21 aprile 2007

UN EDITORIALE DI GIULIO MEOTTI SUL WALL STREET JOURNAL



Spiegare agli americani un Papa tedesco e perfino illuminista

In Vaticano circola una barzelletta. Il teologo svizzero progressista Hans Küng si reca in Paradiso a discutere le proprie teorie con san Pietro. Dopo l’incontro, esce in lacrime: “Come ho potuto sbagliare tanto?”.
Tocca al prete eretico Leonardo Boff ed esce in lacrime: “Come ho potuto sbagliare tanto?”. Poi è la volta di Joseph Ratzinger, il tedesco che è diventato Papa come Benedetto XVI. Alla fine dell’incontro, è san Pietro che esce in lacrime: “Come ho potuto sbagliare tanto?”.
Joseph Ratzinger è il primo “Papa teologo” da molto tempo. Uno scrittore di cose vaticane una volta ha detto che nessun altro tedesco dai tempi di Martin Lutero ha avuto un effetto così profondo sulla chiesa. Mentre Karol Wojtyla era un grande prelato, Joseph Ratzinger è l’autore dei manuali usati nei seminari e nelle università. Allo stesso tempo, è capace di insegnare teologia agli umili e ai bambini. Nei suoi venticinque anni come capo della congregazione per la Dottrina e la fede, precedentemente nota come la Santa Inquisizione, il cardinale Ratzinger era noto per le sue visioni ortodosse e tenaci.
Ma a due anni dall’elezione papale, e a pochi giorni dal suo ottantesimo compleanno, ha stupito coloro che temevano il “Rottweiler di Dio”.
Benedetto XVI finora ha scritto un’enciclica, intitolata “Deus Caritas Est”, Dio è amore – non esattamente il tema che ti aspetteresti da un “Panzer Pope”. E’ uno dei documenti più inclusivi della teologia cattolica.
Non erano molti a creder che un pastore bavarese, il figlio di un gendarme tedesco, sarebbe diventato, in soli due anni, uno dei pontefici più popolari nella storia. I numeri non mentono. Raddoppiati per quanto riguarda le persone che affollano piazza San Pietro rispetto a quelli già alti di Giovanni Paolo II. Küng, uno dei più celebri dissidenti del cattolicesimo romano, riconosce che “Benedetto è aperto a idee nuove”. Entrambi insegnavano all’Università di Tubinga negli anni Sessanta, una sorta di Mecca dei cattolici progressisti, e allora Küng amava deridere il collega per le sue aule vuote. Joseph Ratzinger non diceva ciò che gli studenti nel 1968 volevano sentire. L’ex architetto del Kulturkampf di Giovanni Paolo II accetta serenamente le sfide della secolarizzazione. Ha dimostrato di non essere quel “rigido inquisitore” come lo chiamavano. Nel 1979 il Vaticano revocò a Küng la licenza di insegnare teologia cattolica per aver messo in discussione l’infallibilità del Papa. Giovanni Paolo II non ha mai incontrato o parlato con Küng per un quarto di secolo. Papa Benedetto XVI lo ha ricevuto dopo solo un anno.
Se il cardinale Ratzinger sorresse la fede, Papa Benedetto deve diffonderla. Sa che non può sperare nelle conversioni di massa o nell’evangelizzazione di intere popolazioni.
Ma può lavorare per una “cristianità visibile e orgogliosa”. Ovviamente non aprirà mai ai preti sposati e alle donne, ma non è un Papa convenzionalmente conservatore. E’ il Papa dell’inedita apertura al dialogo con i non credenti, il pontefice della persuasione razionale.
Dopo tutto era un giovane peritus (consulente) al Concilio Vaticano II, che ha profondamente modernizzato la chiesa cattolica, consentendo l’uso delle lingue nazionali nella liturgia, aumentando la partecipazione del laicato e aprendo al giudaismo, condannando l’antisemitismo. Ratzinger adesso vuole aprire la chiesa ancora di più al mondo. Il suo approccio alla crisi della cristianità non è difensivo, la sua riflessione sulla marginalizzazione della religione è spesso basata sull’autocritica. Il columnist Andrew Sullivan scrisse che Benedetto XVI è “immune dalla ricerca razionale”. Non potrebbe essere più nel torto. Benedetto XVI è noto come un “Papa illuminista” in un’era in cui la ragione ha pochi difensori. Il Papa è terribilmente consapevole dell’oppressione portata dall’irrazionalità: nell’infanzia, era il nazismo; fino al collasso dell’Unione Sovietica era il comunismo; oggi, come dice, è la “dittatura del relativismo”, il rifiuto di norme assolute, e l’islam radicale.
La sua “lectio magistralis”, tenuta all’Università di Ratisbona nel settembre scorso, ha scatenato una polemica feroce non appena ha esplorato le sue teorie sulla relazione fra ragione e fede. L’una richiede l’altra, ha detto il Papa, se l’umanità vuole sfuggire a quelle che ha chiamato le “patologie e malattie mortali della religione e della ragione” – in altre parole,
fanatismo politicamente e religiosamente ispirato. Come Papa, Joseph Ratzinger guarda ad Atene e Gerusalemme, dalla cui unione, dice orgogliosamente, è nato “l’occidente”. “Il vicendevole avvicinamento interiore, che si è avuto tra la fede biblica e l’interrogarsi sul piano filosofico del pensiero greco, è un dato di importanza decisiva non solo dal punto di vista della storia delle religioni, ma anche da quello della storia universale… Quest’incontro, al quale si aggiunge successivamente il patrimonio di Roma, ha creato l’Europa”.
In altre parole, un “islam europeo” deve passare attraverso un simile processo di convergenza. Il Papa ha suggerito che solo un islam temperato dal logos, che in greco significa sia “ragione” sia “parola”, può prendere parte a un dialogo interreligioso significativo. “Dio agisce attraverso il logos” e così fa il suo rappresentante sulla terra.
“Questo sarà un pontificato di concetti e parole” ha detto il portavoce di Karol Wojtyla Joaquín Navarro-Valls quando il cardinal Ratzinger fu eletto Papa. Il secolo scorso non aveva conosciuto un pontefice con un linguaggio così chiaro.
Joseph Ratzinger è uno scrittore infaticabile così come Karol Wojtyla era un attore e un viaggiatore. E’ un amante delle parole che rivolge in modo rigoroso, ma sempre pacato, come un gentile pastore, a un miliardo e ventisette milioni di fedeli. Non teme gli scandali, come quando concesse udienza privata a Oriana Fallaci, la bellissima provocatrice e flagello del fanatismo islamico.
Usa parole forti contro il nichilismo del terrore islamico e a favore dell’esistenza di Israele come stato sovrano e “segno della libera scelta di Dio”. Questo timido studioso, che durante i suoi giorni di Tubinga meditava sul detto di sant’Agostino “in interiore homine habitat veritas”, non ha mai smesso di cercare e battersi per la verità.

Giulio Meotti
dal Wall Street Journal del 20 aprile 2007

Nessun commento: