29 aprile 2007

Rassegna stampa del 29 aprile 2007


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Oggi a "Buona domenica"

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Oggi a "Buona Domenica", su Canale 5 dalle 13.35 e alle 18.45, la conduttrice Paola Perego intervisterà il vaticanista di "Repubblica" Marco Politi, che presenterà il nuovo libro di papa Benedetto XVI "Gesù di Nazaret".

Libero, 29 aprile 2007


VOCAZIONI: EMERGENZA INEDITA

La libertà negata ai figli. Se chiama Dio

Dino Boffo

Caro Direttore, che oggi, in una società che fa dell'assenza di Dio il proprio orizzonte, sia arduo e impopolare indossare i panni della fede già lo sapevo. Ma mai avrei potuto immaginare che esprimere, sia pure solo come desiderio, una personale vocazione alla consacrazione religiosa, potesse procurarmi una sequela di insulti, di irrisioni, di pervicaci incredulità, come quella che io ho incontrato. Ho 29 anni e solo da poco ho prepotentemente riscoperto il dono della fede. L'amore per Gesù Cristo sta lentamente ma inesorabilmente mutando la mia vita, tanto da fermentare come desiderio di una vocazione al dono totale. Eppure, i commenti che mi inseguono tradiscono una clamorosa mancanza di rispetto, non tanto a me (certo anche a me), quanto a tutti coloro che riconoscono nel Vangelo l'unica bussola della propria esistenza. In alcuni affiora persino il disprezzo e il biasimo per una scelta di vita che ritengono "perdente", "piena di rinunce". Ebbene, con queste righe voglio gridare al mondo che non mi arrendo, che resisterò alle tentazioni che il mondo mi propina con l'obiettivo di neutralizzare e ancor più estirpare per sempre la mia volontà di seguire il Signore. Lui mi darà la forza. Firmato: C. Dentello.
Un incipit singolare, questo, per un fondo di giornale. Ma ho preferito riportare per intero, e non solo citare, il testo di questa lettera ricevuta nei giorni scorsi, perché la denuncia che essa imprigiona possa deflagrare meglio.
Il dramma che ci racconta non è quello di un giovane soltanto. Sappiamo da varie parti che oggi c'è un'emergenza sul fronte dei diritti umani di cui nessuno parla, quella della vocazione religiosa ostinatamente (violentemente) impedita. E che pure sarebbe una declinazione immancabile di quella libertà che si pensa non negata ad alcuno. Invece.
Il fenomeno non è del tutto nuovo. Oggi però questa forma di violenza, anche se appare incredibile per i non addetti ai lavori, è sempre più diffusa, ed è c ausa di disagi profondi, lancinanti, in chi la vive in prima persona. Avvertire una chiamata interiore, una fascinazione piena, un trasporto insoffocabile e non poter, ad un tempo, esprimere e verificare quel che si sente: ecco il dramma. Percentualmente è un numero significativo quello dei seminaristi che hanno dovuto affrontare una vera e propria battaglia dentro le mura domestiche per dar corso al proprio progetto di vita. La controprova evidentemente non c'è: chi può sapere quante sono le persone che infine rinunciano? Che, per non creare troppe lacerazioni attorno a sé, chinano il capo e lasciano perdere?
Ragionando dunque sui casi noti, sappiamo che non raramente si raggiunge in famiglia un armistizio appena: questi giovani sono magari già al terzo o quarto anno di teologia ma la cosa non si è ancora appianata. Quando tornano a casa, è tutto un guardare di sottecchi, per catturare una qualche incertezza e poter sopraffare. Per intanto, non si accetta neppure di conoscere gli educatori del seminario, ritenuti per lo più gli ammaliatori del figlio.
Perché succede tutto ciò? Non si vuole che il figlio tradisca le aspettative per anni cullate dai genitori? Ma quanti sono i giovani che, alla prova pratica, non assecondano papà e mamma? E quindi? Si ritiene forse che quello del prete sia un "mestiere" da infelici, se non da falliti, tale da non garantire il giusto consenso sociale? Oppure, saltati gli schemi, si ha paura che Dio si insedii nella vita del figlio ma anche nella propria? I motivi veri - riconosciamolo - sono serrati nel cuore dei genitori, a volte così bene che neppure gli stessi genitori trovano più la chiave. Ma a quel cuore non è possibile, in questa giornata delle vocazioni, non andare tutti idealmente a bussare.
Lasciate che Dio compia i suoi miracoli, inattesi e sorprendenti. Che squarci come una saetta anche il sereno cielo d'estate. Se egli c'è - e noi crediamo che ci sia, e riteniamo altresì che l'ipotesi della sua esistenza sia la più r azionale e convincente - se c'è, egli non può non chiamare. Anzi, è il-Sempre-Chiamante.
Tappargli la bocca nella vita dei nostri figli, è una doppia, inaudita violenza.
Toc, toc: a bussare è un popolo intero.

Avvenire, 29 aprile 2007


I DATI DI UN'INDAGINE AMERICANA

Fare il prete la professione più felice

Giacomo Samek Lodovici

Nietzsche lo diceva con la sua tipica virulenza: «mi fanno pena questi preti […] per me essi sono dei prigionieri e dei marchiati. Colui che essi chiamano redentore li ha caricati di ceppi. Di ceppi di falsi valori e di folli parole! Ah, se qualcuno potesse redimerli dal loro redentore!». E la sua convinzione - temiamo - è molto diffusa: i preti sono degli infelici e dei frustrati. Ma oggi, Giornata delle vocazioni, possiamo riferire di uno studio che smentisce completamente questa visione. Infatti, da una ricerca del General Social Survey dell'Università di Chicago, risulta che i membri del clero sono la categoria "professionale" più felice e gratificata negli Stati Uniti. Il dato si riferisce al periodo 1972-2006 ed è stato ricavato su un campione di più di 50.000 americani. I ricercatori si aspettavano che le professioni più gratificanti fossero quelle più prestigiose e remunerate. Invece, a dispetto del disprezzo con cui sono spesso visti e del loro modesto salario, i più soddisfatti del loro lavoro sono risultati proprio preti e pastori. È vero, ci sono preti che lasciano il loro ministero: dal 1964 al 2004 i sacerdoti cattolici che hanno abbandonato il loro status sono stati 69.063. Non c'è da stupirsi, visto che la Chiesa è stata sconquassata da molte tempeste. Ma, nonostante queste tempeste, 11.213 di loro sono poi ritornati indietro, pentiti della loro scelta. Quale può essere, allora, la ragione dei dati americani sopra citati? Già questa ricerca spiega che gli uomini più felici sono quelli che si dedicano agli altri e che hanno individuato un senso della vita. Cioè il ritratto della vocazione dei membri del clero. In effetti, cercando di approfondire, l'esperienza certifica l'esistenza di una connessione tra amore e felicità: tutto ciò che facciamo per amore ci risulta meno gravoso e, anzi, spesso, è tanto gioioso quanto più è intenso l'amore che proviamo. Ad esempio, fare un lavoro non interessante per puro senso del dovere o solo per guadagnarmi da vivere è molto faticoso; mentre farlo per amore di mia moglie, dei miei figli, di Dio se ho senso soprannaturale, può diventare gratificante, come molte persone possono confermare. Infatti l'amore può trasfigurare le nostre azioni e anche i nostri sacrifici rendendoli gioiosi. Ancora, lo stesso Nietzsche diceva giustamente che chi detiene un senso della vita può sopportare qualsiasi cosa. Ebbene, a dispetto delle rappresentazioni fuorvianti del cristianesimo, che lo descrivono come una prigione di estenuanti doveri e divieti, in realtà, la sintesi dei comandamenti, l'essenza della morale cristiana incarnata dai sacerdoti, è il comandamento dell'amore: «Amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua forza» e «il prossimo tuo come te stesso» (Mc 12, 29-31). Da questo comandamento scaturiscono tutti gli altri. Non solo, ma questo comandamento dell'amore coincide con il senso della vita.

Avvenire, 29 aprile 2007


IL PERSONAGGIO
Parla Henry Kissinger: "La Russia va capita, vuol essere un grande Paese"

"Mosca sia moderata ma merita rispetto"

Cresce il gap tra Europa e America: voi non riuscite più a chiedere sacrifici ai vostri cittadini

MARCO POLITI

CITTA´ DEL VATICANO - «La Russia va capita, ha perso trecento anni di storia, è tornata alle frontiere di Pietro il Grande. La sua ambizione è comprensibile e legittima. Vuole essere un grande Paese. Ma come intende esercitare il suo ruolo? È importante rispettare la Russia, ma anche che sia moderata».
Alla Casina di Pio IV, sede dell´Accademia pontificia delle Scienze, Henry Kissinger interviene sul rigelo Est-Ovest e fa l´analisi della politica internazionale. Un breve incontro con i giornalisti, un´ora di relazione (a porte chiuse) agli accademici convocati dalla presidente Mary Ann Glendon per uno studio del multilateralismo.

In Vaticano la lezione del politico ultraottantenne è un evento. «Ho incontrato tre papi», confessa a Repubblica l´ex Segretario di Stato americano.

Professor Kissinger, che ricorda di Wojtyla?

«La prima volta, che venne in America, gli domandai perché nel suo discorso aveva toccato temi che potevano risultare sgraditi al pubblico. Il controllo delle nascite, ad esempio».

E Giovanni Paolo II come rispose?

«Raccontò: "Sono stato eletto in una fase in cui la Chiesa era molto politicizzata. Io devo basarmi sulla verità e bisogna tornare alla verità. Se me ne allontanassi, la Chiesa diventerebbe una mera agenzia sociale". Io sono un grande ammiratore della Chiesa cattolica e appartengo alla minoranza a cui piacque il discorso di Benedetto XVI a Ratisbona».

Che cosa le piace dell´intervento di papa Ratzinger?

«Non condivido ogni frase, ma approvo il punto fondamentale. Nel dialogo fra religioni servono regole basilari. La prima è quella proveniente dalla cultura greca e recepita dalla tradizione cristiana: il ruolo della ragione. Rispettare l´opinione altrui, anche se non sono d´accordo. E non che una sola religione determini cosa è la verità».
Un breve incontro con i giornalisti, un´ora di relazione agli accademici convocati dalla presidente Mary Ann Glendon per uno studio approfondito del multilateralismo. Kissinger evoca gli scenari mondiali. L´Europa ha conosciuto in passato l´equilibrio delle potenze, un´esperienza che la Cina non ha mai fatto. Pechino ha sempre dominato i suoi vicini, tranne quando era debole. L´Europa va verso l´unione, ma si apre anche un gap con l´America. «Fino alla metà del Novecento gli stati europei potevano esigere sacrifici dai loro cittadini in nome della nazione. Oggi non più. Ma se la soddisfazione del presente è lo scopo principale, cala la capacità di fare sacrifici per motivi interni o internazionali. Questo è una della cause più profonde del disaccordo tra Europa e America. L´America, a torto o a ragione, è ancora in grado di chiedere sacrifici ai suoi cittadini».
E c´è il problema della Cina. «Il centro di gravità mondiale si trasferisce sul Pacifico», Pechino esige il pari equilibrio con l´Occidente. «Credo che l´ascesa della Cina sia inevitabile - ha continuato la sua lezione Kissinger - e dobbiamo imparare cosa significa per il mondo. Certo è sbagliato proteggere la Cina in una crescita dell´11 per cento all´anno per un futuro indefinito». Però bisogna anche aprire un discorso con le nuove generazioni cinesi, perché credano nella «possibilità della cooperazione» con l´Occidente, cosa che non fa parte della loro storia.
Mr. Kissinger, ce la farà l´America uscire dalla trappola irachena e afgana?
«Non è un problema solo americano. Non vogliamo che alla fine gli elementi più radicali credano che possono vincere in ogni situazione».
E la crisi con l´Iran?
«Se a Teheran non si evita la proliferazione nucleare, altri cinque paesi seguiranno e vivremo in un mondo molto pericoloso. Ci vuole una soluzione diplomatica, ma appunto una soluzione: la diplomazia non può essere una scusa».

Repubblica, 29 aprile 2007

Che strano! Politi sembra molto indulgente con Papa Wojtyla che toccava gli stessi temi di Benedetto XVI...
Dovremmo approfondire questo aspetto :-)

Raffaella


Don Adriano Vincenzi del Toniolo e la campagna elettorale
«La Chiesa non si schiera Difende valori e principi»

Sono le prime elezioni dopo la visita a Verona di Benedetto XVI in occasione del quarto convegno nazionale della Cei. E il suo messaggio viene ripreso oggi dalla diocesi veronese: «La Chiesa non è e non intende essere un agente politico»
Ma all’apertura della campagna elettorale come viene vissuta questa competizione per il sindaco?
«Si chiede spesso, in ogni periodo elettorale, da che parte sta il mondo cattolico», risponde don Adriano Vincenzi, vicario episcopale per la cultura e il sociale e al quale fa riferimento la scuola di formazione socio-politica, «ma ha già risposto molto bene padre Flavio: la Chiesa non guarda né a destra né a sinistra, noi guardiamo in alto. Questo per dire che non si vuole interferire in una competizione democratica per il futuro della città».
Ma questo non rischia di sembrare un atteggiamento troppo distaccato?
«Guai se le elezioni assorbissero tutta l’attenzione e non ci fosse più spazio per i problemi quotidiani. La campagna elettorale è un momento importante della vita di una città, ma non va assolutizzato; lo si deve rapportare tutti i giorni alla vita ordinaria e non dimenticare il bene comune. La Chiesa», aggiunge don Adriano, «ha un interesse profondo per il bene della comunità politica».
Insomma, è il momento di entrare nel concreto?
«Sicuramente un altro degli aspetti dal non perdere di vista è quello dei programmi: occorre favorire il confronto sulle proposte concrete, al di là delle alchimie», risponde il presidente della Fondazione Toniolo. «Bisognerebbe avere il coraggio», aggiunge, «dopo tanto tempo dedicato alle orchestrazioni, di aprire il confronto sui problemi di questa città e promuoveremo, questa prospettiva, gli incontri tra i candidati delle maggiori coalizioni per agevolare l’incontro tra la politica e i cittadini. Non dimentichiamoci di loro».
Ha ancora un senso invocare una etica politica? «Papa Benedetto XVI a Verona ha parlato dei valori non negoziabili, messaggio più attuale che mai. Occorre fronteggiare, con determinazione e chiarezza di intenti, il rischio di scelte politiche che contraddicano fondamentali valori e principi antropologici ed etici radicati nella natura dell’essere umano, in particolare riguardo alla tutela della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, e alla promozione della famiglia fondata sul matrimonio, evitando di introdurre nell’ordinamento pubblico altre forme di unione che contribuirebbero a destabilizzarla, oscurando il suo carattere peculiare e il suo insostituibile ruolo sociale».

L'Arena, 29 aprile 2007

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