24 marzo 2007

Rassegna stampa del 24 marzo 2007


Il Papa all’attacco: difesa dei valori e radici cristiane

MARCO TOSATTI

CITTÀ DEL VATICANO
Il Papa sferza l`Europa; grande attesa oggi per il discorso che Benedetto XVI pronuncerà ai membri – laici, religiosi e vescovi di tutta Europa – organizzato a Roma dalla Comece, l’organismo di coordinamento delle conferenze episcopali del vecchio continente, per ricordare i 50 anni dalla fondazione a Roma della prima forma di unione. Questo anniversario vede la Chiesa spiegare un attacco a tutto campo, con osservazioni di estremo, impietoso realismo sullo stato del continente, e sul suo futuro immediato. L’offensiva, legata alla polemica sui valori cristiani in Europa, e alla loro validità attuale, l’ha aperta ieri il nuovo ministro degli Esteri del Papa, monsignor Dominique Mamberti, nel suo discorso al convegno del Comece. Il presule corso ha posto in chiaro le richieste della Santa Sede per quanto riguarda il Trattato costituzionale, ricordando che il Papa desidera che esso «tuteli i valori naturali fondanti la dignità umana, salvaguardi i diritti istituzionali delle chiese e riconosca esplicitamente il patrimonio cristiano di questo continente».
L’arcivescovo Mamberti, alla sua prima uscita ufficiale a livello europeo, non ha avuto timore di ricorrere alla polemica. «Tale riconoscimento – ha detto – non conferirebbe un carattere confessionale all’Europa e nemmeno contrasterebbe con la sua laicità». L’Europa, sottolineava il ministro degli Esteri del Papa, ha inoltre bisogno «di un certo numero di politiche comuni, in ambiti strategici: ad esempio quello energetico». Ma ha soprattutto bisogno delle sue radici cristiane, e dei valori che esse comportano. Sarà questo il filo principale dell’allocuzione, severa nei contenuti, che Benedetto XVI pronuncerà oggi sull’Europa, riproponendo con chiarezza alcune delle sue preoccupazioni, a partire dalla profezia/constatazione che da un punto di vista della demografia il vecchio continente sembra dirigersi verso una strada che potrebbe portarla al congedo dalla storia. In passato Joseph Ratzinger ha stigmatizzato la perdita di fiducia nel proprio avvenire che sembra pervadere l’Europa; è un appunto che ripeterà certamente oggi, collegandolo alla necessità che venga esaltata, e non negata, l’identità storica, culturale e morale del continente, prima ancora che geografica, economica o politica. E in particolare, il ruolo che vi ha svolto, e può ancora svolgervi, il cristianesimo.
Il discorso di Benedetto XVI rifletterà le principali preoccupazioni del Papa: e cioè il fatto che l’Europa, mentre vorrebbe porsi come una comunità di valori, sembra contestare sempre più spesso l’esistenza di valori universali ed assoluti, in una specie di apostasia da se stessa. Oltre che, naturalmente, dall’idea di Dio.
L’Europa non puo’ essere solo una comunità economica, ha detto spesso Benedetto XVI (e prima di lui Giovanni Paolo II); e allora, nell’allocuzione che il Pontefice probabilmente ritiene un punto di particolare importanza, nella storia dei rapporti Chiesa-Europa, emergerà un’altra preoccupazione; e cioè che la ponderazione dei beni costituisca l’unica via per il discernimento morale, e che il bene comune sia sinonimo di compromesso. Ma esistono «valori non negoziabili», e di conseguenza c’è il pericolo che il compromesso si trasformi in male comune ogniqualvolta comporti accordi lesivi della natura umana. Benedetto XVI metterà in guardia dall’accettare compromessi sui valori umani essenziali, realizzati in ragione della tesi del male minore.

La Stampa, 24 marzo 2007


L'affondo di Mamberti, responsabile dei rapporti tra Santa Sede e stati: ricevute una trentina di critiche dal Parlamento europeo

I vescovi: la Ue smetta di attaccare il Vaticano

Luigi Accattoli

CITTÀ DEL VATICANO — Giornata piena di pronunciamenti del papa, dell'arcivescovo Bagnasco e di vari esponenti della Chiesa cattolica in Europa in merito alle «radici cristiane» del continente e all'urgenza di fare argine contro leggi ispirate al relativismo etico, con riferimenti anche alla situazione italiana. Tra tutti spicca una denuncia dell'arcivescovo Dominique Mamberti, responsabile vaticano dei rapporti con gli Stati, che ha accusato il Parlamento Europeo di aver mosso una trentina di «attacchi» al Vaticano.
Mamberti ha parlato al convegno degli episcopati europei che si tiene in occasione dei cinquant'anni dei Trattati di Roma. Ha rivendicato il «diritto» dei cristiani di partecipare al dibattito sulla costruzione europea «consapevoli che nelle ultime due legislature del Parlamento Europeo la Chiesa cattolica e il Vaticano sono stati attaccati quasi 30 volte e ingiustamente accusati di indebita ingerenza».
Mamberti ha anche richiamato l'auspicio della Santa Sede perché «l'eventuale trattato costituzionale europeo salvaguardi i diritti istituzionali delle Chiese e riconosca esplicitamente il patrimonio cristiano del continente». Di questo argomento ha parlato anche il papa con il presidente del Parlamento europeo Hans-Gert Poettering e con la presidente dell'Irlanda Mary McAleese.
Le richieste che «il patrimonio cristiano di questo continente» venga riconosciuto «esplicitamente» dall'Europa unita e chequesta si impegni a «promuovere la struttura naturale della famiglia» e a difenderla da «tentativi di equiparazione» ad altre forme di «unioni» sono contenute nella «Dichiarazione di Roma» che i vescovi europei consegneranno oggi al presidente del Consiglio Romano Prodi perché la porti al summit di Berlino per i cinquant'anni dei Trattati di Roma. Al convegno ha parlato anche il nuovo presidente della Cei Angelo Bagnasco, sostenendo che «il rifiuto del riferimento alle radici religiose dell'Europa» è proposto da chi vuole «relegare la religione a fatto esclusivamente privato». Il presidente dei vescovi ha poi ricordato i «principi non negoziabili», tra i quali ovviamente la famiglia «come relazione fondamentale e naturale tra un uomo e una donna».
Ai giornalisti incontrati al margine del convegno, Bagnasco ha detto che i politici cattolici per decidere sui Dico dovranno «prendere in considerazione il Vangelo e il magistero della Chiesa» perché la loro coscienza sia «retta e informata».
Tra i politici italiani, intanto, continua la polemica sul «Family Day» cattolico del 12 maggio. L'altro ieri si era parlato di una «possibile» partecipazione dell'Ulivo, ma ieri questa ipotesi è sembrata più lontana. «Non è stata discussa nessuna presenza dell'Ulivo» ha detto il segretario dei Ds, Piero Fassino: «Ci andrà chi si identifica con quella piattaforma». Per il coordinatore dell'esecutivo della Margherita Antonello Soro «chi ha assunto una posizione favorevole ai Dico non va in piazza contro quel progetto».

Corriere della sera, 24 marzo 2007


SCENARI Il celebre studioso delle religioni affronta il tema della sfida culturale alle democrazie
Occidente e Islam

Lo scontro
La «terza ondata» musulmana e i suoi alleati di destra e sinistra

di BERNARD LEWIS
A gli occhi di una fanatica e risoluta minoranza di musulmani, la terza ondata dell'attacco all'Europa è chiaramente partita. Faremmo bene a non ingannarci con i «che cos'è» e «che cosa significa». Il tema che voglio affrontare è l'emigrazione. In epoche lontanissime, che un musulmano potesse trasferirsi, di sua spontanea volontà, in un Paese non musulmano era inconcepibile. I giuristi affrontano esaurientemente la questione nei manuali della
sharia, ma sotto diversa forma: è lecito che un musulmano viva o anche solo visiti un Paese non musulmano? E, ove ciò avvenisse, come deve comportarsi?
Ci fu chi sosteneva che fosse lecito, per i musulmani, rimanere purché venissero rispettate determinate condizioni, in primis la pratica della propria fede. Ciò che solleva un'altra questione, cui dò subito risposta. Che cosa si intende per «pratica della propria fede»? A tale proposito, è bene ricordare che si sta parlando non soltanto di una religione diversa, ma anche di una differente concezione dei suoi contenuti e sfera d'azione, e mi riferisco soprattutto a quella che i musulmani chiamano sharia, la santa legge dell'Islam, che copre un ampio spettro di questioni considerate «laiche» nel mondo cristiano già in epoca medioevale, e senz'altro lo sono in quello che qualcuno definisce Occidente postcristiano.
Altra questione che merita di essere analizzata è quella dell'assimilazione, di cui oggi molto si discute. Fino a che punto gli emigrati musulmani stabilitisi in Europa, Nord America e altrove possono integrarsi in questi Paesi, come già avvenuto in passato con le tante ondate di immigrati? Credo sia necessario fare chiarezza su diversi punti.
Ad esempio, le sostanziali divergenze quanto al preciso significato del concetto di «assimilazione» e «accoglienza». Emerge subito, a tale proposito, un'immediata quanto ovvia discrepanza tra il contesto europeo e quello americano. Diventare americano implica, per un immigrato, una nuova fedeltà politica. Diventare francese o tedesco, invece, comporta, per lo stesso immigrato, una nuova identità etnica. È indubbio che il primo cambiamento sia molto più agevole e comodo del secondo, in termini di sensibilità o grado di accoglienza del singolo.
In tale cornice, a fare la differenza è il significato attribuito alla parola religione. Che, sostengono i musulmani, investe una lunga sequela di questioni: matrimonio, divorzio ed eredità gli esempi più evidenti. Sin dall'antichità, nel mondo occidentale e cristiano, queste ultime vengono considerate come questioni laiche. La distinzione tra Stato e Chiesa, tra spirituale e temporale, tra laico ed ecclesiastico è di matrice cristiana, ed è assente nella storia dell'Islam; ecco perché è tuttora difficile da spiegare ai musulmani. I quali, fino a pochissimo tempo fa, neanche disponevano di un lessico per esprimerla.
Come reagisce l'Europa a una simile situazione? Nel Vecchio Continente, così come negli Usa, una risposta frequente è quella che prende variamente il nome di multiculturalismo e political correctness. Nel mondo musulmano, non esistono inibizioni di sorta. I suoi cittadini, difatti, sono perfettamente consapevoli della propria identità. Sanno chi sono, che fanno e cosa vogliono, qualità che noi sembriamo avere in larghissima parte smarrito. Ciò che si traduce in un punto di forza nell'un caso, e di debolezza nell'altro.
Si parla anche, talvolta, di constructive engagement,
di «scontro costruttivo». Parliamo loro, incontriamoci e vediamo cosa si può fare. Lo scontro costruttivo ha una lunga tradizione. Quando riconquistò Gerusalemme e altre località in Terra Santa, Saladino consentì ai mercanti cristiani provenienti dall'Europa di rimanere nelle città portuali. Egli, a quanto pare, sentì il bisogno di giustificarsi, e scrisse una lettera al califfo di Bagdad per spiegare il suo gesto: ne ripropongo un passaggio. I mercanti erano utili poiché «non c'è alcuno tra loro che non ci porti e venda armi per combattere, a loro detrimento e nostro vantaggio». Il fenomeno continuò durante le Crociate. E dopo. Lo scontro costruttivo ha una lunga storia. Difatti, ne esiste anche una versione moderna, e piuttosto stupefacente. Si è assistito, a suo tempo, all'imperdibile spettacolo di un Papa che si scusa con i musulmani per le Crociate. Non che io desideri difendere il comportamento dei crociati, sotto più aspetti spietato. Mi aspetto soltanto un po' di senso delle proporzioni, quello sì. Dovremmo credere, ora, che le Crociate furono un arbitrario atto di aggressione contro il pacifico mondo musulmano. Per favore! Il primo appello papale alla Crociata fu lanciato nell'anno 846, quando una spedizione araba proveniente dalla Sicilia risalì il Tevere e saccheggiò la basilica di San Pietro. Un sinodo tenutosi in Francia lanciò un appello affinché i sovrani cristiani si unissero contro «i nemici di Cristo», e il Papa, Leone IV, offrì una ricompensa celeste a quanti fossero morti combattendo i musulmani. Dopo un secolo e mezzo e molte altre battaglie, nel 1096, i crociati giunsero effettivamente in Medio Oriente. Le Crociate furono un'intempestiva, circoscritta e vana imitazione della jihad. Un tentativo di recuperare con la guerra santa le perdite di un'altra guerra santa. Fallito, e senza alcun seguito.
Oggi, gli estremisti islamici sono stati persino capaci di trovare qualche alleato in Europa. Nell'abbozzarne una descrizione, dovrò ricorrere alle parole «destra» e «sinistra»; parole sempre più fuorvianti. Arduo applicare le stesse categorie all'odierno Occidente. Del tutto insensato ricorrervi per etichettare i vari tipi di Islam. Ma tale è l'uso che se ne fa comunemente: mettiamola così.
C'è un fascino sinistroide esercitato sugli elementi di antiamericanismo presenti in Europa, che funge, per così dire, da epigono dell'Urss. E c'è una malia destroide che agisce, sempre in Europa, sugli elementi di antigiudaismo, surrogato dell'Asse. Il sostegno che si è potuto incamerare sotto entrambe le vesti è stato notevole. Qualcuno, in Europa, sostiene che l'odio abbia chiaramente la meglio sui giuramenti di fedeltà.
E adesso, in quale fase ci troviamo? Che la terza «ondata» sia quella buona? Niente è impossibile. Dalla loro parte ci sono alcuni chiari vantaggi. Hanno fervore e convinzione, sono persuasi di battersi per una causa giusta, mentre noi passiamo la maggior parte del tempo ad autodenigrarci e mortificarci. Sono leali e disciplinati e registrano, fatto forse più importante in assoluto, un buon andamento demografico, giacché il connubio di incremento naturale ed emigrazione comporta notevoli cambiamenti a livello di popolazione, ciò che potrebbe tradursi, in un prossimo futuro, in maggioranze significative almeno in qualche città — o addirittura Paese — del Vecchio Continente. Anche noi, però, possiamo contare su qualche vantaggio, in primis libertà e sapere. Il fascino esercitato dal puro sapere è fin troppo evidente. Chi ne fa parte è dolorosamente consapevole della propria arretratezza, e saluta l'opportunità di porvi rimedio.
Meno evidente, ma altrettanto forte, è il richiamo della libertà. In passato, la parola «libertà» non veniva utilizzata, nel mondo islamico, in senso politico. La libertà era un concetto giuridico. Si era liberi se non si era schiavi. Vigeva l'istituto della schiavitù. Libero uguale non schiavo. A differenza dell'Occidente, non si adoperavano i concetti di libertà e schiavitù come allegoria del buono e cattivo governo, come noi a lungo abbiamo fatto. Per spiegare la differenza tra buono e cattivo governo, si ricorreva alle nozioni di «giustizia» e «ingiustizia». Un buon governo è un governo giusto, in cui la Santa Legge, comprese le restrizioni all'autorità sovrana, viene rigorosamente applicata.
La tradizione islamica — in teoria e, fino all'assalto della modernità, in larga misura anche sul piano pratico — rifiuta categoricamente qualsiasi forma di governo dispotico e arbitrario. Così, l'idea di vivere secondo giustizia riflette un approccio quanto più vicino a quella che noi definiamo «libertà». Tuttavia, l'idea di libertà secondo l'interpretazione dell'Occidente si sta progressivamente affermando. È sempre più compresa, apprezzata e ambita. E forse, pensando al lungo periodo, rappresenta la nostra migliore speranza — o magari soltanto l'unica che abbiamo — di sopravvivere a questa battaglia.
© Global Viewpoint 2007 Traduzione di Enrico Del Sero

Corriere della sera, 24 marzo 2007


E L´Osservatore Romano accosta caso Mastrogiacomo e aborto: ci vuole coerenza nel difendere sempre la vita

"I politici cattolici seguano la Cei"

Bagnasco: la loro coscienza deve fare i conti con il magistero

ORAZIO LA ROCCA

CITTÀ DEL VATICANO - Un forte e pressante appello alla «coerenza» cattolica che «dovrà essere sempre retta ed informata». Sarà questo il punto centrale della Direttiva sui Dico che da lunedì prossimo sarà al vaglio dei vescovi del Consiglio permanente della Cei. Lo ha fatto capire, ieri, l´arcivescovo Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani, che ha comunque escluso l´arrivo di possibili scomuniche per quei cattolici che dovessero accettare un eventuale ordinamento legislativo sulle coppie di fatto. La puntualizzazione arriva a margine del congresso organizzato dalle conferenze episcopali europee per i 50 anni dei Trattati di Roma, dove Bagnasco ha chiesto, tra l´altro, che i paesi europei varino leggi che «tutelino la famiglia e la vita nascente, e condannino l´aborto».
Un tema - tutela della vita e condanna dell´aborto - che proprio ieri l´Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede, ha messo polemicamente in relazione con il caso di Daniele Mastrogiacomo, il giornalista di Repubblica liberato in Afghanistan dopo 15 giorni di prigionia nelle mani taliban. «In questi giorni di tensione internazionale - scrive il giornale del Vaticano - si è giustamente sottolineato che occorre fare tutto per salvare anche una sola vita umana. E´ allora è lecito chiedersi cosa si sia fatto e cosa si faccia per salvare quelle vite umane nascenti soppresse e gettate via». «Il rispetto del diritto alla vita - per l´Osservatore - non vale solo quando si tratta di salvare un giornalista...».
Quanto alla «coerenza» cattolica invocata al summit, Bagnasco l´ha spiegata così: «Chi si professa cattolico deve sempre tenere conto degli insegnamenti del Vangelo e del magistero della Chiesa»: è un «vincolo» a cui sono - «ovviamente» - chiamati a rispondere anche quei politici cattolici che - avverte Bagnasco - dovranno esprimersi sulla proposta di legge sulle coppie di fatto in discussione in Parlamento. Di fronte ai «nuovi contenuti e alle sfide della storia», compito principale della Chiesa - a parere del presidente della Cei - è «mantenere il suo compito di illuminare le coscienze in modo autorevole e chiaro, senza cedere ai relativismi». Un richiamo reso ancora più pressante di fronte a una legge che, a parere dei vescovi, minerebbe la stabilità della famiglia tradizionale.
Nessun esplicito accenno da parte di monsignor Bagnasco su eventuali provvedimenti che i vescovi potrebbero prendere nei confronti di quei politici cattolici che dovessero accettare i Dico. Per cui, sembra da escludere che la Direttiva possa parlare anche di scomunica per chi non seguirà il magistero della Chiesa. Su questo aspetto, il presidente della Cei - sebbene interrogato dai giornalisti - si è limitato a dire che «c´è un principio generale della morale cattolica che è quello di una coscienza, che alla fine, deve giudicare sapendo, però, anche che ha un impegno e un obbligo di essere informata e retta». Analoghi concetti anche per i 50 anni dell´Europa, per la quale Bagnasco ha invocato una nuova Costituzione che «riconosca le radici cristiane e tuteli la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna».

Repubblica, 24 marzo 2007


"Disprezzo per il valore della vita"

I vescovi a Zapatero "Abolire aborto e fecondazione"

Attacco a tutto campo: i credenti non appoggino questo governo

ALESSANDRO OPPES

MADRID - Gli attacchi dei vescovi al governo spagnolo sono ormai una costante da quando, tre anni fa, i socialisti tornarono al potere con José Luis Rodríguez Zapatero. Ma l´ultima offensiva lanciata dalla Conferenza episcopale è forse la più pesante in assoluto: una critica a tutto campo, che non salva praticamente nessun aspetto della politica sociale dell´esecutivo, e lancia preoccupati segnali dall´allarme per il futuro. Nella visione apocalittica delineata dalla «sottocommissione episcopale per la famiglia e la difesa della vita», c´è un po´ di tutto: dall´accusa di «promuovere la promiscuità sessuale» a quella di «favorire una cultura della morte». E nel j´accuse della Chiesa cattolica finiscono anche alcuni diritti acquisiti dalla società spagnola ormai vent´anni fa, come quello al divorzio e all´aborto.
In una nota dal titolo «Per una cultura della vita», i vescovi descrivono la situazione con toni cupi: «I recenti cambiamenti legislativi hanno portato la Spagna ad avere una delle legislazioni che meno proteggono la vita umana nel mondo intero». Se in altre occasioni facevano un generico richiamo al rispetto di alcuni principi, questa volta il mirino è costantemente puntato contro il governo, con un esplicito appello ai cittadini a «non appoggiare coloro che promuovono leggi che attentano, in un modo o in un altro, contro il sacro valore della vita». Zapatero e i suoi ministri sono anche accusati di fomentare la promiscuità sessuale, «con la falsa speranza che il preservativo o il ricorso alla pillola del giorno dopo permetteranno una pratica sicura del sesso».
L´ira dei vescovi si scatena anche contro «molti mezzi di comunicazione» che, secondo la Conferenza episcopale, «promuovono la regolamentazione dell´aborto libero e dell´eutanasia», quest´ultima considerata come «una gravissima minaccia» e una pratica «moralmente inaccettabile». Per quanto riguarda l´aborto, l´accusa rivolta al governo è quella di non fare tutto il possibile per imporre il rigido rispetto della legge: «Se le autorità sanitarie vigilassero sul compimento della legge e delle condizioni in cui l´aborto è depenalizzato, non è temerario supporre che il numero di aborti in Spagna si ridurrebbe drasticamente».
Oltre a chiedere l´abolizione dell´aborto, depenalizzato nel 1985, i vescovi esprimono anche la loro drastica opposizione all´istituto del divorzio, vigente in Spagna da 26 anni e reso più accessibile grazie alla procedura semplificata voluta da Zapatero, che elimina la fase della separazione tra i coniugi.

Repubblica, 24 marzo 2007

Sono i Vescovi che attaccano il governo spagnolo o e' il governo Zapatero che attacca i valori cristiani?
Quante analogie con l'Italia per quanto riguarda i mass media "sdraiati" sul conformismo di questo secolo...


Il Vaticano rilancia: l'Europa non può tradire la Fede


ROMA – La Santa Sede è piombata sulle imminenti celebrazioni per i 50 anni del «Trattato di Roma», criticando con durezza decisioni prese in passato da istituzioni comunitarie in materia di embrioni e di famiglia. E ammonendo i vertici della Ue a non abbandonare «il cristianesimo come si abbandona un compagno di viaggio che diviene straniero». L’Unione Europea - ha avvertito stasera mons. Dominique Mamberti, 'ministro degli Esterì del Papa – «non può tradire i valori cristiani, come un uomo non può tradire le sue ragioni di vivere e di sperare, senza cadere in una crisi drammatica». Palcoscenico per l’intervento dell’esponente della Santa Sede è stato il convegno organizzato a Roma dagli episcopati europei per fare il punto sui «Valori e le prospettive per l’Europa di domani». Al summit, aperto dal presidente del vescovi italiani mons. Angelo Bagnasco, si sono succeduti molti uomini politici europei, dal vice presidente della Commissione, Franco Frattini, al ministro degli Interni tedesco Wolfang Schauble. Il presidente del Parlamento europeo, Hans Gert Pottering, aveva appena finito il suo intervento ed era uscito nel corridoio per annunciare ai giornalisti di aver invitato, in un’udienza stamane in Vaticano, papa Benedetto XVI a visitare Strasburgo. Per una coincidenza certo non voluta, proprio in quel momento in sala, mons. Mamberti ha aperto il suo discorso ricordando che «nelle due ultime legislature del Parlamento europeo le posizioni della Chiesa e del Vaticano sono state attaccate quasi 30 volte ed ingiustamente accusate di indebita ingerenza in campo europeo».
Riferendosi alla decisione di distruggere gli embrioni umani non utilizzati, il ministro del Papa ha usato parole di fuoco. «Una democrazia – ha detto – che anzichè servire la vita umana, la mette ai voti ed appoggia chi la sopprime, sembra preda della prevaricazione e dell’intolleranza». «I cristiani impegnati nello spazio pubblico europeo – ha scandito – per essere pienamente coerenti con la loro fede, nell’attuale contesto culturale e politico debbono considerare prioritario e qualificante per il loro impegno pubblico, la tutela della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, e della struttura della famiglia, come unione tra un uomo e una donna, fondata sul matrimonio». «Certamente – ha proseguito – non si può assimilare l’Europa alla cristianità e nemmeno ridurre la cristianità all’Europa, ma è indubbio che il cristianesimo non è soltanto uno degli ingredienti del cocktail europeo». E, a questo proposito, ha lanciato un’altra stoccata : il Vaticano è assolutamente contrario ad una politica dell’allargamento che possa minacciare «la condivisione dei principi e dei valori forgiati dal cristianesimo», valori «che hanno reso l’Europa un faro di civiltà per il mondo intero». In sala, molti hanno interpretato queste parole come un riferimento alla Turchia. Se l’intervento di Mamberti si è distinto per i suoi toni senza compromessi, molti altri vescovi, prima di lui e a cominciare dall’italiano Bagnasco, avevano chiesto che l’Europa recuperasse, a partire dalla nuova versione del trattato istituzionale, il patrimonio e i valori propri del cristianesimo. In questo senso si pronuncerà anche un documento dei vescovi europei che sarà consegnato domani al presidente del Consiglio Romano Prodi, affinchè lo porti ai suoi colleghi capi di Stato e di Governo a Berlino per le celebrazioni solenni dei 50 anni dei trattati di Roma. Lo stesso Pottering aveva confessato di essere personalmente a favore di una menzione all’eredità cristiano-giudaica dell’Europa nella dichiarazione che verrà letta domenica nella capitale tedesca. «Ma alcuni – ha rivelato –erano contrari».

Tra gli intervenuti di oggi, solo il pastore protestante Jean Arnold De Clermont, ha annunciato che gli evangelici «non si batteranno nè a favore nè contro il recupero della menzione delle radici cristiane in una eventuale nuova edizione del trattato costituzionale europeo». L’importante – ha detto – è che le chiese possano avere voce nel futuro continente.
I partecipanti al summit, oltre 400 persone da tutta Europa, saranno ricevuti domani in udienza da Papa Ratzinger. Oggi hanno ascoltato un messaggio di benvenuto e saluto rivolto loro dal presidendente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano.
Elisa Pinna

Gazzetta del mezzogiorno, 23 marzo 2007


I vescovi: va tutelata l’unione tra l'uomo e la donna

di Andrea Tornielli

Roma - L’Europa deve riconoscere le proprie radici cristiane dando spazio ai principi etici che appartengono al suo patrimonio. Questo «non significa in alcun modo» negare la «giusta e sana laicità» che però non va confusa con il «laicismo ideologico». Lo ha detto ieri mattina il presidente della Cei, l’arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco, alla sua prima uscita ufficiale dopo la nomina, intervenendo a Roma al congresso del Comece (gli episcopati europei) per celebrare i cinquant’anni dei Trattati di Roma. Oggi i partecipanti saranno ricevuti da Benedetto XVI, che rilancerà l’impegno in difesa dei valori «non negoziabili», citati già ieri dallo stesso Bagnasco nel suo saluto. Parlando del matrimonio, l’arcivescovo ha accennato ai tentativi di «relativizzare» la famiglia rendendola «giuridicamente uguale o equivalente» ad altre forme di unione.
Il presidente della Conferenza episcopale italiana ha iniziato dicendo che, oltre ai problemi relativi al governo istituzionale dell’Europa, «appare egualmente necessaria la ricerca di valori condivisi, sul piano di una unità culturale e spirituale alimentata dal dialogo e dal rispetto delle identità». Perché il processo di integrazione sia davvero fecondo, ha continuato Bagnasco, «occorre che l’Europa riconosca le proprie radici cristiane, dando spazio ai principi etici che costituiscono parte integrante e fondamentale del suo patrimonio spirituale, dal quale la modernità europea stessa attinge i propri valori». L’arcivescovo ha subito spiegato che questa «consapevolezza delle proprie radici cristiane non significa in alcun modo negare le esigenze di una giusta e sana laicità - da non confondere con il laicismo ideologico - delle istituzioni europee, ma significa affermare prima di tutto un fatto storico che nessuno può seriamente contestare, perché il cristianesimo appartiene in modo radicale e determinante ai fondamenti dell’identità europea». Per questo il rifiuto «del riferimento alle radici religiose dell’Europa, lungi dall’essere espressione di tolleranza - perché la vera tolleranza si fonda sulla libertà religiosa e non sul rifiuto delle religioni -, è piuttosto espressione di una tendenza che vuole relegare la religione a fatto esclusivamente privato e soggettivo, elevando il relativismo etico a dogmatismo etico».

Il presidente della Cei ha quindi osservato come nello sviluppo della Ue sia necessario applicare sempre di più il principio di sussidiarietà e riconoscere il contributo peculiare delle Chiese e delle comunità religiose allo sviluppo «della casa comune europea». L’arcivescovo ha spiegato che le Chiese, «nel condividere l’impegno comune per valori essenziali quali la giustizia, la pace, la libertà, la solidarietà, la tutela dell’ambiente, riaffermano che questi valori non possono realizzarsi in modo autentico prescindendo dalla dimensione trascendente della persona e dal rispetto di norme che sono iscritte nella natura umana». Sono i valori «non negoziabili», cioè «la tutela della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, resistendo a forme di aggressione e di minaccia talvolta mascherate sotto l’apparenza di un malinteso progresso scientifico e sociale: si pensi alla clonazione umana, alla manipolazione genetica, all’aborto, all’eutanasia». C’è poi «il riconoscimento e la promozione della famiglia, come relazione fondamentale e naturale tra un uomo e una donna che si apre ai figli, e la sua difesa dai frequenti tentativi di relativizzarla, rendendola giuridicamente uguale o equivalente ad altre forme di unione», la libertà di educazione e il diritto alla libertà religiosa anche nella sua dimensione «propriamente istituzionale». Si tratta, ha concluso Bagnasco, «di principi comuni a tutta l’umanità», che la Chiesa difende – ha aggiunto citando Benedetto XVI – non in nome di un principio confessionale, ma rivolgendosi a tutte le persone: negarli rappresenta «un’offesa contro la verità della persona umana».

Il Giornale, 24 marzo 2007


Testimoniare fede e virtù: la difficile missione di Cl

di Alessandro Maggiolini

Anni fa, senza che scoppiasse una guerra guerreggiata, si era provocata una scissione non esigua nella comunità cristiana. Su internet si può trovare l’anno di fondazione dell’Azione Cattolica nel 1916: una associazione che nel suo primo periodo di vita svolgeva un’attività di formazione prevalentemente spirituale, la cui finalità era la maturazione della vita cristiana con una particolare accentuazione sull’aspetto apostolico.

Col passare del tempo crebbero altre aggregazioni ecclesiali di diverso tipo. I gruppi Scout che, con la educazione prevalentemente religiosa, tendevano a far crescere la persona umana nella sua globalità, sport e gioco compreso. Con lo scoutismo si manifestava il gruppo dei Focolarini, che esprimeva una spiritualità profondamente religiosa e gradualmente nascevano altre formazioni, dai Pentecostali ai Neocatecumenali e così via.

Da una situazione abbastanza unitaria e omogenea si passava a una condizione di pluralismo dove i gruppi ecclesiali sembravano prendere un sopravvento di importanza. Per non parlare delle diverse aggregazioni religiose orientate soprattutto e quasi esclusivamente alle manifestazioni soprattutto liturgiche. E senza includere i credenti più usuali, e non meno importanti, viventi nelle parrocchie e negli oratori. Non si può ignorare una qualche difficoltà di accordo tra le varie formazioni cattoliche.

Una novità di tutto rilievo si ha con la formazione di Comunione e Liberazione a opera di Don Luigi Giussani, professore di Teologia nel Seminario di Venegono e in seguito nell’Università Cattolica. La «Fraternità di Comunione e Liberazione» ottiene il riconoscimento nella persona giuridica l’11 luglio 1980 dall’Abate Ordinario di Montecassino Mons. Martino Matronola e sotto gli auspici del Patriarca San Benedetto a cui si sono ispirati i gruppi adulti fin dal primo periodo della loro formazione apostolica e missionaria. L’Associazione si propone, oltre a una più intensa formazione spirituale degli associati, l’annuncio e la catechesi capillari, la celebrazione frequente dei sacramenti, il lavoro nel campo della cultura e nei mezzi di comunicazione sociale, come approfondimento ed espressione della
propria fede e come servizio gratuito dell’altro, l’impegno missionario come scelta vocazionale in tutti gli ambienti della vita usuale.

Il 16 gennaio 1982 l’allora Santo Padre Giovanni Paolo II dichiara Cl associazione di Diritto pontificio: «Auspichiamo vivamente che sotto la protezione della Vergine Maria, Madre della Chiesa e del Patriarca San Benedetto, patrono di Europa e della Fraternità di Cl, i singoli membri e tutta la Fraternità diano chiara testimonianza della fede, esempi di pietà e di virtù in modo da costituire sempre e ovunque operoso fermento di apostolato a bene dell’uomo». Non sfugga la data del 16 gennaio 1982: segna 25 anni di vita attiva e operosa di Cl.

Oggi il Santo Padre ha invitato in udienza i membri di Comunione e Liberazione a Roma per un incontro di riconoscimento e di preghiera. L’udienza dal Santo Padre, come dice Don Carron, significa questo: «Il nostro gesto vuole essere un riconoscimento di ciò che il Papa rappresenta per la nostra vita e un’espressione del nostro desiderio di seguirlo. Andare a Roma è un segno di adesione semplice e totale alla sua persona e al suo magistero, di cui siamo tanto grati».

Il Giornale, 24 marzo 2007

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