29 marzo 2007

Aggiornamento rassegna stampa del 29 marzo 2007


Vengono riportati altri articoli sulla nota della CEI.
I toni sono molto aspri, ma ormai ci siamo abituati...
In un post successivo (in tarda mattinata o nel primo pomeriggio) verranno elencati gli editoriali di commento, scritti da intellettuali cattolici e non.

Raffaella




Vedi anche:

Rassegna stampa del 29 marzo 2007 e i link ivi segnalati.

La Cei: no ai Dico ma nessuna “scomunica”

Resta l’invito ai politici credenti: votate contro
Bertinotti: lo Stato difenda la propria laicità


CITTÀ DEL VATICANO
Attesa, e prevista, è uscita la nota pastorale della Cei sui «Dico»; che può essere sintetizzata in tre aggettivi: inaccettabile e pericoloso il Ddl, e insuperabile la differenza uomo-donna. Nel documento di tre pagine vengono posti paletti rigidi ai politici cattolici, ma in toni sufficientemente morbidi da nascondere la durezza dei contenuti. Due sono i capoversi sostanziali della «Nota». «Riteniamo la legalizzazione delle unioni di fatto inaccettabile sul piano di principio - afferma il documento -, pericolosa sul piano sociale ed educativo. Quale che sia l'intenzione di chi propone questa scelta, l'effetto sarebbe inevitabilmente deleterio per la famiglia. Si toglierebbe, infatti, al patto matrimoniale la sua unicità, che sola giustifica i diritti che sono propri dei coniugi e che appartengono soltanto a loro. Del resto, la storia insegna che ogni legge crea mentalità e costume». E subito dopo: «Un problema ancor più grave sarebbe rappresentato dalla legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso, perché, in questo caso, si negherebbe la differenza sessuale, che è insuperabile».
Inaccettabile e pericoloso sono gli aggettivi che il neo-presidente della Cei aveva usato nella sua prolusione lunedì. Ai capoversi di condanna, i vescovi del Consiglio Permanente hanno fatto precedere un lungo prologo, per illustrare il valore della famiglia, per richiamare le parole della Costituzione su questo argomento e per difendere il loro diritto-dovere a parlarne. «Non abbiamo interessi politici da affermare», scrivono; «solo sentiamo il dovere di dare il nostro contributo al bene comune». E’ ribadito il concetto di una via diversa per risolvere le situazioni concrete di disagio: «Siamo però convinti che questo obiettivo sia perseguibile nell'ambito dei diritti individuali, senza ipotizzare una nuova figura giuridica che sarebbe alternativa al matrimonio e alla famiglia e produrrebbe più guasti di quelli che vorrebbe sanare».
Sul ruolo dei politici i vescovi esprimono comprensione, e ribadiscono la fermezza. «Sarebbe quindi incoerente quel cristiano che sostenesse la legalizzazione delle unioni di fatto» è la prima affermazione chiave, seguita dal ricordo del «dovere morale» di votare contro ogni legge che riconosca le unioni omosessuali, e dall’avvertimento che su questi temi non ci si può appellare «al principio del pluralismo e dell'autonomia dei laici». Infine, un po’ di zucchero: «Comprendiamo la fatica e le tensioni sperimentate dai cattolici impegnati in politica in un contesto culturale come quello attuale, nel quale la visione autenticamente umana della persona è contestata in modo radicale. Ma è anche per questo che i cristiani sono chiamati a impegnarsi in politica».
Prevedibile la tempesta di reazioni. Prima di presenziare a una messa officiata dal Segretario di Stato, il cardinale Bertone, Fausto Bertinotti ha detto che «il tema della laicità dello Stato è un valore fondativo delle nostre istituzioni». Certo, la Chiesa deve potersi esprimere, «ma resta fermo il dovere delle istituzioni a difendere la propria laicità che altrimenti farebbe aprire un vulnus dovendo ammettere che la Costituzione non esprime valori capaci di fondare su di essi la facoltà autonoma del legislatore divenendo elemento di fortissima delegittimazione». Il ministro Rosy Bindi ha risposto soddisfatta con una nota a quella dei vescovi («è un apporto a un clima di dialogo») difendendo il «suo» Ddl, che «non crea alcuna nuova figura giuridica alternativa... e non dà alcun rilievo a patti o accordi tra le persone conviventi, ma esclusivamente al fatto della convivenza stabile, proprio al fine di non istituire, neanche alla lontana, paralleli con la disciplina matrimoniale». Rosy Bindi rivendica l’autonomia dei credenti: «Con una coscienza limpida, il cattolico è chiamato a muoversi con discernimento di fronte alle sue responsabilità pubbliche».
Se per Grillini la «Nota» sancisce un «brutale razzismo antigay», per Boselli «poco ci manca alla scomunica» e per Dario Franceschini «laicità dello Stato e autonomia politica dei cattolici non sono materia disponibile», l’impressione è che i cattolici della Margherita abbiano apprezzato i toni «morbidi» usati dalla Cei; comune (Fioroni, Ceccanti, Finocchiaro) l’opinione secondo cui la «Nota» non sarebbe in contrasto con il Ddl governativo. E la denuncia di Angius (Ds), su «un conflitto aperto» fra Chiesa e Stato, trova una certa consonanza con la dichiarazione di Chiara Moroni (FI) contro le «interferenze» della Chiesa in Parlamento.

La Stampa, 29 marzo 2007


Un compromesso tra falchi e colombe

Due giorni di discussione serrata, e alla fine la «Nota» sui Dico è uscita; ferma nei toni, abbastanza morbida nei contenuti, e soprattutto senza nessuna condanna specifica per i politici cattolici. Tanto che dalla corposa citazione dell’ultimo documento di papa Ratzinger è stata omessa una frasetta, che però avrebbe potuto pesare come un macigno: «Ciò ha peraltro un nesso obiettivo con l’Eucarestia». Il «ciò» era questo: «I politici e i legislatori cattolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana», tra i quali rientra la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna. «I Vescovi - è la seconda parte della citazione - sono tenuti a richiamare costantemente tali valori; ciò fa parte della loro responsabilità nei confronti del gregge loro affidato». Fra l’una e l’altra, nel testo del Papa, c’era la frasetta omessa; per non correre il rischio che qualcuno potesse dire: non diamo la comunione ai politici cattolici che votano i «Dico».
Ma comunque il dibattito c’è stato, e certamente la «bozza Ruini», cioè il primo testo sul quale si è lavorato qualche settimana fa ne è uscito fortemente modificato. Non solo con gli apporti delle «colombe», in una linea ideale che potrebbe fare capo a Tettamanzi, ma anche con contributi dei «falchi», di cui l’ex presidente della Cei era forse espressione. Ma a onor del vero bisogna dire che sul problema della «scomunica» ai cattolici l’accordo era bipartisan; e non c’è stato nessun intervento della Santa Sede, o della Segreteria di Stato, per orientare in questo senso i trenta presuli del Consiglio permanente.
La prima aggiunta di rilievo riguarda i termini usati da Bagnasco per definire il Ddl: «Inaccettabile e pericoloso». E’ usuale che i documenti del Consiglio permanente facciano proprie espressioni del Presidente; in questo caso però appare particolarmente significativo, perché quegli aggettivi danno la «linea» alla Chiesa. Le «colombe» hanno marcato un punto con l’inserimento del capoverso «comprensivo»: «Comprendiamo la fatica e le tensioni sperimentate dai cattolici impegnati in politica in un contesto culturale come quello attuale, nel quale la visione autenticamente umana della persona è contestata in modo radicale». E per arrivare con dolcezza e gradualità alla condanna del disegno di legge, si è deciso di ampliare in maniera notevole la parte introduttiva, per dare al testo un tono più discorsivo e colloquiale. E’ scomparsa poi una citazione molto importante (da un testo della Congregazione per la Dottrina della Fede del 2003) in tema di unioni omosessuali: «Concedere il suffragio del proprio voto a un testo legislativo così nocivo per il bene comune della società è un atto gravemente immorale». Al suo posto, sempre dallo stesso documento, si è preferito sottolineare «il dovere morale» del parlamentare cattolico a votare contro. Mentre invece i «falchi» hanno proposto e fatto passare il tema della «coerenza», sulle unioni di fatto in generale: «Sarebbe quindi incoerente quel cristiano che sostenesse la legalizzazione delle unioni di fatto». E il termine «scelte coerenti» viene ribadito in chiusura. E sempre sulla linea «dura» è stato sottolineato che i credenti non possono appellarsi al principio «dell’autonomia dei laici in politica», se sono in gioco le esigenze etiche fondamentali; in sintonia con il «no» ai compromessi su valori «non negoziabili» pronunciato da Benedetto XVI sabato scorso. Ci si può chiedere se già ci sia stato un qualche effetto della lettera con cui il Segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone, rivendica un ruolo di guida «rispettosa» della Santa Sede, assicurando una «cordiale collaborazione» al neo-presidente Cei «per quanto concerne i rapporti con le istituzioni politiche». Pare che il testo uscito ieri sia stato elaborato in totale autonomia. E d’altronde sembra che i vescovi, non solo quelli legati all’ex presidente, che comunque come Vicario del Papa per la città di Roma mantiene un rapporto privilegiato con Benedetto XVI, ma anche gli altri preferiscano una Cei forse più collegiale, ma certamente non troppo condizionata dalla Segreteria di Stato.

La Stampa, 29 marzo 2007

Questo mi pare un articolo equilibrato: nessuna scomunica, toni decisamente morbidi e collegialita'. Non e' proprio cio' che certuni auspicavano per la Chiesa e per la CEI in particolare? Dovrebbero essere un tantino soddisfatti ed invece...


“Ma in Vaticano c’è un cambio di toni”

FABIO MARTINI
INVIATO A SANTIAGO DEL CILE

E’ una curiosa abitudine che sta prendendo piede in mezzo mondo. Per evitare troppe domande scomode, i capi di governo di tutti i continenti stanno imponendo quasi ovunque un format unico per le conferenze stampa congiunte: due domande a premier e guai ad addentrarsi in questioni di politica interna. Ma ieri mattina, nel palazzo della Moneda uno dei luoghi simbolo della democrazia riconquistata, i giornalisti cileni hanno proposto uno scambio a quelli italiani: voi fate una domanda che ci fa comodo alla presidentessa Bachelet, voi ci «passate» la vostra e noi la facciamo a Prodi. Ma quando la giornalista della tv cilena ha chiesto al presidente del Consiglio italiano cosa ne pensasse della nota della Cei, Prodi ha risposto: «Non ho avuto il tempo di leggerla...».
Un dribbling degno del miglior Garrincha, ma c’è del vero nelle parole di Prodi. Ieri mattina, nella sua stanza allo Sheraton di Santiago, il presidente del Consiglio si è svegliato alle 7, è andato il palestra e appena esauriti gli esercizi, alle 8 (in Italia erano le 14), i suoi collaboratori lo hanno informato sulla nota della Conferenza episcopale. C’è stato il tempo di apprenderne l’essenziale in una lettura a volo d’uccello, ma Prodi ha subito avvertito: «Bisogna leggerla bene e per intero». Nel frattempo incombeva il primo appuntamento - guarda caso una conferenza alla Università cattolica di Santiago - e Prodi si è ripromesso di leggere la nota durante il volo che lo avrebbe riportato a Roma nella notte tra mercoledì e giovedì.
Ma dai suoi proverbiali sguardi e dalle breve, informalissime chiacchiere sull’argomento si è capito che Prodi, date le premesse di Ruini di due mesi fa, desse una valutazione del tipo: poteva andare peggio, in ogni caso quel documento era diventato quasi un atto dovuto. Ma in compenso il Presidente del Consiglio ha avuto il tempo di leggere la lettera che, martedì, il Segretario di Stato Tarciso Bertone aveva spedito al nuovo presidente della Cei Bagnasco e su quella il giudizio informale di Prodi è stato chiaro: «Mi sembra proprio che in Vaticano ci sia un cambio di tono».
Prodi conosce il gergo curiale quasi meglio di quello diplomatico. E a Prodi non è sfuggito il senso di quella lettera così inusuale, che segna in tutti i sensi la fine della "stagione Ruini". A Prodi non è sfuggito quel passaggio nel quale Bertone annunciava che di politica italiana oramai si occuperà «la Sante Sede» e che invece ai vescovi spetterà il compito di dedicarsi alla «catechesi» e alla «pastorale». Al Presidente del Consiglio, che per alcuni anni in Vaticano è stato considerato il vero capofila dei cattolici democratici, non sono sfuggite quelle parole di implicito rimprovero a Camillo Ruini, quel passaggio nel quale Bertone prende atto che negli ultimi anni «la secolarizzazione è aumentata» e dunque se le chiese si stanno svuotando, parroci e vescovi di quello devono occuparsi e non di far politica. Musica per le orecchie di Prodi, al quale non sfugge che tra Vaticano e Cei è in corso un conflitto di potere, anche se rispetto alla lunga stagione ruiniana, non c’è più un monolite e comunque c’è in campo un personaggio, il cardinal Bertone, che rivendica chiaramente una titolarità «nelle relazioni con gli Stati vicini» e dunque con la sua Italia. Sulla nota della Cei, Prodi non ha avuto tempo di soffermarsi, qualcuno gli ha fatto notare che, mentre lunedì nella relazione di Bagnasco alla Conferenza episcopale, era esplicitamente indicato il disegno di legge sulle coppie di fatto, nella nota di ieri quel riferimento non c’era più e in ogni caso non c’era traccia delle prescrizioni o "scomuniche" che erano temuti nei giorni successivi al primo pronunciamento di Camillo Ruini.

La Stampa, 29 marzo 2007

Visto? I toni apocalittici di certi vaticanisti denotano solo un pregiudizio nei confronti di Papa Ratzinger.

Complimenti al quotidiano "La Stampa" che, come "Il Corriere della sera" riporta per intero la nota della CEI.


La Cei: "No ai Dico, dovere morale". L'Unione: razzismo

di Andrea Tornielli

Roma - La Chiesa italiana mette nero su bianco la «parola impegnativa» per i politici cattolici, che hanno il «dovere morale» di votare contro la legalizzazione delle unioni di fatto. Il cristiano che sostenesse i Dico sarebbe «incoerente». È quanto si legge nella Nota del Consiglio permanente della Cei «a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto», il documento preannunciato alcune settimane fa dal cardinale Ruini, messo a punto dopo un giorno e mezzo di discussione vivace dal «parlamentino» dei vescovi presieduto dal suo successore, l’arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco.

I vescovi scrivono di sentirsi «responsabili di illuminare la coscienza dei credenti», ricordano che la Chiesa «da sempre» chiede che «il legislatore la promuova» e ribadiscono di non avere «interessi politici da affermare», se non il dovere di contribuire al bene comune. La famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna - si legge nella Nota - «è un valore per la crescita delle persone e della società intera», una «risorsa insostituibile, tutelata dalla stessa Costituzione italiana». Solo «la famiglia aperta alla vita può essere considerata vera cellula della società perché garantisce la continuità e la cura delle generazioni».

Sulla base di queste considerazioni, i vescovi ritengono «la legalizzazione delle unioni di fatto inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo». L’effetto, «quale che sia l’intenzione di chi propone questa scelta», sarebbe «inevitabilmente deleterio per la famiglia», perché «toglierebbe al patto matrimoniale la sua unicità, che sola giustifica i diritti che sono propri dei coniugi e che appartengono soltanto a loro».

Un problema ancora più grave - si legge nella Nota della Cei - «sarebbe rappresentato dalla legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso, perché, in questo caso, si negherebbe la differenza sessuale, che è insuperabile». I vescovi aggiungono subito dopo che queste «riflessioni» non «pregiudicano il riconoscimento della dignità di ogni persona» e confermano a tutti il loro «rispetto» e la loro «sollecitudine pastorale». Ricordano però che «il diritto non esiste allo scopo di dare forma giuridica a qualsiasi tipo di convivenza o di fornire riconoscimenti ideologici». Dunque, consapevole che «ci sono situazioni concrete nelle quali possono essere utili garanzie e tutele per la persona che convive», la Conferenza episcopale si dice favorevole che si persegua questo obiettivo «nell’ambito dei diritti individuali», come del resto aveva chiesto in più occasioni lo stesso cardinale Ruini.
La parte finale della Nota di tre pagine contiene la «parola impegnativa» che la Cei si sente «di rivolgere specialmente ai cattolici che operano in ambito politico». Viene citata la recente esortazione post-sinodale di Benedetto XVI Sacramentum caritatis, là dove il Papa parla di «grave responsabilità sociale» dei legislatori, «particolarmente interpellati» a sostenere leggi ispirate «ai valori fondanti nella natura umana». «Sarebbe quindi incoerente - si legge nel documento - quel cristiano che sostenesse la legalizzazione delle unioni di fatto». Vengono poi riportati i passaggi di due diverse note dottrinali della Congregazione per la dottrina della fede (datate 2002 e 2003), all’epoca in cui Joseph Ratzinger ne era il Prefetto: nel caso di «un progetto di legge favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge».

Nella seconda citazione si ricorda invece che il fedele cristiano non «può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della società». Parole dell’ex Sant’Uffizio, approvate da Papa Wojtyla, firmate dall’allora cardinale Ratzinger. Riprodurle ora con riferimento ai Dico (il ddl del governo non è mai citato esplicitamente, dato che si parla genericamente di «disegni di legge», ma è evidente che di questo si tratta), rappresenta una critica diretta ai politici cattolici del centrosinistra che negli ultimi mesi hanno rivendicato proprio l’autonomia dal magistero anche in questo campo.

«Comprendiamo la fatica e le tensioni sperimentate dai cattolici impegnati in politica in un contesto nel quale la visione autenticamente umana della persona è contestata», affermano i vescovi, «ma è anche per questo che i cristiani sono chiamati a impegnarsi in politica». «Affidiamo queste riflessioni alla coscienza di tutti - conclude la Nota - e in particolare a quanti hanno la responsabilità di fare le leggi, affinché si interroghino sulle scelte coerenti da compiere e sulle conseguenze future delle loro decisioni».

Il Giornale, 29 marzo 2007


Un richiamo alla "coerenza" ma la scomunica resta tabù

di Redazione

Roma - La Nota della Cei sui Dico va nella direzione indicata da Benedetto XVI fin dalle prime battute del suo pontificato e rappresenta anche un «lascito» della presidenza Ruini alla Chiesa italiana. Era stato il cardinale Vicario di Roma a volerla, preannunciandola. Era stato lui a predisporre una bozza da far discutere ai confratelli del Consiglio permanente. Anche se nel frattempo è stato nominato il nuovo presidente Angelo Bagnasco e si è svolto un dibattito approfondito al «parlamentino» dei vescovi (durato più lungo del previsto), il risultato finale è un documento certamente «ruiniano», nonostante alcuni inserimenti dovuti alla preoccupazione chi non voleva far calare «come una clava» la Nota sui politici cattolici.

Non è mai entrata in gioco neanche lontanamente, nella bozze rielaborate fino alla stesura finale, la possibilità di scomuniche o di altre sanzioni (come l’esclusione dalla comunione) nei confronti dei politici disubbedienti. La stessa citazione tratta dall’esortazione papale Sacramentum caritatis non riporta il passaggio nel quale si parla del «nesso obiettivo con l’eucaristia» che ha l’impegno dei cattolici in politica. E del resto Benedetto XVI in quel testo non ha accolto la richiesta di chi voleva sancire l’esclusione dalla comunione per i politici abortisti o i legislatori che votassero a favore delle unioni gay. Dunque tutto si è giocato su quanto ultimativo e deciso doveva essere il richiamo, appoggiato (com’è noto da tempo) ai due inequivocabili testi della Congregazione per la dottrina della fede. Il dibattito c’è stato, ed è stato vivace. Lo dimostra il fatto che nelle previsioni la Nota sarebbe dovuta uscire già martedì pomeriggio. Ma le proposte di modifica e la discussione non l’ha permesso. Mentre i vertici della Cei volevano fosse chiaro il riferimento al «dovere morale» per i politici di opporsi ai Dico, alcuni vescovi avrebbero desiderato che il documento fosse meno prescrittivo ed è stata proprio la seconda parte della Nota quella sui cui si è incentrato il dibattito. Si deve a loro il riferimento alla comprensione della fatica e delle tensioni «sperimentate dai cattolici impegnati in politica».

Da notare è poi la definizione della legalizzazione delle unioni di fatto come «inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo»: un’espressione che non era presente nella bozza iniziale del documento e che è stata importata pari pari nella Nota dalla prolusione che monsignor Bagnasco ha tenuto lunedì pomeriggio. È il segno che ciò che ha detto il nuovo presidente della Cei vale come posizione di tutti i vescovi. Un ultimo inserimento è rappresentato dalla definizione di «incoerente» per il cristiano che sostenesse le unioni di fatto. La riproposizione delle parole dell’ex Sant’Uffizio che contestano l’appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica sono infatti particolarmente indicative: la Chiesa non intende certo misconoscere l’importanza dell’autonomia dei laici, sancita dal Concilio, ma spiega che questa non può essere invocata anche quando ci sono in gioco i «valori non negoziabili».

È risultata evidente, poi, la preoccupazione, condivisa anche dalla Segreteria di Stato, di non trasformare la Nota in una sfiducia al governo Prodi. Questo è infatti uno dei campi dove i cattolici possono essere autonomi. Per quanto riguarda invece la lettera del cardinale Bertone a monsignor Bagnasco, è stata letta ieri pomeriggio al Consiglio permanente su richiesta di un vescovo, dopo la pubblicazione sull’Osservatore Romano. È probabile che nelle intenzioni del presidente e del segretario della Cei dovesse rimanere una missiva privata.

Il Giornale, 29 marzo 2007

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