo primo incontro con il «professor Ratzinger».

«Ci siamo conosciuti al Vaticano II, lavorando in varie occasioni insieme, soprattutto nelle drammatiche fasi che precedettero l'approvazione della Lumen Gentium », ha tempo fa confidato al Corriere. «Un rapporto di stima e di confidenza che è proseguito dopo, quando l'allora arcivescovo mi chiamò a tenere una lezione sulla figura del vescovo al momento della sua consacrazione episcopale, e poi durante i lavori per la stesura della Storia del concilio Vaticano II, i cui volumi gli sono sempre stati portati in dono e sono stati occasione di conversazioni che, com'è normale con Ratzinger, non sono mai banali».

E in quegli incontri si parlò dell'archivio Ratzinger...

«Sì, è stato di sua iniziativa, nel 2001, poco prima che Giovanni Paolo II ci ricevesse per ricevere il quinto volume della storia del concilio, che l'allora cardinale, impressionato dal modo in cui gli studiosi coinvolti nell'impresa avevano messo a frutto gli archivi di tanti padri e periti conciliari, mi disse che aveva deciso di non lasciare i propri documenti sul Vaticano II alla sua prima università, quella di Bonn, ma all'Istituto che dirigo a Bologna, dopo il suo pensionamento».
Incontrandolo da Papa qualche tempo fa, continua Alberigo, «mi sono permesso di chiedergli se il papato è quel pensionamento di cui parlava. Mi ha naturalmente detto che non è in pensione, ma ha precisato che quella sua disposizione, pur lasciando libertà di non ottemperare le sue volontà al suo esecutore testamentario, è rimasta scritta come era nel suo testamento. Un gesto di cui gli sono profondamente riconoscente e che onora l'istituzione che dirigo».

Corriere della sera, 28 maggio 2007

Eh si' la classe non e' acqua!!! :-)

Nessun commento: