27 marzo 2007

Aggiornamento rassegna stampa del 27 marzo 2007 (2)


Ancora qualche articolo apparso sui giornali di oggi.
Anche in questo caso ho riflettuto molto e poi ho deciso di inserire l'intervista ad un esponente della rosa nel pugno che prende di mira direttamente il Santo Padre usando (guarda caso! Ma che combinazione|) l'identico aggettivo usato da Marco Politi. Non so se preoccuparmi o mettermi a ridere.
Utilizzare l'aggettivo "leninista" con riferimento a Ratzinger e' un errore grossolano visto che il Papa, per decenni, ha subito pedinamenti e intercettazioni da parte della polizia segreta della Germania orientale (leggi "Ratzinger nel mirino della Stasi" per i particolari).
L'attacco malevolo di cui Papa Benedetto e' fatto oggetto dimostra, al di la' di ogni ragionevole dubbio, che egli e' un Pontefice scomodo.

Raffaella


Prolusione più pastorale e meno politica davanti al Consiglio episcopale: ma sui contenuti continuità con Ruini. Apprezzamento per il family day

Bagnasco: «Dico inaccettabili e pericolosi»
Il neopresidente della Cei boccia il disegno di legge: «La nostra non è invadenza»

di MARIA LOMBARDI

ROMA - Seduto tre posti più in là, il cardinale Ruini dopo 16 anni ascolta. Segue, attento, le prime parole del nuovo presidente Angelo Bagnasco al consiglio permanente della Cei, sente più volte pronunciare il suo nome («anch’io, come Ruini»), raccoglie riconoscimenti e richieste d’aiuto, promesse che non ci sarà un cambio di rotta e l’opera da lui svolta sarà continuata, e soprattutto la certezza che il successore si batterà con altrettanta decisione in difesa della famiglia e contro i Dico. Quel disegno di legge sui diritti dei conviventi, per l’arcivescovo di Genova «è inaccettabile sul piano dei principi ma anche pericoloso sul piano educativo e sociale». E chissà se Ruini sarà stato sorpreso da quell’aggettivo così duro. Ma quando annuncia la nota pastorale sui Dico, quella parola «meditata e impegnativa» promessa dal cardinale per orientare le scelte dei politici cattolici, il presidente della Cei stempera i toni: sarà una «serena, autorevole illuminazione», che metterà in guardia dai compromessi, inaccettabili quando sono in ballo i valori umani essenziali.
Bagnasco sorride per nascondere l’emozione del debutto davanti ai 31 membri del consiglio permanente. «Muovo i primi passi nel nuovo incarico che il Santo Padre ha voluto inaspettatamente affidarmi». Otto cartelle dedicate in gran parte a questioni pastorali e interne alla Cei che solo alla fine toccano l’attualità. Nessun accenno, a differenza del predecessore, alla politica internazionale e nazionale (unica eccezione i Dico). Nell’assumere questo incarico, «sproporzionato alle personali risorse», Bagnasco assicura di voler cercare senza riserve «la fraternità episcopale e l’intesa», «la responsabilità collegiale nelle scelte», di voler valorizzare le conferenze regionali e continuare a «camminare nel segno della pastoralità, della flessibilità e dell’essenzialità». Tre parole che sono un programma. Interpreterà il suo ruolo di presidente come ha fatto Ruini, convinto come lui che la Cei sia innanzitutto «una struttura di servizio» e da questa definizione non debba mai «eccedere». Al cardinale che per tre mandati ha guidato i vescovi, il nuovo presidente riconosce il merito di aver fatto compiere alla Conferenza «un balzo» in avanti. All’opera svolta da Ruini sarà data «continuità», promette Bagnasco, «e sin d’ora gli chiediamo di non farci mancare tutto il suo aiuto e il suo consiglio».
Seppure col suo stile e col suo temperamento, l’arcivescovo di Genova mostra dunque di voler proseguire sulla scia del predecessore. Anche se i vari richiami alla «collegialità», lasciano intravedere una stagione nuova: meno decisionismo alla Ruini, più ricerca del dialogo e di scelte condivise. Tant’è che prima di essere diffusa, la nota pastolare sarà discussa con i vescovi. Ma l’arcivescovo di Genova non ha spiegato se il documento sarà pubblicato subito dopo i lavori del consiglio permanente o sarà sottoposto ad un'ulteriore discussione.
E sul finire, il capitolo sulla famiglia che la Cei affronta non per «preoccupazioni politiche», ma con intenti «spirituali e pastorali». Perchè la famiglia, dice Bagnasco, «ha bisogno di tutta la premura della Chiesa», va aiutata e valorizzata per il bene dell’umanità. Ovvio che i vescovi e i fedeli tutti siano preoccupati per quel che sta accadendo, e giusto, anzi doveroso, che la Chiesa intervenga per difendere il matrimonio. E non si tratta di ingerenza e nemmeno, sostiene Bagnasco, di ricerca del potere: per avere consensi, alla Chiesa basterebbe mostrarsi «accondiscendente». Ben venga il ”Family Day”, la manifestazione promossa dalle associazioni laiche in difesa della famiglia e che si terrà a Roma il 12 maggio. Si tratterà, dice Bagnasco, di «una di una festa della famiglia» e i vescovi l’apprezzano e «la incoraggiano». La nota sui Dico sarà severa, ma «serena e autorevole».

Il Messaggero, 27 marzo 2007


«I credenti non hanno voglia di crociate»

Capezzone: perdente la linea leninista del Papa e la politica che la subisce

ROMA - «Mi sembra che il Papa abbia un tratto leninista: una minoranza compatta che cerca di trasmutarsi in avanguardia». Daniele Capezzone della Rosa nel Pugno non usa mezzi termini. E’ diretto e netto il suo attacco a Benedetto XI e alla Chiesa. Come già fece, d’altra parte, per il referendum sulla fecondazione assistita.
Il Vaticano, oggi con il presidente della Cei, Bagnasco, giudica «inaccettabili i Dico». E’ cambiata molto la linea della Chiesa con Papa Ratzinger?
«La linea leninista del Papa oltre ad essere illiberale è anche perdente. Perchè non mi pare che la grande maggioranza dei credenti abbia voglia di crociate. Il problema però è la politica sia a destra che a sinistra che subisce questa impostazione. Diamo uno sguardo alle destre occidentali: Aznar è stato il primo a introdurre i pacs; Sarkozy è a favore; l’americano Giuliani ha posizioni avanzatissime. Non capisco perchè la destra italiana debba schiacciarsi su posizioni reazionarie. La cosa più grave, però, l’ha fatta Prodi e il governo. Riepilogo: qualche mese fa c’erano alla Camera iniziative parlamentari. Il governo fermò tutto e presentò un ddl. Era chiaro che sarebbe stato un compromesso al ribasso come è successo. Non solo, l’hanno messo sul binario morto del Senato. Poi lo hanno tolto dalle 12 priorità. Infine Prodi si è smarcato. Situazione fantozziana: non solo la dà vinta al Vaticano, ma continua a prendere schiaffi dalle gerarchie ecclesiastiche».
Molti nella Margherita sono in imbarazzo. Tanto che al Family day c’è chi nel centrosinistra vorrebbe andare.
«Voglio lanciare un appello a Rutelli che è in un momento della sua vita politica in cui deve scegliere: scelga di divincolarsi dalla linea clericale di questi ultimi due anni che non gli ha giovato. Poi temo che abbiano commesso una gaffe scegliendo la data del 12 maggio per la manifestazione visto che è l’anniversario del referendum sul divorzio. Oggi c’è qualcuno sia a destra che a sinistra che gareggia nel bacio alla sacra pantofola. Mi auguro che Berlusconi e Rutelli decidano una svolta e la fine di questa ricreazione oscurantista».
P.Or.

Il Messaggero, 27 marzo 2007


«I Dico sarebbero peggio del divorzio»

D’Agostino: i politici cattolici non chiedano voti se non sono coerenti

ROMA - Secondo il nuovo presidente della Cei, i Dico sono «socialmente pericolosi». Non le sembra una defizione sin troppo dura?
«Non c’è alcun dubbio che i Dico, qualora venissero approvati, introdurrebbero pratiche sociali nuove e comporterebbero un radicale mutamento antropologico, più del divorzio», risponde Francesco D’Agostino, presidente dell’Unione giuristi cattolici italiani e ordinario di Filosofia del diritto a Tor Vergata. «Oggi coppia sarebbe posta di fronte alla scelta: mi sposo o sottoscrivo i Dico? Il divorzio invece è una risposta al fallimento coniugale, i coniugi possono serenamente ignorarlo. Al contrario una coppia che si costituisce non può evitare di interrogarsi su cosa scegliere, i Dico e il matrimonio. Introducendo l’alternativa, si incrina l’unica struttura familiare riconosciuta dal diritto».
E la nota pastorale sui Dico non rischia di limitare la libertà di voto dei politici cattolici?«La nota si rivolgerà ai cattolici in generale e ai politici cattolici, sarà interna alla comunità ecclesiale. Ritengo non congrue le reazioni laiciste a questi atteggiamenti ecclesiali. E’ chiaro che la Chiesa non ha strumenti tecnici per vincolare il voto parlamentare dei politici cattolici che si orienteranno secondo coscienza. La libertà di coscienza è un valore fondamentale anche per la Chiesa che non può che rispettare qualsiasi dichiarazione espressa secondo coscienza. Ma non bisogna dimenticare che fa parte della fede cattolica riconoscere il magistero vincolante della Chiesa, altrimenti saremmo protestanti».
Cosa rischia chi vota a favore dei Dico?
«I politici che esibiscono l’identità cattolica come elemento qualificante della loro attività politica, e che dunque hanno avuto un apporto elettorale in virtù del loro essere cattolici, hanno secondo me un dovere di coerenza molto forte. Se chiedono voti in quanto cattolici, non possono avere poi un atteggiamento laicale quando la Chiesa parla. Ritengo che la nota non avrà un potere imperativo, ma inviterà alla coerenza».
M.Lo.

Il Messaggero, 27 marzo 2007


Bagnasco annuncia di voler lavorare nella continuità, ma forte è l'apertura al dialogo

Le sottili differenze tra il neo-presidente e Ruini

ROMA - Se come diceva il Gattopardo «bisogna che tutto cambi perché tutto resti uguale», potrebbe essere vero anche il contrario. Dove non ci sono apparenti novità, possono registarsi mutazioni della sostanza. E' presto per dire se questo avverrà nella Chiesa cattolica italiana con una nuova guida dopo sedici anni di incontrastato governo del cardinale Camillo Ruini. Monsignor Angelo Bagnasco, vescovo di Genova, per ora dice di voler lavorare nella continuità.
Però, a ben leggere nel suo discorso, concede qualche brivido di novità.
Sulla famiglia, ad esempio. Da mesi il papa parla di «unione feconda e benedetta da Dio». Come se i cristiani o comunque i credenti avessero il primato della famiglia. Per questo Benedetto XVI in qualche caso ha suscitato reazioni innervosite dal mondo laico, anche quello in disaccordo sui Dico. Bagnasco, nel suo discorso, definisce la famiglia l'unione fra un uomo e una donna determinati a fare figli.
In apparenza la stessa cosa che dice il papa. In sostanza mancano quelle parole, quel «benedetta da Dio». Tanto basta per dare tutta un'altra prospettiva. Certo, non significa che i cattolici si avviano verso una fase di totale tolleranza verso tutto e tutti. Che basta essere perbene perché si possa ottenere la salvezza divina. Questo Bagnasco non lo ha detto e di certo mai lo dirà. I cattolici sono cattolici, come qualsiasi altra confessione religiosa praticano la loro secolare dottrina. Per cambiarla, in genere, ci vogliono se non secoli decenni.
La questione è un'altra. A differenza di Ruini, assai appassionato negli ultimi tempi tanto da far parlare di crociata, Bagnasco sembra muoversi sulla strada del dialogo, del ragionamento, della dissuasione. Stile completamente diverso, e forse non soltanto quello. La sua prolusione, ieri, è stata ispirata anche dall'intenzione di sottolineare l'aspetto più religioso e pastorale della vita cattolica rispetto a quello più politico praticato da Ruini.
Se è concesso un parallelismo, tanto per capirci, Angelo Bagnasco sta a Camillo Ruini come Benedetto XVI sta a Giovanni Paolo II. I quattro uomini sono di sicuro dotati di personalità e valore ma, come si dice nella Chiesa cattolica, ciascuno ha il suo carisma. E il carisma di Angelo Bagnasco, come quello di Joseph Ratzinger, sembra più orientato a coltivare le questioni spirituali che quelle temporali. Senza trascurare il destino del mondo. Non a caso, nel suo primo discorso ai vescovi italiani, quando affronta il tema dell'uomo e del bene comune lo fa invitando a lavorare per una «civiltà umanistica» che si richiami alla tradizione europea. Lo fa usando toni più pacati di quelli spesi da Benedetto XVI domenica scorsa.
l. v.

Liberta', 27 marzo 2007


L'Europa di Benedetto

di Gianteo Bordero - 27 marzo 2007

In mezzo alla profluvie di retorica europeista che ci ha inondati in questi giorni di celebrazioni per il cinquantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma, l'unica analisi realistica dello stato in cui versa il Vecchio Continente ce l'ha fornita, ancora una volta, Papa Benedetto XVI. Le parole che il pontefice ha pronunciato intervenendo al convegno della COMECE (Commissione degli Episcopati della Comunità Europea) ricalcano per molti versi quelle che, negli anni passati, l'allora cardinale Ratzinger aveva usato in numerose conferenze e in numerosi scritti sul tema, ma l'affondo contenuto nel discorso di sabato merita di essere ripreso e approfondito.


I tre mali del Vecchio Continente

Sono tre, per Benedetto XVI, i mali che rischiano, se trascurati, di portare l'Europa al «congedo dalla storia». Primo: la crisi demografica del Vecchio Continente documenta in maniera chiara il fatto che esso sta «perdendo fiducia nel proprio avvenire». E questo non causa problemi soltanto dal punto di vista della crescita economica, ma anche e soprattutto da quello della «coesione sociale». L'Europa sembra divorata, al suo interno, da un «individualismo disattento alle conseguenze per il futuro», da una concezione dell'uomo incapace di rendere ragione dei legami di relazione della persona e di fondare su basi certe la sua dimensione sociale.

Secondo: oltre alla perdita di fiducia nei confronti del futuro, pesa sull'Europa anche il fatto che, nell'ambito del processo di unificazione, «vari capitoli del progetto... sembra siano stati scritti senza tener adeguato conto delle attese dei cittadini». E qui la mente del Papa corre, ancora una volta, all'atteggiamento di pressoché totale indifferenza che le istituzioni comunitarie hanno mostrato e mostrano nei confronti della identità dei popoli europei. Il problema non è soltanto quello della mancata menzione delle radici cristiane nel progetto di Costituzione, ma, in maniera molto più profonda e radicale, quello di un rifiuto più o meno consapevole dell'appartenenza ad una storia spirituale, culturale e morale che ha dato forma a una «identità costituita da un insieme di valori universali, che il Cristianesimo ha contribuito a forgiare». Le istituzioni europee danno l'impressione di voler fare a meno di quello che è stato (ed è) il «lievito» della storia e dell'autocoscienza del Vecchio Continente. Così - si chiede Benedetto XVI - «Se, in occasione del cinquantesimo dei Trattati di Roma, i Governi dell'Unione desiderano "avvicinarsi" ai loro cittadini, come potrebbero escludere un elemento essenziale dell'identità europea qual è il Cristianesimo, in cui una vasta maggioranza di loro continua ad identificarsi?». E ancora: «Non è motivo di sorpresa che l'Europa odierna, mentre ambisce di porsi come una comunità di valori, sembri sempre più spesso contestare che ci siano valori universali ed assoluti? Questa singolare forma di "apostasia" da se stessa, prima ancora che da Dio, non la induce forse a dubitare della sua stessa identità?».

Terzo: la conseguenza di questo processo di inaridimento dei fondamenti meta-politici della costruzione europea non può che essere quello di una riduzione della politica a mero «pragmatismo», ad esercizio freddamente burocratico, slegato dalle vere esigenze della giustizia e del bene comune. «Se il compromesso - ha affermato il Papa - può costituire un legittimo bilanciamento di interessi particolari diversi, si trasforma in male comune ogni qualvolta comporti accordi lesivi della dignità dell'uomo». Il pragmatismo che prescinde da ogni riferimento valoriale ed ideale non può che corrodere dall'interno la stessa casa comune europea, finendo col fare il gioco e gli interessi del più forte, di chi, nella tessitura delle politiche comunitarie, detiene un potere di fatto vincolante. Tale pragmatismo alimenta in maniera sempre crescente la burocrazia e allontana le istituzioni dal sentire comune dei popoli.


L'Europa di Benedetto

Quello di Benedetto XVI non è soltanto un discorso in negativo, che si limita alla denuncia dei mali senza proporre alcun rimedio. La fotografia quasi «impietosa» dell'Europa odierna non deve, secondo il pontefice, chiamare tutti alla ritirata e al disimpegno. L'Europa diversa disegnata dalle parole del Papa è quella «nuova, realistica ma non cinica, ricca d'ideali e libera da ingenue illusioni, ispirata alla perenne e vivificante verità del Vangelo». Ma perché questo disegno possa prendere forma concreta, è necessario che il Vecchio Continente sappia prendere coscienza dei suoi mali e trovare il coraggio per affrontarli a testa alta. Per ritrovare la fiducia nei confronti del futuro, per riavvicinare il processo politico europeo alle attese dei cittadini, per ridare respiro a una politica troppo «pragmatista» occorre mettere a tema la questione dell'identità, ripercorrere e comprendere il processo storico, culturale e spirituale che ha portato l'Europa ad essere, nel mondo, portatrice di valori comuni e di ideali universali. Occorre che «tali valori, che costituiscono l'anima del Continente, restino nell'Europa del terzo millennio come "fermento" di civiltà». Occorre che «l'Unione Europea, per essere valida garante dello stato di diritto ed efficace promotrice di valori universali, riconosca con chiarezza l'esistenza certa di una natura umana stabile e permanente, fonte di diritti comuni a tutti gli individui, compresi coloro stessi che li negano».

E' un potente invito, questo, affinché l'Europa ritrovi la sua anima, ritrovi se stessa e la sua ragion d'essere. Non si tratta soltanto di riconoscere un tributo formale al Cristianesimo, perché questo non basterebbe di certo (anche se sarebbe un primo passo) ad uscire dallo stato di crisi in cui versa il Vecchio Continente. Il punto decisivo è quello di una ripresa del «logos» europeo come linguaggio di civiltà, come potente fattore di educazione del singolo e di costruzione di ordinati legami sociali, come garanzia a un tempo della dignità della persona umana e del bene comune.

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