30 marzo 2007

Aggiornamento della rassegna stampa del 30 marzo 2007


Di seguito potete leggere alcuni editoriali apparsi oggi sulla stampa.Devo constatare che vengono interpellati sempre i soliti commentatori che sembrano avere il monopolio del cattolicesimo intellettuale.
Con tutto il rispetto per i professori Alberigo e Melloni, amerei leggere anche l'opinione di intellettuali cattolici che non appartengano alla scuola di Bologna. Solo cosi' si avrebbe un panorama completo dell'informazione.
Ecco gli editoriali. Segue un'intervista a Mons. Luigi Negri e una nota di agenzia sulle dichiarazioni di Mons. Bruno Forte.
A piu' tardi con altri articoli.

Raffaella

Vedi anche:

Rassegna stampa del 30 marzo 2007


LE IDEE

I parlamentari cattolici e l´obbedienza ai vescovi

GIUSEPPE ALBERIGO

La Conferenza Episcopale Italiana ha inaugurato la stagione successiva alla lunga presidenza Ruini con una "Nota" del Consiglio di presidenza, che adempie un annuncio pubblicato dallo stesso cardinale Ruini il 13 febbraio scorso. Il testo riguarda la famiglia fondata sul matrimonio e le iniziative legislative in materia di unioni di fatto, come recita il titolo. In realtà il cuore dell´atto è costituito dalle eventuali norme che il Parlamento italiano potrebbe esaminare per regolare le «coppie di fatto». Infatti alla famiglia il Consiglio di presidenza della Cei – costituito tutto da celibatari che della famiglia hanno solo un´esperienza remota.. . – dedica in tutto qualche veloce riga priva di qualsiasi novità. Il che non è privo di interesse poiché è proprio il rapporto sponsale tra uomo e donna che la Bibbia indica come il "modello" della stessa relazione tra il Cristo e la Chiesa. E´ deludente che i Vescovi non abbiano colto l´occasione per toccare tanto argomento con maggiore afflato.
Ma l´attenzione era tutta concentrata sulle prospettive di iniziative parlamentari di cui si parla da settimane. Vero è che secondo l´orientamento della Segreteria di stato vaticana, espresso dallo stesso cardinale Bertone, la Cei dovrebbe dedicarsi agli aspetti pastorali della vita cristiana nel nostro Paese, ma l´ombra della presidenza Ruini è lunga e persistente e almeno questo atto ne risente abbondantemente. Soprattutto alcuni passaggi della parte "politica" del documento sono estranei a qualsiasi spirito pastorale, come quando si vorrebbe negare che il diritto possa dare forma giuridica o riconoscimento a tipi di convivenza: affermazione paradossale, estranea a qualsiasi sana concezione del diritto.
Entrando nel vivo dell´argomento, la Nota formula «una parola impegnativa» rivolta «specialmente ai cattolici che operano in ambito politico». Dopo aver citato un passo della recente esortazione di Benedetto XVI sull´impegno dei Vescovi a essere fedeli alla loro responsabilità nei confronti del gregge, la Nota afferma che «sarebbe incoerente quel cristiano che sostenesse la legalizzazione delle unioni di fatto».
Seguono due ampie citazioni di atti della Congregazione per la dottrina delle fede, emesse quando essa era diretta dall´allora cardinale Ratzinger, quasi che fossero atti del Papa stesso, dato che poi Ratzinger è stato eletto a successore di Pietro. L´atto si conclude affidando le riflessioni che precedono «alla coscienza di tutti e in particolare a quanti hanno la responsabilità di fare le leggi».
Qual è la portata di questo documento? E´ proprio vero, come alcuni sostengono, che obbligherebbe i parlamentari cattolici a negare la loro approvazione a norme che regolassero le «unioni di fatto» (neologismo orrendo, che vorrebbe caricaturare rapporti di amore spesso non meno intenso che nel matrimonio-sacramento!)? Il Consiglio di Presidenza impone «obbedienza» su questo argomento? I parlamentari credenti sono tenuti a prestarla?
La semplice formulazione di questi interrogativi aiuta a comprenderne l´assurda improponibilità. E´ improponibile che dei membri di un parlamento liberamente eletto possano essere vincolati a un´obbedienza estranea alle loro convinzioni di coscienza. E´ quasi incredibile che i Vescovi vogliano impegnare la loro autorevolezza su questo argomento, mentre trascurano di invitare i parlamentari a negare il loro voto a atti di guerra, ben più anti evangelici delle unioni di fatto. E´ altrettanto incredibile che i Vescovi chiedano impegno in questa circostanza, mentre non hanno fatto niente di simile a favore della deplorevole condizione degli extracomunitari. D´altronde i cattolici italiani hanno già sperimentato l´inanità di richieste analoghe quando il "non expedit" avrebbe voluto imporre l´astensione dalle elezioni per "punire" l´Italia che nel 1870 aveva annesso Roma, eliminando il potere temporale dei papi. La piena cittadinanza dei cattolici italiani é stata guadagnata con la disobbedienza a quella imposizione.
In realtà si ha l´impressione che anche tra i membri della Presidenza della Cei abbia serpeggiato qualche dubbio, che affiora anche nelle pieghe della "Nota", che comunque non è stata sottoposta al consenso dell´intero episcopato italiano. L´invito conclusivo ai parlamentari «affinchè si interroghino sulle scelte coerenti da compiere e sulle conseguenze future delle loro decisioni» ha un tono che riecheggia quanto aveva dichiarato qualche giorno prima Bagnasco quando aveva detto che la nota non sarebbe stata usata come «una clava». Nè é superfluo rileggere quanto il Concilio Vaticano II ha solennemente richiamato a proposito del fatto che «gli imperativi della legge divina l´uomo li coglie e li riconosce attraverso la sua coscienza che egli è tenuto a seguire fedelmente».
Bisogna augurarsi che questo atto sia inteso nella sua intenzione esortativa, evitando che abbia effetti laceranti nel Paese e nella comunità cattolica in seno alla quale migliaia di fedeli, spesso coppie unite nel sacramento del matrimonio, hanno manifestato la loro ansia per un episcopato che sembrerebbe pronto a esprimersi solo in congiunture politico-parlamentari.
In questi giorni la nazione e i cattolici in modo speciale, hanno preso commiato, con rimpianto e con riconoscenza, da Nino Andreatta che nell´ultimo mezzo secolo è stato uno dei più impegnati esponenti della vita pubblica. Da credente Andreatta ha servito la Repubblica con grande lealtà e ha promosso in molte circostanze la vita cattolica, rifiutando fermamente, come già prima De Gasperi, i conflitti che in qualche circostanza comportamenti ecclesiastici poco avveduti avrebbero potuto innescare.
Secondo questo spirito tutti gli italiani, cattolici e non cattolici, non possono che augurare all´Episcopato con la guida di Bagnasco e nella prospettiva di una equiparazione allo statuto delle altre conferenze del mondo, una sempre più avvertita, feconda e serena percezione dei bisogni della comunità nazionale e dell´annuncio evangelico in modo che ciascuno possa offrire il meglio di sè e del proprio patrimonio di vita.

Repubblica, 30 marzo 2007

Sempre gli stessi concetti...vogliamo una Chiesa che si occupi solo del sociale? E che differenza c'e' fra la suddetta Chiesa e un qualunque ente benefico? Alberigo sa bene, ma tace, che il Vaticano e' intervenuto piu' volte contro l'uso delle armi. Abbiamo dimenticato gli appelli, quasi quotidiani, di Benedetto XVI a favore del Libano?
Caro professore, non esiste piu' la Chiesa del silenzio per cui sono abilitati a parlare solo gli intellettuali cattolici (preferibilmente di una certa area).
Consiglio a tutti la lettura dei testi del Papa, ispirazione per qualunque dibattito intellettuale, teologico, filosofico.
Ripetere sempre e comunque che la Chiesa non puo' intervenire nel dibattito pubblico e, soprattutto, non ha il diritto di illuminare le coscienze, francamente, e' un discorso superato.
Superiamolo TUTTI!

Raffaella


LA CEI DI BAGNASCO

Il ritorno dei pastori

ALBERTO MELLONI

L' «era Bagnasco» è iniziata in modo movimentato, com'era ovvio. Chiamato dal Papa alla testa della Cei è dovuto salire su un treno in corsa, caratterizzato da un orizzonte e da un metodo ben noto, rispetto al quale Bagnasco ha dato qualche segno di discontinuità: giustamente non ha omesso parole di stima per il predecessore e non ha dimenticato le professioni di allineamento, che sono abbastanza ovvie in ogni grande struttura. Ma ha fatto riferimento ai terreni sui quali l'arcivescovo di Genova vuole portare la Cei: un'attenzione alla vita pastorale, un'accentuazione della collegialità, una rinuncia (per la prima volta da decenni) a dipingere il «quadro politico nazionale». Soprattutto s'è sentita l'attenzione a non dividere la chiesa in buoni-cattivi prendendo atto delle ragioni di tutti. Per qualcuno piccoli segni di una Cei più capace di valorizzare le sue diversità; per qualcuno fatue illusioni di un organo cresciuto politico e destinato a restarlo. È su questo sfondo così diafano che si capiscono i due documenti che hanno segnato questi giorni iniziali di Bagnasco e che hanno attirato una diseguale attenzione dell'opinione pubblica. Il primo documento è stata la lettera del cardinale Bertone al nuovo presidente, nella quale ci sono gli auguri del segretario di Stato, ma anche le «regole d'ingaggio» della nuova Cei e un giudizio severo sulla precedente. Il cardinal Bertone dice convinto che Bagnasco saprà «incoraggiare» i pastori a lavorare con spirito collegiale «autentico»: il che dice qualcosa del giudizio sul clima precedente. Inoltre Bertone afferma che il nuovo presidente ha conosciuto come vescovo non solo i processi di secolarizzazione, ma anche «il progressivo indebolimento del tessuto ecclesiale italiano»: una diagnosi severa a fronte della quale indica come «priorità» l'evangelizzazione, la catechesi, la «motivata disciplina» del clero. Infine Bertone assicura al presidente della Cei che nei «rapporti con le istituzioni politiche» egli avrà la collaborazione e «la rispettosa guida della Santa Sede» e della segreteria di Stato per tutti quegli «affari che, sempre per fini pastorali, debbono essere trattati con i Governi civili». Ciò che il Vaticano s'attende dalla nuova Cei e il bilancio che trae del passato è chiaro: e la discussione sviluppatasi nel consiglio permanente di questi giorni dice che anche fra questi scelti vescovi e arcivescovi c'è il desiderio di riattivare un dialogo interno rimasto a lungo anchilosato.
Il secondo documento è la «nota» sulla famiglia e le leggi sulle unioni di fatto: annunciata a febbraio da Ruini come un testo «vincolante», quello che giunge ora in porto è un testo stratificato, serenamente contorto, attenuato e allargato da sensibilità diverse. Si richiama il monito vaticano del 2002 affinché i politici cattolici non votino mai ciò che «compromette» o «attenua» (quanta politica c'è in un verbo?) «le esigenze etiche fondamentali per il bene comune della società», ma si riconosce che per le «persone» qualcosa deve essere fatto. Alza un muro contro la «legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso» (che legali lo sono già), ma non cede al linguaggio del disprezzo riservato altrove agli omosessuali. Sulla famiglia accenna a ciò che essa può essere per grazia (una unione stabile, fedele, feconda), ma non accenna né al sacramento né alla indissolubilità quasi a riconoscere, anche a quegli sposi o ex sposi che il rigorismo chiamava concubini, una dignità a lungo negata.
Delle due note, com'è ovvio, è il lato politico che ha eccitato i commenti: ma forse essersene «liberati» a marzo eviterà ai vescovi di perdersi nei meandri dell'iter parlamentare della legge e dei cortocircuiti congressuali dei partiti. Però val la pena di ricordare sempre che questo è un Paese dove, oltre a mille parlamentari, venti ministri e cento sottosegretari, ci sono sette milioni di italiani che vivono il rapporto coi pastori nella messa domenicale. Alcuni li amano altri li sopportano, qualcuno li capisce altri meno: ma tutti si aspettano che i pastori si prendano le loro responsabilità pastorali, dicano a chi vogliono bene (in teoria tutti, ma sarebbe bello sentirselo dire), si dimostrino capaci di educare ad abiti virtuosi da cui verranno anche politici cattolici «coerenti» e vertebrati, testimonino che essi sono consapevoli d'avere il dono d'annunciare il vangelo senza mutilarlo e senza esserne il freno. Un dono contro il quale non c'è legge.

Corriere della sera, 30 marzo 2007

Idem, come sopra!


Il prelato difende il testo sulla famiglia approvato dalla Cei: «Non è “conservatore”, ma autenticamente missionario e segue la traccia impostata dal Papa»
«Il no ai Dico è un impegno per i cattolici» Il vescovo di San Marino, Luigi Negri replica al ministro Bindi: «Surreale dire che la Nota non riguardi la legge sulle coppie»

di Andrea Tornielli

«Mi sembra surreale che si dica che la Nota della Cei non riguarda il disegno di legge dei Dico. È un documento dell’episcopato italiano, non di quello australiano...». Sorride, per sdrammatizzare i toni dopo la polemica scatenata dalle parole del ministro Rosy Bindi, il vescovo di San Marino e Montefeltro Luigi Negri. Il prelato non è tra i membri del Consiglio permanente e ha da poco terminato di leggere la versione definitiva della Nota. «Mi piace sottolineare - spiega al Giornale - anche il modo in cui è formulata, con richiami agli interventi corali dei vescovi in questi mesi. È un documento “fermentato” nella reale comunione tra i vescovi e dei vescovi con il Papa».

La Chiesa con questo testo ha «sepolto» l’autonomia dei laici?

«L’autonomia non può essere invocata sui principi fondamentali che reggono l’appartenenza alla Chiesa. La coscienza del laico non matura in modo individualistico, ma si forma dentro l’appartenenza alla Chiesa. Ed è l’autorità della Chiesa a custodire l’oggettività di questa appartenenza. La Nota della Cei è peraltro in continuità perfetta con la costituzione conciliare Gaudium et spes, che spiega come vi siano principi dai quali non si dà autonomia».

Non c’è il rischio di presentare una Chiesa che impone verità e dimentica la carità?

«La Nota non è “conservatrice” né “aggressiva”, ma autenticamente missionaria e segue la traccia impostata dal Papa al recente convegno di Verona. Questa giustapposizione tra verità e carità, tra fede e amore non è però un appunto emerso dal mondo dei politici cattolici, quanto piuttosto dallo stesso mondo ecclesiale. La fede senza carità è una ideologia, ma la carità senza la fede è solo un buonismo».

Che cosa pensa delle reazioni alla Nota? Alcuni cattolici non si sono sentiti chiamati in causa affermando che non si riferisce ai Dico...

«La Nota afferma che è inaccettabile dal punto di vista dottrinale e sociale una legislazione che riconosca le coppie di fatto e c’è un divieto esplicito per i cattolici ad avallare il riconoscimento delle coppie gay. Sostenere che il documento della Cei non riguardi i Dico mi pare un esercizio di ottimismo indebito. Mi sembra surreale che si possa dare questa interpretazione delle parole impegnative e chiarissime pronunciate dai vescovi: è un documento della Conferenza episcopale italiana, non di quella australiana, dunque penso di poter affermare che si riferisce alla situazione del nostro Paese...».

I cattolici devono sentirsi obbligati a non votare i Dico?

«La Chiesa non obbliga nessuno, ma chiede ai fedeli di fare di tutto per immedesimarsi in queste indicazioni. Il fedele che vuole essere coerente con la sua appartenenza ecclesiale è tenuto ad obbedire a questi pronunciamenti del magistero su valori non negoziabili».

C’è chi dice che la Chiesa si batte contro i Dico, ma che questo non salverà certo la famiglia. Come risponde?

«È importante la preoccupazione educativa che emerge dalla Nota. I Dico sono una misura bassa della vita, le leggi creano una mentalità ed è come se si prospettasse ai giovani di avere tutto e subito senza una piena responsabilità. I vescovi non sono spinti da motivazioni politiche, ma dalla grande preoccupazione per la tenuta del tessuto sociale del nostro Paese. La società viene assalita nel suo fattore costitutivo, genetico, che è la famiglia».

È cambiato il presidente della Cei. Cambierà anche la linea «politica» dell’episcopato italiano?

«Mi sembra che la prolusione dell’arcivescovo Bagnasco abbia indicato con sufficiente chiarezza la sostanziale continuità con il prezioso lavoro svolto in questi anni dal cardinale Ruini. Le linee guida sono quelle espresse da Benedetto XVI, al quale la nostra Conferenza episcopale è legata in modo speciale, in quanto il Papa è anche primate d’Italia».

Il Giornale, 30 marzo 2007


MONS FORTE: LA NOTA CEI NON HA FINALITA' POLITICHE (TG1)
"Vogliamo annunciare il bene della famiglia"

Roma, 29 mar. (APCom) - La nota della Cei sui Dico "non ha finalità politiche": lo ribadisce monsignor Bruno Forte, vescovo di Chiesti-Vasto, intervistato dal Tg1.

"Ci rivolgiamo ai credenti perché esprimano nel loro impegno storico la visione cristiana dell'uomo ma anche ai non credenti per offrire ragioni valide e condivisibili al servizio dell'uomo", spiega Forte, uno dei membri del Consiglio permanente che ha stilato la nota. "La nota non è contro nessuno né ha finalità politiche", aggiunge Forte. La Cei, spiega il vescovo, vuole "annunciare il bene della famiglia" e rifiutare "quella legalizzazione di unioni di fatto che in qualche modo le equipari al fatto matrimoniale".


Sempre con riferimento alle polemiche fra cattolici cosiddetti democratici, cattolici papisti, ratzingeriani, martiniani, dossettiani, vorrei leggere con voi questo articolo:


A Bologna si sono confrontate diverse idee ecclesiastiche: quella di Ratzinger e di Bertone e quella del cattolicesimo conciliare
«Il valore della vita» o «le scelte laiche» Le due Chiese al funerale di Andreatta

Il messaggio di Caffarra e l'omelia del cardinale Silvestrini

Aldo Cazzullo


BOLOGNA — Un funerale senza fotografi e senza applausi — solo musica sacra, interrotta dalle trombe degli onori militari che lasciano sbigottiti i celebranti —. Con il presidente del Consiglio e i suoi due vice. E con le due Chiese.
La Chiesa oggi egemone nella cultura e nelle istituzioni ecclesiastiche, di Wojtyla e di Ratzinger, di Ruini, Bertone e Bagnasco, la Chiesa che ha appena richiamato i politici cattolici all'obbedienza e che a Bologna ha uno dei suoi prìncipi, il cardinale Carlo Caffarra. E il mondo cattolico che alle gerarchie riconosce il primato della dottrina e della tradizione, ma coltiva nella vita pubblica sensibilità diverse e rivendica l'autonomia della politica. Non casualmente, due sono state le omelie per Nino Andreatta.
La prima, l'introduzione alla messa che Caffarra (impegnato a Roma con la Cei) ha affidato al vescovo ausiliare Ernesto Vecchi, parla di bioetica e insiste sul lungo sonno di Andreatta in ospedale e sul valore morale della scelta della famiglia; «una lezione esemplare, che ci ha insegnato, sul campo dell'esperienza consumata e contro il benpensare corrente, che la vita è sempre e comunque degna di essere vissuta, anche nelle condizioni più estreme di precarietà; e che pure un solo palpito o respiro, fosse pure inconsapevole, solo che lo accogliamo come un dono è sempre fonte di serenità e di cristiana speranza».
La seconda omelia — quella vera e propria — è del porporato più vicino ai familiari, che è anche il simbolo del cattolicesimo conciliare e montiniano, il cardinale Achille Silvestrini. Anche lui affronta i sette anni di silenzio di Andreatta, scegliendo però un altro approccio, rimarcando «l'amore costante e paziente del coniuge e dei figli». Ma al centro della sua omelia c'è la figura pubblica dell'ex ministro. Silvestrini cita tre antecedenti: Aldo Moro, indicato come il demiurgo del suo percorso politico; Giorgio La Pira e la «Chiesa della povera gente»; Giuseppe Dossetti e la vocazione ad «applicare criteri teologici alla politica, fidando in Dio prima che negli uomini, nella grazia prima che nelle opere», però badando a separare le due sfere; a «evitare, come diceva Nino, la sacrilega intenzione di coinvolgere Dio nelle proprie scelte, e l'opportunismo che pure caratterizza numerosi cristiani».
Silvestrini ha cioè espresso dall'altare concetti analoghi a quelli che don Gianni Baget Bozzo ha scritto ieri sul
Foglio; capovolgendo però il giudizio di valore. Entrambi gli uomini di Chiesa avanzano le stesse osservazioni sul rapporto tra fede e politica; ma ciò che per l'uno è luce per l'altro è ombra. Sospeso, ma implicito, anche l'opposto giudizio sulla fine della Dc e sulla stagione del berlusconismo.
Di Forza Italia non è venuto nessuno, almeno di livello nazionale. Gustavo Selva, cattolico di An. Pier Ferdinando Casini era nel terzo banco, più indietro Guazzaloca. Diessini: Fassino, Visco, Cofferati nel primo banco con fascia tricolore. D'Alema e Rutelli, fianco a fianco nel secondo banco. Subito dietro, Amato. Padoa-Schioppa, con gli occhi rossi. Ma la grande maggioranza dei politici erano uomini della sinistra democristiana. A cominciare da Arturo Parisi, cui è affidato il ministero che nel primo governo Prodi era di Andreatta, la Difesa, ed è andato a prendere il suo maestro nella camera ardente allestita nella caserma sui viali, per poi accompagnarlo in San Domenico. Romano Prodi, sua moglie Flavia, anche lei allieva di Andreatta, suo fratello Paolo. A Enrico Letta, commosso, la famiglia ha affidato la prima lettura, dal libro di Isaia («siate coraggiosi...»). Emilio Colombo, doroteo che oggi sostiene il governo. Gli ultimi tre segretari del Partito popolare: Gerardo Bianco, Marini ora presidente del Senato, Castagnetti. Il sottosegretario Naccarato, anche in rappresentanza di Cossiga. Leopoldo Elia, curvo e lucidissimo. Rosy Bindi. Il ministro dell'Agricoltura De Castro e il garante per la privacy Pizzetti. Pinza, Soro, Bodrato, Mattarella.
Nell'altra fila di banchi, la famiglia — a ciglio asciutto «come avrebbe voluto papà» — e gli amici più stretti. La signora Giana segue la liturgia accanto a Tomaso, il primogenito (impressionante la somiglianza con il padre), ed esce sottobraccio a Filippo, che del padre ha gli occhi. Si tengono sottobraccio le due figlie Erica ed Eleonora, che il padre chiamava Tinny come la principessa indiana. Giovanni Bazoli è con i figli e il genero Gregorio Gitti. Altri eredi di Andreatta: economisti dell'università, del Mulino, dell'Arel, di Prometeia. Molti soldati, e molti preti, a ricordare che la Chiesa, per quanto oggi appaia politicamente divisa, è in realtà una sola, e nella basilica che custodisce l'arca di San Domenico si è riunita dietro la bara di Andreatta. Silvestrini l'ha potuto definire «grande fratello» senza che nessuno facesse riferimenti letterari o televisivi. Ha anche detto che «pare quasi di sentirlo, il germogliare dei semi di giustizia che Nino ha seminato». Il professor Martinelli, il rianimatore del Sant'Orsola che accanto ai familiari ha vegliato il sonno di Andreatta, dice in due parole cos'è accaduto: «Nessun accanimento terapeutico; nessun abbandono». Solo «l'abbandono in Dio», ha detto Silvestrini.

Corriere della sera, 30 marzo 2007

Non esistono due Chiese come non possono esistere due Papi, caro Cazzullo! La Chiesa e' una, come uno e' il corpo mistico di Cristo, o sbaglio?
Attenzione a queste semplificazioni che rischiano di mettere il cattolicesimo democratico ai limiti della comunita' ecclesiale.
Se intuisco bene, secondo Cazzullo, la Chiesa di Ratzinger (che poi e' la Chiesa di Cristo e non del Papa) non e' conciliare?
Permettetemi, poi, di fare una mia personale riflessione.
In questo articolo il messaggio del cardinale Caffarra viene contrapposto all'omelia di Silvestrini. Autogol! Mi pare che l'arcivescovo di Bologna ribadisca la dottrina cattolica, punti l'accento sulla dignita' della persona e della vita che e' tale fino all'ultimo respiro.
Un discorso, quindi, teologico, pastorale e compassionevole.
E l'omelia di Silvestrini? Non e' forse incentrata sul lato politico della vita di Andreatta? Si citano Moro, Dossetti...
Mi chiedo: chi si occupa di politica e presta il fianco ad interpretazioni di parte? Caffarra o Silvestrini?
A voi il giudizio...

Raffaella

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