28 marzo 2007

Ratzinger: l'ultimo uomo sano


Ecco lo straordinario editoriale di Luigi Amicone, tratto dalla rivista "Tempi":

L'ultimo uomo sano

Sfida Nietzsche e le maledizioni dell'islam radicale, non si inchina davanti ai preti del secolarismo.
E in un tempo in cui "qualsiasi cosa va bene", papa Benedetto XVI
ha "qualcosa" di meglio da dire


di Amicone Luigi

E sentì stranamente uno straniero dire: io sono con te. Rainer Maria Rilke

Ama i gatti. Si procura grane. Guarda i Tg di prima serata. Chi dite che sia Benedetto XVI? Per lo scrittore spagnolo, laico e anticlericale, Francisco Umbral «Ratzinger, diciamo cosí, è l'ultimo uomo sano». E che sanità. Nella sua prima enciclica discute e contrattacca a viso aperto il filosofo dell'odio per i dati di fatto, dell'al di là del bene e del male, della morte di Dio e dell'eros come piacere di buttarsi via. Supera la prova più dura, Ratisbona, e lo straordinario esercito lanzichenecco che si accampa fin sotto le mura del Vaticano con una copia dei versetti satanici del New York Times in una mano, una copia della fatwa khomeinista contro "i crociati e il satana americano" nell'altra. Senza uno straccio di solidarietà in nessuna parte del mondo, sconsigliato da tutti dall'andare in Turchia, atterra ad Ankara come nemico pubblico numero uno e riparte da Istanbul portando con sé a Roma un formidabile capitale di simpatia da parte dell'uomo islamico medio, semplice e popolare. Entra di schianto nel dibattito sulla laicità e fa ripartire il mondo cattolico italiano dal congresso di Verona con l'indicazione chiara e forte, per nulla equivocabile con l'alibi del babau Ruini, «a fronteggiare con determinazione e chiarezza di intenti il rischio di scelte politiche e legislative che contraddicano fondamentali valori e princìpi antropologici ed etici radicati nella natura dell'essere umano, in particolare riguardo alla tutela della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, e alla promozione della famiglia fondata sul matrimonio, evitando di introdurre nell'ordinamento pubblico altre forme di unione che contribuirebbero a destabilizzarla, oscurando il suo carattere peculiare e il suo insostituibile ruolo sociale». E davanti ai timori di qualche porporato per i cosiddetti "atei devoti", raccomanda ai cattolici di rimanere aperti a chiunque senta «con crescente chiarezza l'insufficienza di una razionalità chiusa in se stessa. formulata espressamente e con forza da parte di molti e importanti uomini di cultura, anche tra coloro che non condividono o almeno non praticano la nostra fede».
Non si pente di contribuire ad affossare i Dico. E rinnova ogni giorno, davanti al popolo, la determinazione a farsi insolentire da qualsiasi mezzobusto televisivo pur di non rinunciare a una ragionevole difesa degli umani "princìpi non negoziabili". Non retrocede di un millimetro davanti alla "supplica" degli intellettuali cattolici che reclamano "autonomia" e, forse, anche il "libero esame" di Lutero. E intanto scrive, scrive, scrive. Sembra che abbia fretta, questo Papa. Sembra che non voglia farsi trovare senza parole nel momento in cui "Dio dirà l'ultima parola". Sembra che abbia un voto da sciogliere davanti al Dio degli eserciti. E ai potenti davanti ai quali si trova senza quasi nemmeno una compagnia di picchetto.
Già, cosa aveva detto predicando l'8 aprile del 2005 sulla bara di Giovanni Paolo II, il suo grande amico Wojtyla, che lo aveva richiamato a Roma dalla tranquillità dei suoi studi teologici bavaresi, che lo aveva messo a capo della più importante delle congregazioni pontificie, quella che vigila sul depositum fidei, e che probabilmente aveva preparato la via alla sua elezione in Conclave? «"Seguimi", dice il Signore risorto a Pietro, come sua ultima parola a questo discepolo, scelto per pascere le sue pecore». Cosa aveva detto, solo due mesi prima, sulla bara del suo amico don Giussani? «Vedendo Cristo, realmente, ha saputo che incontrare Cristo vuol dire seguire Cristo». E ora eccolo là, sulla navicella, a reggere il timone di Santa Romana Chiesa, costretto ad andare dove forse non vorrebbe andare il suo carattere schivo e affabile.

La continuità con Wojtyla

Ama la musica di Mozart. Compirà 80 anni il 16 aprile. Viene da una modesta famiglia di contadini della Bassa Baviera. Chi dite che sia Benedetto XVI? Un Papa «peggio di Pio XII» arrischia un quotidiano comunista (d'altronde, disse a questo giornale il collega e storico Paolo Mieli: «La leggenda nera su Pio XII è stata inventata dai comunisti per vendicarsi del Papa che li aveva scomunicati»). Ora che sono gli ex e i neo comunisti a pretendere di scomunicare il Papa, Benedetto XVI non si fa intimidire. Poiché egli ascolta, guarda, vive, sa. Sa cosa? Sa per esempio quanto rimanga di attualità una certa "Lettera ai cristiani d'occidente" scritta dal teologo cecoslovacco Josef Zverina. Che nel 1975, mentre condivideva con i cristiani d'oltrecortina una dura e silenziosa esistenza anonima sotto il tallone comunista, scriveva dal carcere: «Fratelli, voi avete la presunzione di servire alla costruzione del Regno di Dio, assumendo quanto più possibile dal cosiddetto mondo d'oggi: i suoi modi di vita, il suo linguaggio, i suoi slogan, il suo modo di pensare. Riflettete, vi prego: che vuol dire simpatizzare con il mondo d'oggi? Significa, forse, che bisogna lentamente vanificarsi in esso? Sembra purtroppo che vi muoviate proprio in questa direzione. "Fratelli", ammoniva san Paolo nella lettera ai Romani (12,2), "non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi, rinnovando la vostra mente". "Non conformatevi!". In greco: "mè suskèmatìzesthe". Il verbo contiene la radice della parola "schema". Per dirla in breve: ogni modello esteriore, ogni schema è vuoto». E sa, Benedetto XVI, quanto fosse comprensibile il turbamento di Paolo VI, che poco prima di morire confidò all'amico e filosofo Jean Guitton: «C'è un grande turbamento in questo momento nel mondo e nella Chiesa e ciò che è in questione è la fede. Ciò che mi colpisce quando considero il mondo cattolico, è che all'interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all'interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa». Sembra sia quello "schema vuoto" e quel "pensiero non cattolico all'interno del cattolicesimo" che, prima con Giovanni Paolo II e adesso con Benedetto XVI, il papato ha avuto e ha di mira. E se Giovanni Paolo II ha affrontato entrambe le "eresie" quasi fisicamente, portando in giro per il mondo il suo corpo-Buona-Novella e proteggendo ogni seme di autentico movimento missionario, Benedetto XVI sembra voglia terminare il lavoro iniziato dal suo predecessore portando in giro per il mondo la sfida del Logos cattolico e quelle "minoranze creative" attraverso cui Cristo si presenta come persuasività di vita e di ragione. Naturalmente il Papa non è un capo fazione. Il Papa è il Papa. Il capo della Chiesa universale. Il Papa non parteggia per un partito dentro o fuori la Chiesa. Il Papa è il capo del "corpo mistico di Cristo" sulla terra. Il Papa vigila, indica, perimetra, ha il potere di «sciogliere e di legare» in nome di Cristo qualunque cosa decida «di sciogliere o di legare su questa terra». Ma dice bene monsignor Nikola Eterovi´c, segretario generale del Sinodo dei Vescovi, che settimana scorsa, presentando la prima esortazione apostolica di Benedetto XVI, ha rammentato quale sia il principio che governa la verità della vita. Non una politica, non un'analisi, nemmeno una dottrina. Anche Pietro non ha altro criterio di verità per valorizzare o meno punti di Chiesa o punti di umanità fuori della Chiesa: «Gesù diede ai suoi discepoli una regola d'oro nel valutare il risultato delle attività degli uomini: "Non c'è albero buono che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia frutti buoni. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto"». Anche il Papa ragiona così. Anche per Papa Benedetto XVI, come diceva il filosofo amico di Paolo VI, «ragionevole è sottomettere la ragione all'esperienza».

Uno straniero nella sua Chiesa

C'è da credere che Benedetto XVI rappresenti nel suo stesso magistero cosa significa che «l'amore è generatore dell'umano secondo la sua dimensione totale, vale a dire l'amore è generatore della storia della persona in quanto generazione di popolo». A partire dalla Deus caritas est, tutta incentrata sul tema della "verità dell'amore", il magistero del Papa sta illuminando, come dice Giussani, «non l'amore come espressione della propria voglia; non come reattività, non come tenerume. L'amore è: essere per, essere per l'Ideale, essere per il disegno totale, dove la bellezza e la giustizia sono salve». Pensiamo al messaggio papale per la quaresima di quest'anno: «Nella Croce si manifesta l'eros di Dio per noi. Eros è infatti, come si esprime lo Pseudo Dionigi, quella forza "che non permette all'amante di rimanere in se stesso, ma lo spinge a unirsi all'amato". Quale più "folle eros" di quello che ha portato il Figlio di Dio ad unirsi a noi fino al punto di soffrire come proprie le conseguenze dei nostri delitti? Cari fratelli e sorelle, guardiamo a Cristo trafitto in Croce! È Lui la rivelazione più sconvolgente dell'amore di Dio, un amore in cui eros e agape, lungi dal contrapporsi, si illuminano a vicenda. Sulla Croce è Dio stesso che mendica l'amore della sua creatura: Egli ha sete dell'amore di ognuno di noi». E conclude il Papa: «In verità, solo l'amore in cui si uniscono il dono gratuito di sé e il desiderio appassionato di reciprocità infonde un'ebbrezza che rende leggeri i sacrifici più pesanti». E nell'esortazione apostolica Sacramentum Caritatis quali sono le parole più ricorrenti? Di nuovo, nell'ordine: amore, verità, bellezza. Infine, chi poteva immaginare un Papa così attento alla discendenza della Chiesa cattolica dal popolo di Israele? Quell'«Israele come donna, vergine e madre», disse Ratzinger da teologo non ancora cardinale, nei cui confronti «l'essere divino non appare più nella capacità di punire, ma nell'indistruttibilità e nella costanza del suo amore». Molto opportunamente il cardinale Angelo Scola ha notato che «l'insistenza del Santo Padre sulla verità dell'amore dice con chiarezza che siamo di fronte ad uno dei temi cruciali su cui si gioca il futuro della Chiesa e dell'umanità».
«Purtroppo Benedetto XVI è uno straniero nella sua stessa Chiesa», dice il filosofo ebreo Alain Finkielkraut. In effetti la Chiesa è sempre stata piena di stranieri. Fin dalle origini, quando un certo Saulo di Tarso (attuale Turchia), ebreo e persecutore di cristiani, si diede a Cristo. Ed eccoci di nuovo là. Catapultati nella paganità. Roma, Londra, Madrid. Sotto cieli completamente secolarizzati. Ebbene, Benedetto XVI sembra porsi nel solco della sfida che fu di Paolo. Che, partito per predicare il Messia ai suoi fratelli ebrei, finì col diventare l'apostolo dei pagani, tra le prostitute di Corinto, gli orefici di Efeso, i riti dionisiaci di Antiochia. Pagani di Roma, Londra, Madrid. È come se questo Papa dicesse: amico, io sono con te.

Tempi num.12 del 22/03/2007

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